Nobody ever said it'd be easy

58 3 0
                                    

Il temporale si calmò lentamente, così come era iniziato. Man mano che la pioggia andava diradandosi, Adam ed Elizabeth si risvegliavano dal torpore dei loro corpi stretti in un abbraccio. L'olfatto non era più tanto affidabile, oramai ebbro del profumo della pelle dell'altro misto all'odore del terreno bagnato. Elizabeth aprì gli occhi e osservò la propria mano sul petto di lui che ondeggiava a ritmo regolare: Adam, che gli occhi non li aveva mai chiusi, continuava a guardarla ipnotizzato, noncurante di tutto ciò che li circondava. Si sentiva davvero strano, tra l'essere al settimo cielo e lo scoppio di una tempesta: avvertiva in lontananza, una sensazione di latente malessere. C'era qualcosa che gli era sfuggito?

Elizabeth sembrava riacquisire i sensi soltanto in quel momento, non era sicura di essersi destata da un sogno o dalla sua vita apatica. In ogni caso, anche lei, per qualche motivo, sentiva un'angoscia che andava via via crescendo man mano che le tornava lucidità. Forse aveva fatto un errore, un altro.

"Non avremmo dovuto" disse a bassa voce, colpevole. Voleva davvero dirlo?

L'uomo si irrigidì. "Perché lo dici?"

Elizabeth alzò timidamente lo sguardo, come se non ce la facesse a reggere quello del suo interlocutore.

Capì di sentirsi in colpa. O meglio, questa era la giustificazione ufficiale, quella ufficiosa era che aveva una paura inclassificabile dopo quello che era appena successo. Aveva appena fatto l'unica cosa in grado di farle male davvero, di nuovo: avvicinarsi a lui.

"Perché è la verità - disse mesta, mettendosi a sedere. Con un certo imbarazzo indossò di nuovo i suoi vestiti, anche se di fatto erano zuppi d'acqua e quasi inutilizzabili - abbiamo fatto l'unica cosa che non andava fatta" a quel punto Elizabeth si preparava a sentire di nuovo il tono accusatorio di lui, ma di fatto, rimase sorpresa dalla sua risposta.

"Forse.. forse stavolta hai ragione" rifletté alzandosi dal terreno, allontanandosi come un animale ferito, diffidente. Aveva desiderato quel momento da molto, molto tempo, e proprio quando questo era accaduto finalmente, si era accorto che qualcosa, semplicemente, non andava. E lo stesso valeva per lei.

Elizabeth non diede a vedere il suo stupore, se non altro perché ora gli dava le spalle mentre era intenta a rivestirsi. Si sentiva divisa a metà: Adam era lì, di nuovo, solo per lei, ma sembrava non bastare. Era come indovinare la dose segreta di zucchero per preparare il perfetto caffellatte, e quella miscela era ancora amara, imperfetta. C'era qualcosa che stonava con tutto il resto e nonostante la loro ritrovata complicità, era evidente che qualcosa mancava.

Tremendamente imbarazzati, cercavano di non guardarsi negli occhi troppo a lungo.

"Allora.. - iniziò lui - se vuoi posso darti un passaggio" non sapeva cosa dire per riempire quel silenzio assurdo, così disse la prima cosa che gli era passata per la mente.

"Ehm, no, grazie, sono venuta in auto" disse lei iniziando ad incamminarsi per il sentiero da cui erano arrivati.

"Ok" disse lui seguendola.

"Sai, forse, dovremmo aspettare per quel caffè.."

"Già, credo di sì. Anche perché ultimamente sono pieno di lavoro e.. "

"Certo, e poi anche io ho una miriade di cose da fare per organizzare un programma per i nuovi alunni" disse lei sfregandosi le mani sui jeans già bagnati, tentando di invano.

Erano quasi usciti dalla fitta boscaglia, quando il cellulare di Adam squillò. Lui vide il nome sullo schermo e dal suo sguardo lei capì che doveva rispondere.

"Fai pure, io devo andare, sono in ritardo"

"Scusa.."

"Figurati, scusami tu per prima, per tutto. Ci vediamo, allora" disse spostandosi nervosamente i capelli da un lato.

"Ci vediamo in giro" rispose lui, guardandola mentre si allontanava. Il telefono continuò a squillare per qualche secondo, poi prese la chiamata "Pronto?" Disse schiarendosi la voce.

Mentre ascoltava l'interlocutore dall'altro lato, continuò a seguire la figura con gli occhi fino a quando scomparve completamente dietro al supermercato.

"Ciao, sì ho avuto un imprevisto, ma ora è tutto risolto. Passo domani. Sì, certo. Non preoccuparti. Ciao".

Salutò e chiuse la chiamata, ancora con lo sguardo nella stessa direzione, che però fissava il vuoto.

Era un ormone grande e grosso, ma bastava una donna a farlo sentire l'essere più insicuro del pianeta. Elizabeth era sempre come un improvviso terremoto: camuffava la sua potenza incontrollabile fino ad un secondo prima dello scoppio, ma ogni scossa che provocava aveva la capacità di scuoterlo e fargli sentire il tremore fin dentro le ossa. Se possibile, in quel momento si sentì peggio che mai: un cieco che vede di nuovo la luce luminosa, ma solo per un secondo, ripiombando nel buio più soffocante l'attimo dopo. Nessuno ha mai detto però che la rinascita non sarebbe stata dolorosa.

Iniziò di nuovo a piovere.

Mislaid - smarritiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora