Capitolo 12

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Elizabeth's pov

E:- Voglio usare la mia chiamata.

Lo sceriffo annuì e mi condusse verso il telefono. Chiamai Jughead e gli chiesi di venire. Aspettai che arrivasse in quella stanza grigia, ma, quando arrivò, rimasi con lo sguardo basso. Si mise seduto di fronte a me. Alzai finalmente lo sguardo, incontrando i suoi occhi verdi che lasciavano capire che era preoccupato. Poggiò le mani sul tavolo e le aprì. Misi le mie mani sulle sue e le strinsi mentre lui stringeva le mie.

E:- Jughead... io non centro, devi credermi.

J:- Ti credo: ero con te e so chi sei. Questo non devi dirlo a me, ma allo sceriffo.

I suoi occhi erano puntati nei miei. Annuii. Si alzò e uscì, lasciandomi di nuovo sola in quella stanza grigia. Rientrò lo sceriffo e mi fece di nuovo quell'insopportabile domanda:

S:- Proviamo di nuovo: dove ti trovavi circa due ore fa?

E:- Ero a Riverdale, ero tornata da poco in città con i miei genitori. Mi trovavo al White Wyrm, più precisamente.

S:- C'è qualcuno che può confermarlo?

E:- Si, Jughead.

Lo sceriffo annuì e mi fece uscire. Jughead entrò e uscì di nuovo dopo pochi minuti. Mi abbracciò e mi diede un bacio sulla fronte. Vidi entrare anche Malachai e, circa tre minuti dopo, uscì seguito dallo sceriffo: Malachai aveva le manette ai polsi e, prima di allontanarsi, mi lanciò uno sguardo come se fosse fiero di quello che aveva fatto. 

Lo sceriffo ci raggiunse e ci disse che Malachai era stato arrestato e che io ero scagionata. Tornammo alla roulotte di Jughead e andammo in camera sua. Mi fece sedere sul letto e poi si mise in ginocchio di fronte a me.

J:- Elizabeth.

Pessimo segno.

J:- Perchè quando ti ho chiamato mi hai mentito?

Lo guardai negli occhi.

E:- Avevo paura che tu avresti pensato, come tutti gli altri, che sono un'assassina. Non sapevo che Tall Boy fosse andato a Greendale dopo il tuo discorso, ovviamente, e non sapevo neanche ciò che gli avrebbe fatto Malachai. 

J:- Lo so. E so anche che non sei un'assassina. 

Mi sorrise dolcemente e mi baciò sulle labbra. 

Jughead's pov

Eravamo tornati dalla centrale e le avevo chiesto perchè mi avesse mentito. Dopo la sua spiegazione, le sorrisi dolcemente e la baciai sulle labbra. Indossammo il pigiama e ci sdraiammo sul letto. Lei si addormentò abbastanza in fretta, ma io non riuscivo a dormire quindi presi il mio computer: di notte avevo più ispirazione, infatti la maggior parte delle volte passavo la notte sveglio per scrivere un capitolo che mi era appena venuto in mente.

"La paura. La più primitiva, la più umana delle emozioni. Da bambini, abbiamo paura di tutto: del buio, dell'uomo nero sotto il letto... e preghiamo perchè venga mattina e i mostri si dissolvano. Anche se non lo fanno mai. Non proprio. Basta chiedere a Jason Blossom. Un'altra cosa buffa della paura è che a volte cresce insieme a te. Oppure si aggrappa dentro di te e ti annoda lo stomaco.

C'è una cosa della paura: è sempre lì. La paura dell'ignoto, la paura di affrontarlo da soli... e la paura che siano le persone più care i mostri. La paura che quando uccidi un mostro ce n'è subito un altro pronto a prendere il suo posto. La paura che ci sia un altro uomo nero che attende alla fine del corridoio buio. Lei era là fuori. Sola, priva di tutto, alla deriva... Dove stava andando? Che cosa avrebbe fatto?"

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