Capitolo terzo

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Ero seduta sul mio letto, raggomitolata sopra il materasso come quel piccolo riccio che una volta avevo trovato nel bosco.  

Non mi andava di alzarmi, anzi, lo avrei voluto evitare a tutti i costi.

Ma i soldi ormai sono ciò di cui è fatto il mondo, e se una persona non li possiede allora è finita.

Mi alzai titubante, controllando l’orario. Ero impaziente come un bambino, ma non la notte prima di natale, quanto piuttosto i dieci minuti d’attesa dal dentista.

Erano le otto e mezza.

Entro le nove sarei dovuta essere lì, a parlare di affari con un nobiluomo.

Di prima classe.

Ma stiamo scherzando?

D’affari, poi... Io che non sono capace nemmeno di contrattare con i commercianti. Pensai.

Sospirai tentando di regolarizzare il respiro, che si era alterato improvvisamente al ricordo del suo sguardo color oceano.

Mi stesi di nuovo, chiudendo gli occhi, ormai stanchi.

Erano passate parecchie ore da quando la nave era salpata dal porto, ed entro due settimane avrei potuto avvistare l’America in tutta la sua immensa grandezza.

Il crepuscolo era sparito da almeno tre ore, e il buio ormai oscurava tutti i particolari della nave, perfino i più grandi.

C’erano delle luci che rischiaravano l’ambiente, ma non erano così potenti da illuminarlo tutto.

Chiusi gli occhi, mi massaggiai le tempie che avevano ripreso a pulsare.

Per calmarmi cominciai a viaggiare con la mente: immaginavo campi di tulipani, piccoli torrenti e boschetti di sempreverdi. Poi, chissà come, mi assopii, cullata dal rumore leggero delle onde infrante  sul fianco metallico della nave.

Mi risvegliai improvvisamente dal torpore del sonno, di soprassalto.

Le tre donne che viaggiavano con me erano addormentate, e la signora anziana russava leggermente.

Forse fu proprio quello a svegliarmi.

Mi stropicciai gli occhi con uno sbadiglio, chissà quanto avevo dormito.

“Oh mio Dio!” Sussurrai piano, vedendo che erano le nove e quindici minuti.

Balzai giù dal mio giaciglio, senza badare agli scricchiolii delle molle del materasso, quasi inciampando sulla scaletta posta per scendere dal letto a castello.

Aprii piano la porta, accorgendomi di essere stata un po’troppo rumorosa, e uscii lentamente.

Appena fui nel corridoio cominciai a correre, scansando la gente che ostruiva il passaggio dei corridoi dalle bianche pareti inverniciate di fresco.

La nave era enorme, e per orientarsi nei corridoi tutti uguali delle cabine di terza classe, per giunta in preda al panico, era un’impresa impossibile.

“Mi scusi, può dirmi dove si trovano le palestre di prima classe?” Chiesi a un uomo, che mi guardò storto.

“Ik begrijp nietwat je zegt” Mi disse.

Non capii nulla, forse stava parlando l’olandese. Mi domandai cosa ci facesse in questa nave per l’America. Avrebbe potuto direttamente salpare dal suo paese, ma non lo aveva fatto.

Davanti al suo sguardo stranito mi sentivo un po’ sciocca, per cui mi scusai con un’occhiata e continuai a correre, svoltando i corridoi fino a quando non mi ritrovai all’aria aperta.

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