Me ne stavo seduto, bigio bigio a guardare le nuvole che cominciavano ad oscurare il cielo, fino a qualche minuto prima di tutti i colori caldi possibili.
Ingoiavo rum in quantità spropositate, non curandomi di ciò che le persone attorno a me potessero pensare. Semplicemente ignoravo tutti i loro sguardi basiti.
Avevo scelto un ristorante riservato alla terza classe: pessimo bourbon e chiasso sin dal mattino.
Buttai giù un altro sorso, sentendo subito l’alcol scendere giù per la gola ed entrare nel sangue, bruciando.
La vista era già annebbiata, e i sensi rispondevano a stento ai comandi, ma non avevo ancora dimenticato quegli occhi marroni, ed era di questo che avevo bisogno.
Non mi era mai capitato di essere così attratto da una donna.
Attrazione.
Sì, attrazione era ciò cui avevo attribuito quei miei strani pensieri fissi. Ma non mi sembrava solo interesse sessuale, no… ero affascinato da tanta ingenua bellezza, perché lei era bella. Bellissima. E non riuscivo a capacitarmi del motivo per cui l’avessi pensata solo come a una poveraccia, e non una ragazza piccola e fragile e bisognosa d’aiuto.
“È per la tua donna?”
Una voce filtrò attraverso le pareti silenziose della mia testa, e così mi girai per vedere chi ne fosse proprietario.
Era un uomo sulla quarantina, alto e allampanato.
Un tempo avrebbe dovuto avere i capelli rossi, perché con l’avanzare del tempo si erano schiariti, trasformandosi in un particolare biondo aranciato.
“Non è la mia donna” ammisi.
“Allora è questo, il problema.”
Stava ridendo, ma non era una risata derisoria, quanto piuttosto di comprensione.
Si sedette accanto a me, e fece un cenno al barista perché gli portasse un bicchier d’acqua.
“Tieni, ragazzo. Questa non è la soluzione migliore” spiegò porgendomelo.
Io non mi mossi, benché sapessi che l’uomo aveva ragione.
“Sai, una volta anch’io avevo una moglie. Era bella, aveva dei capelli biondi che parevano oro, sapeva calmare gli animi in pena con un sorriso. Faceva l’infermiera, sai? Ero da sempre stato orgoglioso di lei.
“Ma non riusciva ad avere figli, e aveva sempre l’animo in pena. Un giorno si ammalò e perse ogni speranza.”
Abbassò lo sguardo quando si accorse che non accennavo a prendere il bicchiere.
“Poi morì.”
La sua voce non ebbe nessun tremito o spasmo. Semplicemente mi stava raccontando della sua vita come se l’avesse vissuta in terza persona.
Provai compassione per lui, mi sentii in colpa, perché io avevo tutta un’eternità davanti, mentre lui l’aveva persa quando lei se n’era andata, lasciandolo solo e indifeso, in balia delle sue emozioni.
Mi domandai il perché mi stesse dicendo quelle cose, non ci eravamo nemmeno presentati pubblicamente.
“A volte il destino è crudele, a volte ti sorride. Magari questa è la tua occasione. Non sprecarla” si allontanò dal bancone, non senza indicarmi nuovamente il bicchier d’acqua, lasciandomi con uno strano senso di vuoto.
Lo presi tra le mani con un po' di esitazione dovuta all’alcol precedentemente ingerito, e lo buttai giù convinto.
Quel liquido scivolò facilmente nella mia gola infiammata da tutto quel bere. Era una sensazione un po' sconosciuta, ma piacevole e non del tutto maligna. Ciò nonostante non seppi resistere oltre, perché l’immagine insistente di un paio di labbra esageratamente rosse continuava ad insinuarsi nella mia mente appannata, accendendomi il cuore di desiderio.
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Underwater
ChickLit1912. Il Titanic salpa il 10 Aprile. Lei: Helen Corr, passeggera di terza classe. Sogna di poter andare in America per trovare lavoro e aiutare i suoi genitori, semplici contadini irlandesi. Lui: Daniel Marvin, prima classe. E' di ritorno da un vi...