Mi svegliai prima ancora che il sole spuntasse. Come al solito, del resto.
Quando vivevo ancora nella contea ero abituata a svegliarmi ad ore improbabili per mungere Mary, raccogliere le uova, dar da mangiare alle capre...
Mi mancava quella vita, certo, ma d’altronde qui non era diverso.
Sonnolenta, ma abbastanza riposata, scesi con attenzione dal letto, poggiando i piedi uno ad uno sulla scaletta, attenta a non inciampare.
Le mie compagne di viaggio dormivano ancora, e probabilmente si sarebbero svegliate tardi, quando i primi raggi chiari sarebbero entrati dalla finestra.
Indossai il mio solito vestito, conscia che non mi sarebbe servito per molto. Le domestiche, infatti, avevano delle divise da indossare durante il lavoro.
Appoggiai le mani ai lati del catino d’acqua che era stato riempito anche per me durante la mia assenza la sera prima e, dopo un momento di esitazione, immersi le mani nell’acqua gelida, per poi portarmele al viso, così da rinfrescarlo.
Mi asciugai con le maniche della veste, non avendo trovato null’altro.
Tentando di non fare alcun rumore, m’infilai le scarpe di cuoio scuro, seduta a terra.
Frugai dentro la mia borsa e mi sistemai i capelli velocemente.
Quando mi sentii pronta per uscire dalla cabina raccolsi le mie cose e, dopo essermi pizzicata le guance per dar loro un poco di colore, mi avviai verso la seconda royal suite.
A forza di entrare ed uscire da quella stanza ero sicura che avrei rotto la maniglia o, nella peggiore delle ipotesi, scardinato la porta.
Soffocai una risata, forse provocata dai miei pensieri improbabili, forse solo dal nervosismo.
Non c’era il fermento che mi aveva accolta il giorno prima, ma i ponti erano comunque popolati, e, mentre avanzavo velocemente verso gli alloggi di prima classe, non potei fare a meno di ammirare per l’ennesima volta le onde del mare.
Dolci correnti d’acqua che si scontrano tra loro, come se non avessero paura l’una dell’altra.
Sospirai forte: avrei voluto avere anch’io il coraggio di un’onda, avrei voluto sapere come rimanere in piedi agli insulti, come sorridere sempre.
Mi resi conto, arrossendo improvvisamente, che le acque erano dello stesso colore degli occhi di Daniel.
Affrettai il passo, più nervosa di prima.
La nonna, in una delle serate passate davanti al fuoco a cucire, mi aveva detto:
“Ah, Helen, quando uscirai da questa contea, e spero per te che ciò accada molto presto, scoprirai che mondo meraviglioso c’è là fuori. E non vorrai più separartene.” Poi mi aveva sorriso, con quegli occhi scuri così simili ai miei, ma schiariti dal tempo.
Io allora l’avevo guardata stranita, ma in quel momento mi accorsi che quello da lei affermato era veritiero, quante cose sapeva la nonna...
E chissà quante cose aveva visto durante la sua lunghissima vita. Una volta mi aveva raccontato del suo viaggio in Italia.
Veramente, quel luogo era la sua città natale, e lei voleva ricordalo assieme a mio nonno, allora un sessantenne Irlandese allegro e sempre con una pipa tra le labbra.
Rammentai lo sguardo velato di immagini che solo lei poteva avvistare, mentre parlava della torre di Pisa, di come sembrava che stesse per cadere a un minimo soffio di vento, dell’ottima cucina, delle canzoni d’amore più commoventi...
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Underwater
ChickLit1912. Il Titanic salpa il 10 Aprile. Lei: Helen Corr, passeggera di terza classe. Sogna di poter andare in America per trovare lavoro e aiutare i suoi genitori, semplici contadini irlandesi. Lui: Daniel Marvin, prima classe. E' di ritorno da un vi...