La giornata passò velocemente, così tanto che mi sorpresi di quanto tempo fosse passato.
All'ora di pranzo eravamo andati a mangiare alla mensa di terza classe, ma il cibo non mi era mai sembrato così buono come quella volta. Forse perché la compagnia era una delle migliori.
Passammo il pomeriggio a parlare del più e del meno, e in quel lasso di tempo riuscii a capire molte cose su di lui, come per esempio che in realtà odiava New York, e che per lui lo sforzo di salire sul Titanic era stato grande.
"Non mi piace viaggiare per un tempo così lungo, nonostante con questa nave si possano abbreviare notevolmente i giorni di transito" aveva detto.
Io gli avevo dato ragione, poiché non avevo mai viaggiato, e per me era un'esperienza del tutto nuova, se non anche molto stressante e alquanto spiacevole.
Per tutto il pomeriggio non avevamo fatto altro che sfiorarci: con un braccio, col dorso della mano, con la punta delle dita... ogni occasione era buona per avvertire il lieve calore della nostra pelle.
Più il tempo passava, più desideravo ulteriori sue carezze, perché la verità è che ogni suo leggero tocco, ogni suo bacio, ogni suo sguardo appiccavano in me un fuoco che solo lui poteva spegnere, con i suoi occhi color tempesta e le sue labbra, che parevano così perfette da comparare con quelle di una statua. Solo che quelle di Daniel erano capaci di parlare, di sorridere e di... baciare.
Ad un certo punto dovemmo separarci, ma solo perché la temperatura era davvero calata, ed entrambi avevamo bisogno di coprirci con qualcosa.
Ci ritrovammo dopo qualche minuto, io coperta col mio solito trench, lui con una giacca.
Ci avviammo per osservare ancora una volta le dolci onde del mare.
"Hai visto?" esclamò Daniel ad un certo punto, indicando col dito affusolato la distesa sconfinata dell'oceano di fronte a noi.
"Cosa?" mi sporsi sul parapetto, impaziente di assimilare ciò che avrei potuto vedere.
"Là, lo vedi?"
Misi a fuoco, tra le onde, quello che pareva essere un sasso galleggiante. Era bianco, talmente candido che pareva il dorso lucente di una balenottera.
"È un iceberg" spiegò, voltandosi a guardarmi, sorridendo.
Dalla bella bocca gli uscivano sbuffi di condensa, e mi strinsi più vicina a lui, col cuore che batteva all'impazzata.
"Com'è piccolo" mormorai, sentendo ogni movimento del suo braccio che mi circondava la vita. Mi morsi il labbro, al ricordo di ciò che avevamo condiviso quella mattina.
Sfiorai con il dorso della mano le sue dita, prima di intrecciarle alle mie.
"Oh, Helen..." sorrise. "È tutta apparenza. In realtà non si conoscono le sue dimensioni. Potrebbe arrivare fino al fondo dell'oceano" spiegò.
Guardai di nuovo quella piccola montagna nel bel mezzo delle acque, sorridendo leggermente.
Era Daniel, il mio iceberg. Così ordinario all'apparenza, eppure talmente straordinario e smisurato da varcare i confini dell'inimmaginabile.
Mi voltai a guardarlo nuovamente, alzando una mano per sfiorargli una ciocca di capelli sfuggita alla costrizione del suo cappello, ma poi cambiai idea, sfilandoglielo direttamente dalla testa, così da liberare quegli straordinari capelli.
"Stai meglio così" mi giustificai debolmente, senza però rendergli il cappello.
Mi esaminò da cima a fondo, mentre mi allontanavo scherzosamente, fingendo di volergli rubare il copricapo.
STAI LEGGENDO
Underwater
ChickLit1912. Il Titanic salpa il 10 Aprile. Lei: Helen Corr, passeggera di terza classe. Sogna di poter andare in America per trovare lavoro e aiutare i suoi genitori, semplici contadini irlandesi. Lui: Daniel Marvin, prima classe. E' di ritorno da un vi...