Capitolo dodicesimo

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Pov. Daniel


Staccarmi da lei diventò, improvvisamente, come un'impresa.

Mi ero sempre considerato un uomo controllato, che si dedicava molto ai fugaci piaceri della vita, quali bere, fumare... e altro che non sto qui a specificare, ma non mi era mai risultato così difficile compiere un'azione come quella volta.

Le sue labbra erano così soffici, rosse, gonfie di baci che mi attiravano come api con il miele.

Era difficile resistere alla tentazione che Helen mi infondeva: corrodeva il mio essere profondamente, senza lasciargli vie di scampo.

Morsi dolcemente un'ultima volta il labbro inferiore di Helen, cosa che mi faceva impazzire, e mi staccai da lei, prima di cedere ai miei più profondi desideri.

Era stesa sotto di me, proprio sopra la coperta che avevo portato - senza pensare che sarebbe servita a un altro scopo, oltre che quello di semplice tovaglia - e aveva riaperto gli occhi.

Mi fissava intensamente; per una volta sembrava non essere in imbarazzo, e mi sentii grato di ciò che mi aveva donato.

Mi stava facendo scoprire un mondo del tutto sconosciuto: quell'universo parallelo in cui abitano le persone legate irreversibilmente ad un altro individuo.

Perché, nonostante tutte le parole dette, i miei pensieri erano diversi, e il mio cuore ragionava secondo essi.

Sentivo le labbra pulsare. Probabilmente erano divenute gonfie grazie a tutte le attenzioni che avevo riservato a Helen.

Me le leccai, avvertendo un'ondata del suo sapore, dolce come al solito.

Mi aveva addirittura baciato di sua spontanea volontà...

Era incredibile a dirsi, ma a farsi... I piani bassi, in quel momento, chiedevano pietà in ginocchio, oramai.

Ci avrei pensato più tardi in cabina.

Tolsi la gamba che se ne stava piacevolmente appollaiata tra le sue, e la ricongiunsi alla sua compagna, togliendole il mio peso di dosso.

Mi ressi con le braccia, sempre tenendo la fronte quasi incollata a quella liscissima di Helen, mettendomi più comodo.

Dio mio... quella ragazza imparava in fretta. Da come baciava mi faceva andare in subbuglio lo stomaco. Ma che dico... anche l'intestino, il pancreas... i polmoni e tutti gli altri organi!

Insomma... la sua vicinanza provocava in me reazioni sconosciute, ma non del tutto spiacevoli, che mi facevano sentire un ragazzino con gli ormoni in subbuglio.

Repressi un sorriso, perché da come mi guardava sembrava che davanti a lei ci fosse una bestia cattiva, ma anche rara e magnifica.

La modestia non era uno dei tratti ereditati dai miei genitori... anche perché non c'era nulla nella mia famiglia che ricordasse l'umiltà, e ne ero pienamente consapevole.

Ma, nonostante tutto, non mi ponevo il problema.

Mi distesi accanto a Helen, sovrastandola con una gamba, non potendo fare a meno di rimanere in contatto con il calore confortante della sua pelle, poi poggiai il mento sulla sua testa.

Sentii il suo respiro rapido, e mi chiesi quale fosse la differenza tra lei e un piccolo gattino che fa le fusa, tranquillo.

Sapevo che, prima o poi, avrebbe tirato fuori le unghie.

Man mano che passava il tempo il suo fiatone si calmò, e anche il mio, fino a diventare quasi regolare. Solo allora, quando ci fummo ricomposti tutti e due... anzi, tutti e tre, mi decisi a parlare.

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