Capitolo undicesimo

616 24 1
                                    

Al vero Daniel e alla vera Helen, entrambi morti senza mai incontrarsi.

Pov Helen

La sua ultima affermazione, quella frase così innocente –almeno all’apparenza- sussurrata al mio orecchio, mi aveva fatto andare in fiamme.

Ovviamente come metafora è un po’ azzardata, ma non c’era nessun altra frase che calzasse a pennello ciò che sentivo sul volto: un calore insopportabile e sfiancante.

Sentivo le mani fredde che imploravano pietà, così mi affrettai ad incamminarmi verso le cabine, ma non avevo voglia di sopportare gli sguardi compiaciuti delle tre mie compagne.

Non avevo altri posti dove andare, o meglio, non avevo alcun luogo in cui sentirmi me stessa.

Sospirai. Quando finirà, tutto questo?

Nonostante quella fosse una domanda retorica, mi sorpresi a cercare una risposta. Forse, una volta sbarcata dal Titanic, tutto il mio tormento sarebbe finito.

Mi diedi della sciocca, perché quando sarei scesa dalla nave, i miei problemi non avrebbero fatto altro che peggiorare.

Potevo chiedere dei soldi a Ellie? No, certo che no. Lei stessa aveva pensieri gravi a cui pensare, e un fardello in più non le avrebbe certo giovato.

Una vocina nella mia testa commentò, maligna: “Ma lei non sta morendo di fame.”

Era vero, ma non è forse la peggior tortura essere imprigionati e sazi, piuttosto che essere liberi e affamati?

“Certo… e la tua sarebbe libertà?”

Va bene, lo ammetto, in quel momento non potevo affermarmi la persona più libera del mondo, ma tutto sommato…

Ma chi voglio ingannare? Pensai. Quando arriverò a New York, senza un soldo né luogo dove andare, finirò per strada.

Scossi la testa, ricacciando la vocina violentemente.

Non avrei chiesto aiuto a nessuno. Mi convinsi che a dettare questa decisione fosse stata la mia bontà, e non l’orgoglio.

Mi strinsi di più allo scialle di pizzo, rendendomi conto, con orrore, di avere ancora il vestito di Ellie addosso, tutto stropicciato.

“Oh, Signore…” sussurrai tra me e me.

Lavarlo era fuori luogo: ci avrei messo chissà quanto tempo, con tutta quella stoffa, e non avrei saputo stirarlo per bene, poiché a casa se ne occupava sempre la nonna.

L’unica opzione possibile era quella di restituirglielo, scusarmi per il tessuto rovinato e sperare nel suo perdono.

Invertii la rotta dei miei passi, quasi rischiando di andare addosso a una donna con un bambino in braccio.

“Chiedo perdono” mi scusai, riprendendo a camminare, ma dal verso opposto.

Ero poco sicura di ricordare come arrivare agli alloggi a cui Ellie mi aveva guidato la sera prima, ma ci arrivai lo stesso, forse per intervento divino.

Bussai alla porta di legno, imbarazzata.

Non sapevo che reazione avrebbe avuto, vedendomi in quello stato, ma come ogni volta mi sorprese.

Alla porta mi aprì una signora magra come uno stecco, ancora più di me, che mi fece accomodare.

Ellie arrivò dopo un minuto esatto –non avendo nulla da fare mi ero messa a contare i secondi, letteralmente.

UnderwaterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora