Capitolo nono

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Capitolo dedicato a tutte le lettrici silenziose. Chissà che questa dedica vi spinga a commentare!

Pov. Helen

Stringevo forte nei pugni la stoffa rigida della giacca di quel ragazzo come se ne dipendesse della mia vita. Non volevo farmi trovare in quello stato da nessuno, figuriamoci proprio da lui.

Il suo petto, appoggiato sulla mia fronte, era duro e caldo, e il rumore forte, insistente e ritmico del suo cuore mi rimbombava nelle orecchie.

Quel rumore era la testimonianza che la vita c'era davvero.

Un altro singhiozzo mi percosse, mentre mi rimproveravo mentalmente per essere ceduta al suo sguardo gelido ed aver permesso alle mie emozioni di manifestarsi.

Era già la seconda volta in un giorno che piangevo davanti a qualcuno. Sì, era successo altre volte, ma sempre per motivi ben precisi.

Quella volta, però, la voglia di piangere, tanto forte quanto inaspettata, si era manifestata così tanto precocemente da essermi diventata nemica.

Avevo tentato di spingerlo via, ma non ne avevo avuto la forza, e gli ero crollata addosso a peso morto, costringendolo a sostenermi.

Questo rappresenta tutto ciò che, in quel momento, ero: un ammasso di sentimenti confusi piagnucolante, una zavorra, una piattola...

"Helen" un sussurro. Un sussurro così debole e incerto da sembrare una domanda. Aveva la voce strozzata, impastata... come se le parole avessero faticato ad uscire.

Tremai. Avevo paura della sua imminente reazione. Temevo che, una volta sciolto il nostro abbraccio, egli sarebbe fuggito, lasciandomi sola in quel corridoio spoglio e odoroso di vernice.

Le sue braccia, avvolte attorno al mio busto, si mossero appena, stringendo la presa quasi impercettibilmente. Ero certa mi avrebbe lasciata da un momento all'altro, e mi stavo preparando psicologicamente alla sensazione di freddo che avrei provato senza il suo calore.

Invece, al contrario di tutte le mie più rosee aspettative, la sua mano destra viaggiò verso l'alto, oltre la vita e fino le spalle, ancora coperte dallo scialle.

Le sue dita si fermarono, leggere come i petali di un fiore di campo, sulla mia nuca. A quell'improvviso contatto avvertii una leggera scossa, che provocò un brivido che attraversò tutta la colonna vertebrale.

Quei morbidi polpastrelli si mossero ancora, massaggiando dolcemente il mio collo e proseguendo il percorso verso l'alto. S'infilarono tra i miei capelli quasi improvvisamente. Sussultai, di fronte a quel gesto così intimo, evitando di muovere la testa, poiché quelle carezze stavano davvero affievolendo il mio senso di disperazione.

I miei occhi si chiusero quasi in automatico, di fronte a tali attenzioni così calmanti.

Li riaprii dopo qualche istante, risvegliandomi dal torpore: stava sfilando le forcine applicate con tanta cura dalla mia testa, liberando lentamente i miei capelli, che scesero morbidi lungo la mia vita.

Mi lamentavo ancora. Sentivo i miei singhiozzi vibrarmi nel petto, mentre cercavo di trovare la forza necessaria a staccarmi da lui.

Ovviamente non risolsi nulla, poiché le sue carezze, fin troppo piacevoli, mi distraevano dall'obiettivo principale, rendendomi come burro tra le sue braccia.

Avevo, sin da piccola, sempre amato che mi si toccassero i capelli. Adoravo quando la nonna, o la mamma me li intrecciavano in morbide treccine, sedute davanti al fuoco nel caminetto.

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