Capitolo secondo

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Mi ripresi dallo stato di trance in cui ero rimasta, rendendomi finalmente conto che la nave si era ormai allontanata dal porto.

Mi voltai con uno scatto, alla ricerca di quel ragazzo borghese che mi ostinavo a non chiamare per nome, lo stesso nome che avevo udito sussurrato dalla madre, e da lui stesso, non appena io avevo detto il mio.

"Daniel Marvin". Un bisbiglio fatto da labbra quasi esangui, di quelle che si vedono anche nelle statue degli angeli. Come in quelle di Canova. Sensuali e innocenti allo stesso tempo.

Ma in quel giovane uomo c'era tutto fuorché innocenza.

Serrai gli occhi al ricordo di come avrei voluto arrotolare un dito in una di quelle ciocche ricciute e dorate, e scossi la testa. Questi pensieri non erano degni di me.

Riattraversai il ponte, non avendo trovato neanche una minima traccia del suo passaggio, e tornai nella mia cabina di terza classe.

Nella stanza non c'era nessuno, per questo salii sul mio giaciglio e, pesantemente, mi ci lasciai cadere sopra.

Sciolsi la mia acconciatura, e i capelli castani mi scesero lunghi fino alla vita. Era da un po' che non li tagliavo, ma d'altronde mi piacevano così.

Mi era venuto un mal di testa terribile, e per questo mi massaggiai le tempie con le dita, un metodo che la nonna mi aveva spiegato prima di morire. Allora io non soffrivo ancora di emicrania, ma lei mi disse che questo mi sarebbe tornato utile, ed infatti è stato così.

Sorrisi al suo ricordo. Era sempre allegra, del genere di persona che, nonostante fuori diluvi e la famiglia si è svegliata di umore nero, si apposta tranquilla ai fornelli cucinando e cantando.

Mi aveva anche insegnato a fare corone di fiori. Di solito le facevo con le mie amiche della contea, e poi le poggiavo sulla grande testa ricciuta di Mary, che muggiva infastidita.

Già mi mancavano anche loro... le uniche amiche che io abbia mai avuto erano due, e per me furono come sorelle.

Una si chiamava Cassidy, era più grande di me di due anni, e quando ne compì diciotto si sposò, trasferendosi a Parigi con il suo nuovo marito. Mi pare si chiamasse John, Jonathan. Sì, proprio così.

La seconda aveva la mia stessa età, e pure lei rispondeva al nome di Helen.

Mia nonna diceva sempre "Che banalità chiamare due tali bellissime fanciulle con questi nomi così collegiali", e poi scoppiava a ridere, vedendo le nostre faccine da bambine concentrate, alla ricerca di un significato nascosto.

Eravamo piuttosto famose nel nostro villaggio, due bambine tanto diverse quanto inseparabili.

Infatti lei era alta e aveva dei lunghissimi capelli biondi di cui andava molto fiera, aveva degli enormi occhi azzurri, ma non del banale azzurro. Era turchese, del colore del mare e del cielo. La sua carnagione era chiara, e il suo naso era spruzzato da efelidi dorate, appollaiate sopra un nasino a patata e labbra sottili.

Io, invece avevo dei corti capelli castani (a quel tempo li avevo venduti perché la mia famiglia era a corto di soldi, e mettere in vendita i miei capelli era sembrata la soluzione migliore), pelle pallida, qualche imperfezione dell'adolescenza e un naso dritto.

Basta.

Un aspetto del tutto banale, rispetto a quello di Helen.

Mi distolsi da quei pensieri, troppo addolorata per continuare a ricordare, con un sospiro.

Scesi dal letto e frugai nella mia sacca alla ricerca di una spazzola. Non che servisse a molto: I miei capelli erano talmente lisci che in pratica bastava passarci le dita e si rimettevano a posto, ma preferivo avere sempre un pettine a portata di mano.

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