ni : 𝚔𝚒𝚗𝚍𝚎𝚛𝚐𝚊𝚛𝚝𝚎𝚗

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Le strade erano rovinate dalla gente dai passi furiosi e le bocche all'ingiù. Jimin le percorreva ad occhi chiusi con la mente alla ricerca dell'iperuranio; il sole gli faceva risplendere i riflessi delle ciocche arancioni. I pensieri si muovevano sinuosi attorcigliandosi intorno le note nelle cuffiette e si ruppero quando sentì qualcuno toccargli la spalla.

Jimin si voltò, cercò con lo sguardo la persona a fianco a lui che aveva continuato a ripetergli «scusa» per attirare la sua attenzione. Avrebbe voluto dire qualcosa ma era già affogato in un paio di mezze lune scure tempestate di stelle.
«Uhm, ciao... scusa se ti rompo», le gote paonazze. Gli sembrava di vedere l'Empireo in quello sguardo di fuoco che gli ingarbugliava perfino l'animo.

«No, no, nessun problema, dimmi pure», Jimin sorrise.

«Mi sono perso», un timido sorriso gli dipinse il volto, gli occhi si strinsero fino a ridursi a due piccole fessure tempestate di stelle. «Sono da poco in città e non riesco a trovare il centro musicale. Mi hanno detto che era qui intorno...» Jimin era ancora troppo concentrato sui suoi lineamenti scolpiti dagli Dei per far caso agli spartiti stropicciati che stringeva tra le mani. Le ciocche avevano il colore della menta e gli ricadevano goffe sugli occhi, le loro iridi si erano incatenate e le orbite avevano iniziato a girare intorno ai pianeti.

«È poco lontano da qui.»

«Puoi dirmi come arrivarci?» il ragazzo si sporse appena verso di lui. I raggi del sole riverberavano sulle sue iridi scure, le costellazioni si specchiavano negli occhi di Jimin.

«Posso accompagnarti», lo disse senza pensarci e wow, che sfacciataggine. «Se vuoi», aggiunse, la bocca si piegò in un pavido sorriso.

«Ti ringrazio», il volto del ragazzo venne dipinto con un sorriso gioioso. «Io sono Yoongi, comunque», si presentò. Le mani cinte dietro il collo, lo sguardo passava dalla strada agli occhi di Jimin.

«Jimin», sorrise. Si tirava la pellicina delle unghie mentre la mente lottava per rimanere lucida e portare alla destinazione corretta quel ragazzo. Lottò per non dare peso alle occhiate straripanti di ribrezzo e giudizio, quelle che parevano urlare guarda che tipo strambo dai bambini e guarda che puttana dai suoi coetanei. Le iridi caddero sul corpo di Yoongi un passo di fronte a lui, riusciva a intravedere le pennellate con cui era stato dipinto e Jimin si chiedeva se davvero una persona appena conosciuta potesse mandargli in escandescenza il cuore.

«Sei un musicista?» domanda azzardata, ma Jimin non riusciva a collegare il cervello alla bocca prima di parlare.

«Diciamo così», lo guardò. «Suono il pianoforte e scrivo qualche testo, ma non mi piace definirmi musicista», scrollò le spalle. «Tu disegni, immagino. Hai una macchia di carboncino proprio qui», un dito affondò nella sua guancia macchiata, Jimin non ci aveva fatto caso quando aveva lasciato il corso di disegno. Strofinò una mano sulla pelle.

«Dipingo, mi rilassa.»

«Il mondo è opprimente certe volte, vero?»

Jimin annuì. «Sembra una gabbia per matti», alzò lo sguardo poi indicò la struttura. «Eccoci, siamo arrivati.» Si fermò poco distante dall'ingresso.

«Grazie mille, Jimin», chinò il capo voltandosi verso di lui.

«È stato un piacere», un timido sorriso si dipinse sul viso.

«Magari ci rivedremo.»

«Magari...» un mugugno. Yoongi lo salutò con un cenno della mano prima di sparire nell'edificio. Il timido sorriso non se ne andò neppure quando si voltò per dirigersi al bar da Hoseok, che diamine è appena successo? ma Jimin aveva lo stomaco troppo ingarbugliato per poter dare delle risposte ai suoi pensieri aggrovigliati.

𝟑 𝐌𝐈𝐍𝐔𝐓𝐈 𝐃𝐎𝐏𝐎 𝐈𝐋 𝐓𝐑𝐀𝐌𝐎𝐍𝐓𝐎 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora