jū shi : 𝚋𝚕𝚘𝚘𝚍𝚏𝚕𝚘𝚘𝚍

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La chiave di casa era sporca di tempere, le stesse che si ritraevano sui polpastrelli di Jimin dopo l'estenuante lezione di arte. Taehyung gli si era addossato contro e l'aveva fatto ridere, se l'era spupazzato dopo giorni che non lo vedeva.

I barattoli d'arte impilati nella sua testa s'erano ben posizionati dopo quel pomeriggio di vita normale. Erano pronti ad essere buttati giù da un'impetuosa tempesta che non tardò ad arrivare. Il tempo d'aprire la porta e poggiare un piede sul marmo che le voci di suo padre e di Hoseok si fecero spazio nelle sue orecchie.

«Respira e parla con calma», la voce di Daehyun aveva un leggero tremito nervoso.

«Le paure che avevo», Hoseok tirò un grido di frustrazione. «Erano tutte vere. Per un attimo ho pensato di essere così paranoico da immaginarmi le cose ma, no, non sono paranoico.»

«Che cosa è successo?»

«Yoongi-» Hoseok balbettò, Jimin rimase fermo immobile davanti alla porta. Le sopracciglia s'aggrottarono all'udire quel nome buttato sulla sua bocca ignobile. «Non esiste, Dae. Yoongi non esiste.»

Jimin non s'aspettava che sarebbe stato proprio Hoseok a buttare giù i barattoli della sua arte riperfezionata, ma adesso era caduta sul pavimento freddo e s'era scheggiata e Jimin non voleva sentire altro.

«È solo un'assurda fantasia di Jimin e-»

Era troppo, perché Jimin non era folle.

Si chiuse la porta alle spalle senza far troppo rumore, s'affrettò a correre lungo il corridoio rischiando di capitombolare giù dalle scale. Sentiva il fiato bloccarsi in una bolla di menzogne e sfiducia nella sua gola, lo sentiva graffiare sulle pareti della trachea nel vano tentativo di trovare una via d'uscita. Ma Jimin non riusciva a trovarla, non la trovò neppure quando buttò lo zaino colmo dei suoi frammenti di arte sulle scale e prese a correre sotto il freddo acquazzone primaverile. Il cielo aveva il colore delle lacrime che scolpivano le sue guance scarlatte, andavano a mescolarsi con le gocce d'acqua che abbandonavano grondati le nuvole plumbee.

Non poteva essere così, non poteva aver vissuto un'eterea fantasia come un'assurda realtà lontana. Erano solo invidiosi, non volevano il suo bene, nessuno lo voleva, solo Yoongi ci teneva davvero.

I passi s'infrangevano nelle pozzanghere d'acqua lurida, le scarpe s'infangavano delle parole alle spalle e della melma schifosa sulla suola delle sue Converse. Jimin correva, correva sotto la pioggia mentre lacrime cristalline gli solcavano indelebili le gote e quella mano ritornava ad afferrargli il cuore a stritolarlo tra le sue grinfie affilate, sentiva che gli lacerava la carne. Sentiva di morire da un momento all'altro, di accasciarsi sul lurido asfalto bollente e di lasciare che la pioggia gli rovinasse il volto e le viscere.

Gli occhi si mossero sul parco giochi in cui era solito andare a disegnare, le due panchine erano esattamente dove sempre, gli sembrava di vedere la figura di Yoongi muoversi sul legno, fissarlo negli occhi e sorridergli imbarazzato. Jimin gridò finché le sue corde vocali bruciarono e implorarono di essere lasciate in pace. Le ginocchia sbatterono contro il cemento bagnato quando si lasciò cadere ma le ombre erano scappate dalla sua stanza e lo stavano inseguendo con le mani tagliate e i denti strappati.

Non poteva essere così. Lui era sano, stava bene, stava benissimo, era felice e gioioso eppure Yoongi non esisteva. Ma chi voleva prendere in giro? Yoongi era reale; i suoi tocchi, il suo sguardo, il suo amore, tutto lo era, Yoongi era vero e Jimin non poteva credere il contrario. Perché quando avevano fatto l'amore tutto era stato reale, Jimin l'aveva sentito il respiro che s'infrangeva sulla sua pelle, il calore che lo avvolgeva, il suo cuore palpitare sotto le costellazioni birichine, aveva sentito tutto e quindi non poteva essere tutta una sua fantasia. Che poi chi l'aveva detto? Hoseok, e probabilmente neppure lui voleva il suo bene.

Le dita tremarono alla ricerca del cellulare, e quando premette il nome di Yoongi sentì il cuore fermarsi per la paura.

Sta squillando. Il numero era reale e Yoongi esisteva di sicuro se il suo cellulare squillava.

Continuò a farlo finché la segreteria telefonica non partì e il cuore di Jimin perse un battito.

Squilla, lo stava facendo, stava squillando di nuovo, Yoongi avrebbe risposto e avrebbe mostrato a tutti che era reale.

«Pronto?» e Jimin sorrise, un sorriso di quelli che facevano accapponare la pelle, uno di quelli a cui mancavano solo le gocce di sangue sulle labbra, ma Jimin aveva già la pioggia a bagnargli le labbra e questo non lo rendeva meno inquietante.

«Yoon», Jimin quasi urlò, ma la voce gli si spezzò in gola.

«Piccolo, stai piangendo?»

«Mi puoi raggiungere al parco?» la voce era rotta dai singhiozzi, la gola bruciava ma l'euforia che gli attraversava le vene era così reale da sembrargli quasi immaginaria. Sembrava un sogno, tutta la sua vita lo sembrava, un brutto sogno che Jimin non riusciva a comandare, lo viveva e basta.

«Arrivo.»

E Jimin, per pochi istanti della sua vita, riuscì a sentirsi la persona più felice del mondo. Ma la felicità, per Jimin, aveva il nome di Min Yoongi ed era una lontana fantasia che gli faceva battere il cuore di indicibili emozioni fasulle.

𝟑 𝐌𝐈𝐍𝐔𝐓𝐈 𝐃𝐎𝐏𝐎 𝐈𝐋 𝐓𝐑𝐀𝐌𝐎𝐍𝐓𝐎 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora