jū roku : 𝚠𝚊𝚜𝚝𝚎

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La vita di Jimin era un quadro indelebile dipinto con pennellate rosso sangue e schifose paranoie scriteriate. La dipingeva lui stesso nel buio della notte, sotto la Luna amica che gli aveva fatto perdere la via dell'Iperuranio e l'aveva confinato sulla Terra a fianco ai suoi demoni prediletti.

S'era obbligato ad alzarsi dal suo comodo letto – le quali morbide braccia di cuscini l'avvolgevano e lo coccolavano – alle sette e sette minuti, e con gli occhi chiusi s'era infilato i primi vestiti che aveva trovato sulla sedia. Non aveva ancora superato il corridoio e già sentiva le voci degli studenti stridergli le orecchie e piantarli un coltello tra le scapole.

Ma l'hai visto quel Park?

Camminò a passo svelto tra i corridoi, scappava dalle ombre che l'aveva raggiunto e dalle voci degli studenti che gridavano maligne parole aspre che gli dolevano lo stomaco. Le ombre lo inseguivano strisciando sulle pareti, ingurgitavano la felicità fasulla di Jimin e correvano al suo fianco gridando, ridendo con i denti insanguinati.

«Jimin-ah, devi consegnare il progetto entro la fine dell'ora», Taehyung gli scosse la spalla. Jimin lo guardò, era seduto di fianco a lui nell'aula di pittura. La tela bianca era posta sul cavalletto di fronte lui, era privata dell'arte straccia che tanto inseguiva Jimin sulle pareti della stanza.

«Si», Jimin scosse la testa e afferrò il pennello.

«Sfigato.»

«Che hai detto?» incontrò le iridi di Taehyung.

«Nulla», si guardò intorno spaesato.

Jimin si morse le labbra, ripose lo sguardo sulla sua tela: le ombre erano corse sull'intreccio di fili, ballavano senza musica e si lanciavano coltelli affilati una contro l'altra. La tela aveva preso un colorito scarlatto, le ombre indossavano le maschere dei drammi grechi e lo fissavano con le iridi melliflue, colme di menzogne e prese in giro.

«Jiminie, se non finisci la Choi ti ammazza», Taehyung lo scosse di nuovo.

«Si, hai ragione», annuì. Il fiatò gli mancò, il cuore perse un battito e il pennello gli cadde dalle mani. Sobbalzò quando una piccola ombra camminò sulla tavolozza di legno, si buttò nel lago ghiacciato e saltò fuori dalle lastre gridando.

«Chim, che succede? Ti senti male?» Taehyung posò la sua arte sulla tavolozza, era perfetta e immacolata, un perfetto vaso in ceramica privo di crepe, al contrario di quella di Jimin che era spiaccicata, crepata, distrutta e sbriciolata. «Ti sei già stancato di ballare, Jiminie?» La voce di Taehyung era arrochita, un sibilo lontano che gli accarezzava le ossa, una lama che sbatteva sonante sulle sue costole. Le vedeva le ombre dimenarsi sul suo cuore, ingabbiate dalla sua cassa toracica che gli strappavano i tessuti per farsi strada tra la selva.

Jimin puntò gli occhi su quelle dell'amico, lo guardò per infiniti secondi con un'espressione vuota a dipingergli il viso.

«Jiminie?»

«Sto bene, Tae, sono solo-» Jimin rimase in silenzio.

«Solo?» gli strinse la mano sul braccio.

«Sto bene.» Ma Jimin non stava affatto bene e Taehyung l'aveva capito.

𝟑 𝐌𝐈𝐍𝐔𝐓𝐈 𝐃𝐎𝐏𝐎 𝐈𝐋 𝐓𝐑𝐀𝐌𝐎𝐍𝐓𝐎 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora