jū ni : 𝚓𝚊𝚖𝚊𝚒𝚜 𝚟𝚞

194 25 7
                                    





Lacrime cristalline s'abbattevano con impeto sulla felpa dal color delle giunchiglie, s'infrangevano sul tessuto a grondanti fiumi mentre la stanza s'impregnava di flebili singhiozzi. Con la vista annebbiata dalle lacrime, le pareti si muovevano sinuose intorno la sua mente liquefatta, lì dove figure informe danzavano al gran galà.

Nascondeva il viso sotto il cappuccio della felpa, s'allontanava dal vociferare frenetico della sala da ballo su cui i suoi occhi non osavano poggiarsi. Jimin singhiozzò, si strinse nelle spalle quando l'ennesimo grido arrivò dalle coppie danzanti sulle pareti.

Sentì una mano nel petto. Sentì il cuore essere afferrato da aguzzi artigli e stritolato fino a far uscire fino all'ultima goccia di quel succo di sentimenti dolciastri.

Le ombre non la smettevano di urlare e il suo stomaco stava facendo un viaggio tra le lame di un frullatore. Sentiva la nausea. Sentiva gli occhi delle pareti che lo fissavano, che gli penetravano nella pelle e gli dilaniavano le budella; sentiva la mente vuota, non riusciva più a capire se ancora ne possedeva una o se le sue cervella fossero state massacrate insieme alle ombre sulle pareti.

Jimin singhiozzò mentre i suoi occhi si coprivano dalle scene sanguinolente che davano spettacolo sui muri della stanza, mentre le sue viscere venivano dilaniate e il cervello spappolato, ridotti a un frullato rivoltante dal sapore amaro.

Datti una controllata ma Jimin riusciva solo a piangere in un angolino della sua camera, avvolto dalle tetre ombre che danzavano e s'ammazzavano.

«Jiminie», sussurravano lamentose. «Vuoi ballare con noi?»

Le corde vocali erano leoni indomabili, la voglia di gridare alle ombre era così forte che a stento riusciva a stare in silenzio.

Le dita tremarono quando cercarono il cellulare sul comodino, composero il numero a memoria e quando il primo bip riecheggiò nella stanza le ombre sobbalzarono e si strinsero sulle pareti fino a diventare minuscole figure ondeggianti.

«Yoon», Jimin singhiozzò, la voce si ruppe, le lacrime rovinarono i lineamenti angelici. «Puoi venire qui? Ti prego.»

E Yoongi non tardò ad arrivare, s'arrampicò sui tralicci facendo attenzione a non incespicarsi nei rampicanti ed entrò dalla sua finestra e s'avvicinò di fretta a lui.

Si sedette di fianco a lui, le mani s'appoggiarono intorno alle guance, gli asciugò le lacrime amare che gli solcavano la pelle, fece scontrare i loro occhi e le ombre sulle pareti s'accasciarono sul pavimento fino a farsi risucchiare.

«Perdonami, Yoon», s'aggrappò al suo collo, lo strinse a sé, voleva sentirsi amato tra le sue braccia, voleva sentire il calore del suo corpo avvolgerlo e sciogliere il suo cuore ghiacciato. «Perdonami, io non volevo-»

Yoongi gli carezzò le guance, sorrise appena. «Tranquillo, Jiminie.» Il minore abbassò lo sguardo. «Guardami, non ti preoccupare, non fa nulla.»

«È solo che-» Jimin singhiozzò, si ritrovò ad annegare nei suoi occhi. «Ti amo», s'avventò sulle sue labbra, «Ti amo così tanto.» S'aggrappò alle sue spalle, lo spinse verso di sé, gli baciò la bocca con voracità. Sentì le labbra di Yoongi piegarsi in un sorriso sotto le sue; le mani gli stringevano la pelle e Jimin riusciva a sentirsi desiderato, a sentirti amato e accettato in un mondo in cui gli occhi spietati e straripanti di ripugnanza e arroganza sembravano tutti quanti puntati sul suo esile corpo.

«Ti amo anch'io.» Jimin si perse interi secondi tra le sue iridi cioccolato prima di sentire il maggiore premere le labbra sulle sue, gli strinse la carne, lo fece mettere a cavalcioni sulle sue gambe. Le labbra s'allontanavano per dei fugaci «ti amo» sussurrati sulla pelle. Il cuore di Jimin saltava, ballava nel suo petto mentre fremeva sul maggiore, si sentiva così felice che avrebbe potuto farsi ripetere quelle due parole per sempre.

I bacini si scontrarono, gli ansimi s'infransero sulla pelle, mentre i vestiti finivano buttati nei remoti angoli bui della camera.

«Ripetilo ancora», Jimin gli posò le mani sulle guance, gli sfiorò le labbra, un tremito gli scese lungo la schiena quando le dita di Yoongi gli accarezzarono la pelle nuda delle cosce, salirono sui fianchi e lo strinsero a sé.

«Ti amo, Park Jimin», gli baciò le labbra, «ti amo», un bacio sulla mascella, «ti amo da impazzire», un bacio sul collo per poi avventarsi di nuovo sulla sua bocca.

I corpi si unirono, i fiati si mescolarono e i gemiti sconnessi riempirono la stanza. Lì, dove le ombre delle pareti osservavano invidiosi la scena dei due amanti sotto le lenzuola.

Jimin gemette, ansimò quando la bocca del maggiore s'impossessò del suo collo, s'aggrappò alle ciocche menta e incastrò il viso nell'incavo del suo collo.

«Ti amo, Yoon», lo sussurrò al suo orecchio per l'ennesima volta.

S'abbandonarono a quel piacere smodato, gemettero prima di arrivare al culmine del piacere e far infrangere i loro nomi sulla pelle uno dell'altro.

Con i petti ansimanti e le gambe intrecciate, Jimin gli sfiorò le labbra. Gli spostò le ciocche menta dagli occhi, si sentì afferrare con forza da quelle iridi magnetiche. Lo sguardo dipinto sul volto di Yoongi era ineffabile: gli occhi si erano incollati ai suoi, le stelle avevano preso a danzare intorno alle loro teste e Jimin sarebbe potuto annegare nelle sue iridi svenevoli.

«Penso di aver ritrovato la mia arte smarrita», le dita gli sfiorarono le guance.

«Si?»

«Si», annuì. «La vedo riflessa nelle tue iridi, Yoon. È eterea come il tuo viso serafico e, Dio, è la quintessenza impeccabile.»

𝟑 𝐌𝐈𝐍𝐔𝐓𝐈 𝐃𝐎𝐏𝐎 𝐈𝐋 𝐓𝐑𝐀𝐌𝐎𝐍𝐓𝐎 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora