Capitolo 20

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"Mikeeeee è l'ora della buonanotteee" 

Signore! Perchè? Non ero in condizioni per dare il bacio della buonanotte. 

Scott se ne accorse e li fermò. 

"Bambini che dite se vi porto nella vostra stanza e Mike ci raggiunge tra 5 minuti?" disse facendo una piccola risata che cercò di trattenere, ma che alla fine uscì lo stesso. 

Riuscì a portare via i gemelli così da darmi il tempo per ricompormi. 

La prossima volta la sigillo quella porta!

Quando riuscì a mandare a nanna il piccolo Mike, andai nella stanza dei gemelli che mi stavano aspettando. 

Si fecero raccontare ben tre storie prima di addormentarsi. Ero esausto. 

Tornai in camera e trovai Scott sul letto con dei boxer e una maglia bianca a maniche corte che leggeva un libro. 

"Ce ne hai messo di tempo!" rise 

"Non volevano addormentarsi! Si sono arresi alla terza storia!" 

Rise ancora. Io nel frattempo mi ero messo il pigiama. Avevo dei boxer neri e una canotta grigia. Mi stesi vicino a lui e gli dissi 

"Lo sai che quando ridi sei proprio bello? E poi ti escono quelle fossette che mi fanno uscire pazzo" mi avvicinai e gli diedi un bacio sulla guancia. 

Lui si imbarazzò. Lo vidi chiudere il libro e togliersi gli occhiali che indossava solo quando leggeva. Lì posò sul comodino e si girò verso di me. Mi sorride e mi abbracciò. 

"Lo sai che mi sento al sicuro tra le tue braccia?" 

"Lo sai che ti amo sempre di più quando dici queste cose?" 

Gli diedi un bacio in fronte. Leggero e delicato. 

"Posso farti io una domanda questa volta?"

"Si dimmi" 

"A tavola quando tua madre mi stava fissando tu le hai detto una cosa. Le hai detto "Ho ascoltato il mio cuore". Che significa?" 

"Ieri sera dopo aver parlato al telefono con te sono sceso in cucina e stava mamma. Abbiamo iniziato a parlare e le ho detto che avevo paura. Paura di aprire il mio cuore. Paura di soffrire ancora. Lei ha detto che non dobbiamo lasciare che la paura condizioni la nostra felicità e che dovevo semplicemente ascoltare il mio cuore" mi guarda "cosa che ho fatto oggi pomeriggio quando mi sono lasciato andare con te" mi sorride felice. 

Lo bacio. 

Lo amo così tanto. 

"Voglio raccontarti una storia" mi dice Scott 

"Non sono mica uno dei gemelli" 

"Stai zitto stupido" dice ridendo. Poi inizia. 

"I miei sono grandi lavoratori. Hanno sempre lavorato duramente per poterci dare un futuro. Come sai mia madre è un avvocato e mio padre è nelle forze speciali dell'esercito. Anche quando ero più mancava spesso da casa per lunghi periodi e mia madre lavorava tutti i giorni e tutto il giorno. Ma nonostante questo, non mi hanno mai fatto sentire o pesare la loro mancanza o assenza. Magari saltavano delle recite o dei saggi, ma non ci rimanevo male, perché sapevo che nel momento del bisogno sarebbero sempre stati pronti a correre da me. Avrebbero smosso mari e monti per me e, anche quando loro non c'erano, mi sentivo amato.

Di conseguenza, quando loro lavoravano, io stavo a casa dei miei nonni.
Li adoravo. Adoravo passare del tempo con loro.
Mio nonno mi raccontava tante storie sul suo passato, sulla sua gioventù, sulla sua vita e mi insegnava tutto sul giardinaggio e sull'agricoltura.
Mia nonna invece mi insegnava a cucinare e a fare i biscotti e i nostri pomeriggi preferiti li passavamo a vedere film romantici, e ogni tanto il nonno si univa a noi, per poi sprofondare in un rumoroso sonno profondo sulla sua poltrona, mentre la nonna gli lanciava le ciabatte per farlo svegliare e smettere di russare. Erano delle scene davvero divertenti da guardare.
Lei era una grande appassionata di film d'amore. Aveva una collezione che faceva impallidire qualsiasi videoteca.

Forse è per questo che sono sempre cresciuto con l'idea di una grande storia d'amore, di quelle che ti fanno mancare il respiro, che ti fanno riempire gli occhi di felicità in ogni momento, sia che ti trovi davanti a quella persona, sia che tu ci stia solo pensando. Quell'amore che ti rende completo e che ti riscalda il cuore.
Ho sempre desiderato trovare il mio lui e per un certo periodo credevo anche di averlo trovato, ma l'amore che provava per me era un amore malato, di quelli che ti fanno soffrire e che ti lasciano con delle cicatrici che purtroppo sarai costretto a portarti dietro e dentro per sempre.

Forse ero troppo disperato dall'idea di non riuscire a trovarlo che quando quell'unico ragazzo si interessò a me, io abbassai completamente la guardia e sono stato stupido. 
E' imbarazzante da ammettere, ma quello con Stacy, fino a quel momento, era l'unico contatto che io avessi mai avuto. Ero l'unico ragazzino gay (dichiarato) della scuola, che vive in un piccolo paesino del Texas e la cui città più vicina è a qualche ora da qui. 

Non era così semplice trovare qualcuno interessato a me.
Nessuno si era mai avvicinato, nessuno aveva mai flirtato. Ad un certo punto iniziai anche a pensare di non essere tutto questo grande splendore. Ma grazie a Lucas e ai suoi schiaffi dietro la testa tornavo alla realtà. Credo di aver pensato ad un certo punto che si divertisse anche." 

Lo tenevo ancora stretto a me e sentì che iniziò ad irrigidirsi così gli lasciai un bacio sulla guancia per fargli capire che ero lì, pronto ad ascoltarlo e proteggerlo. Fece un respiro profondo.

"Una sera fummo invitati, non ricordo nemmeno da chi, ad una festa a casa di Wes e lì lo vidi. Era bello, carismatico. Uno di quei ragazzi che ti rapiscono con un solo sguardo. Di quelli che attirano l'attenzione ovunque vadano. E fu così anche allora. Appena mi vide mi sorrise e mi fece l'occhiolino. Era la prima volta per me e non seppi cosa fare, così lo ignorai pensando che avesse sbagliato, o che ci fosse qualcuno dietro di me o che avesse qualcosa nell'occhio. Insomma pensai che fosse impossibile anche perchè aveva una certa reputazione con le ragazze." 

Si fermò di nuovo. 

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