« Oh... Hayley. »
Il suo sguardo spento rivolto a me. La sua bocca non si curvò in un sorriso, si limitò a pronunciare il mio nome, in modo duro, e una scheggia mi trapassò lo stomaco. Cercai di avvicinarmi, ma ero immobile, davanti alla Irynee che non riuscivo a riconoscere davvero. Era l’ombra di se stessa, e io non avevo fatto niente per impedirlo. Avrei voluto abbracciarla, ma il suo aspetto, la sua presenza, mi terrorizzava. Sembrava il Cubo Mietitore, che veniva a prenderti quando il tuo filo veniva tagliato per sempre. « I... Irynee... » ripetei, ancora incredula. Lei, in risposta, si girò verso Grimay, per seguirla. Aveva una sola valigia, e la faceva strisciare rumorosamente sul pavimento. Un attimo, e lo shock si trasformò in preoccupazione; feci un scatto, tentai di afferrarla per un braccio, per poi ritrarre subito dopo la mano. Il suo polso.
« Cosa significa – le alzai la manica della felpa, guardando con i miei stessi occhi, prima nemmeno ci ero riuscita, le ossa malamente ricoperte dalla pelle bianca – questo?! » la graffiai con la voce. Pareva così debole che pensai di averla graffiata anche fisicamente, ma continuai a guardarla. Si liberò bruscamente dalla presa, e quasi non si resse in piedi per il contraccolpo. Era troppo esile, c’era qualcosa che non andava. I tratti del viso scarni e scheletrici, le guance scavate, le ossa in bella mostra...
Irynee... è anoressica...
Non riprovai più a trattenerla, perché il suo sguardo fisso mi aveva paralizzata, e mi aveva convinta di lasciarla stare, almeno per il momento. Non erano occhi pieni d’odio, no... non ne sarebbe mai stata capace. Era una richiesta d’aiuto, formulata male. “Stammi lontana, ma aiutami”. Indietreggiai, fissandola mentre se ne andava. Mi bloccai quando mi accorsi di aver pestato il piede a qualcuno. « Oh, scusa » sussurrai per cortesia, senza nemmeno girarmi. Lo feci subito dopo, quando la stessa persona mi cinse i fianchi da dietro, abbracciandomi.
« Tutto bene? »
Voltai leggermente la testa. Neanche me lo ricordavo, che aspettava di parlarmi, imbambolato nell’atrio ad assistere alla scena di me abbandonata per la mia strada. Me ne resi conto solo in quel momento. « Non tutto. Lei era la mia migliore amica. » mormorai ancora, mettendo le mani sulle sue, strette al mio bacino. Mi vergognavo per quello che avevo fatto, e sarebbe stato peggio non dirglielo, perché il senso di colpa sarebbe rimasto. «Era? » rispose lui. La sua voce mi sembrò sincera, voleva davvero sapere cosa mi tormentava, e darmi un consiglio, per quanto possibile. « Sì, era. Non hai visto come mi ha trattata? – sciolsi la sua stretta, mi girai faccia a faccia, decisa a cambiare argomento. Non dovevo focalizzarmi su me stessa. – Comunque, c’è qualcosa che dovevi dirmi? Ho sentito da, Marley... che mi cercavi. »
Justin incrociò le braccia, ridacchiò sotto i baffi ma non aggiunse altro. Cavolo, se lo sapeva già, ero fottuta. Non mi sarei affatto stupita se fosse stato così. Lui era in grado di scoprire cose di questo genere, per quanto tu possa impegnarti a tenerle nascoste. Nonostante questo, evitò e sorvolò la piccola bugia, se in una qualsiasi ipotesi lo avesse saputo. « Volevo parlarti di una cosa importante, ma... è meglio andarsene, è quasi ora del coprifuoco. Ti va di... venire in camera mia? » propose indicando le scale. Arrossii sbarrando gli occhi, ma annuii con indifferenza camuffata. Non volevo sembrare indisposta o maleducata, non c’era nulla di ambiguo, voleva solo parlare... giusto?
« Ok » dissi annuendo. Evitai il suo sguardo per dieci minuti buoni, anche perché non potevamo parlare o distrarci: i professori giravano dopo il coprifuoco per controllare se c’erano fuggitivi, e se ci avessero scoperti avremmo ricevuto una punizione. Ringraziai questo sistema, almeno il nostro silenzio non era imbarazzato, ma attento. Quando arrivammo davanti alla porta della camera, tirai un sospiro, non molto sicura se fosse di sollievo. «Guardami le spalle » ordinò Justin, mentre apriva la porta. Contrassi la mascella, voltandomi e trattenendo il respiro. Avevo caldo e stavo impazzendo.
« Ecco qui » annunciò poi, entrando nella sua stanza. Varcai subito dopo la soglia, e rimasi sorpresa dalla differenza delle stanze mia e sua. C’erano gli stessi mobili, ma in posizioni diverse: la finestra era a destra, vicino al letto, la scrivania a sinistra, la porta del bagno dove nella mia camera c’era la finestra. Adocchiai una sedia, ma Justin mi invitò a sedermi sul letto. « Fa’ come se fossi... a casa tua » sorrise, percorrendo ampio con una mano il perimetro della stanza. Sorrisi di rimando. Lui si sedette accanto a me.
« Oggi ti ho cercata tutto il giorno... perché non ti sei fatta vedere? – si interruppe subito, scuotendo la testa – No, no, scusa. Mi è uscita una domanda stupida. Non volevo chiederti questo. » balbettò un po’, mi fece sorridere. Capitava poche volte nella vita di vedere Justin Bieber insicuro e titubante. Lo fermai. « Avevo solo bisogno di stare da sola, ma tranquillo, non è colpa tua. » risposi, omettendo la piccola bugia, che ancora dubitavo non sapesse già. Aspettai che continuasse, mentre con un piede picchiettavo sul pavimento, mettendo in bella mostra la mia ansia.
« Ehm... » mormorò. Tutta quell’attesa mi faceva venir voglia di strapparmi i capelli, correre via, cambiare identità e Paese, o semplicemente incitarlo a parlare. Sollevai le sopracciglia e sorrisi come per trasmettergli sicurezza, ma se fosse davvero possibile passare le emozioni, di sicuro non sarebbe stata sicurezza, ma terrore. « In poche parole, volevo... – abbassò la voce, non sapevo se per l’orario tabù o per timidezza – parlare di noi. Te lo dico chiaramente, siamo fermi ad un punto morto, e non so cosa pensare di te e me... insieme. Scusa se sono frettoloso. »
Sbarrai gli occhi, diventando rossa. Il sudore era diventata la mia nuova pelle, e per un momento pensai di svignarmela, perché era uno scherzo, era tutto successo così in modo rapido che non poteva essere vero. Anzi, lo era, e aveva ragione. Basta piangersi addosso: continuavo a scappare dalle cose importanti senza provare ad affrontarle perché non volevo rischiare di rovinare tutto, di andare avanti e vedere cosa c’era dietro la porta chiusa. Era un nuovo “mondo” per me, « cosa devo fare? » era la mia più frequente domanda. In effetti, cos’eravamo noi due? Uscivamo – per modo di dire – insieme, eravamo una coppia? Ero la sua ragazza, o era solo una storia da aggiungere alla sua lista già piena e alla mia ipotetica? “Cos’era?”
« Io... penso che- »
Qualcuno bussò alla porta. Justin mi afferrò la mano, segnalandomi di stare zitta, di non respirare o fare il minimo rumore. Aspettò pochi secondi, poi intonò un « Sì? » incerto e sospettoso. Qualcosa scivolò sotto alla porta, dallo spiraglio: una lettera, con tanto di busta chiusa. « Justin, sono Grimay. Perdonami il disturbo e l’ora, ma ti è arrivata questa e non volevo farti aspettare. Penso sia molto importante. » sentimmo i suoi passi sempre più lontani, e quando fummo sicuri che se ne fosse andata, tirammo un sospiro di sollievo. Mi girai verso Justin sorridendo, cercando di essere di nuovo spontanea e ironica, ma rimasi in silenzio. Vidi il suo sguardo che fissava la lettera che teneva nella mano, leggermente tremante. Mi sporsi di poco per non essere troppo invadente, e lessi un nome sconosciuto. “Jeremy Bieber”, ma abbastanza familiare da capire che era un parente di Justin, probabilmente il padre. La sua bocca si mosse, e come la mano, anche le labbra tremavano, fissando le lettere incise sulla carta.
« ... papà...? »
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"USELESS"
Teen Fiction"Un gesto lento, la pistola raggiunse la tempia di Phil. «Hayley... promettimi una cosa.» Un suono distinto, caricò l'arma. Le gambe mi tremavano. «Vivi per me.» Phil sorrise per l'ultima volta." "«Sei in arresto per l'omicidio di Hayley Morgan, hai...