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La osservai attentamente, ritrovandomi a sorridere senza essermene accorto. «Perché sorridi?» mi chiese lei, agitandomi una mano davanti agli occhi. Probabilmente ero rimasto a guardarla a lungo, mentre camminavamo per il corridoio. «Niente, pensavo ad una cosa divertente e mi è venuto da ridere» risposi, facendo spallucce. Nello stesso momento, il cellulare nella mia tasca vibrò, attirando la mia attenzione. Lo presi fuori ed Hayley sussultò, basita. «Cosa?! Come hai fatto ad avere il telefono?! Non lo ritirano sempre appena si arriva al college?». Lessi velocemente il messaggio di Harry, che annunciava "Siamo pronti". Rimisi il telefono a posto e replicai: «Ho chiesto a Grimay di lasciarmelo per oggi. Aspetto un sms importante». Aggrottò la fronte in modo sospettoso, increspando le labbra, ma non chiese nient'altro. «Ok... che fortuna» si limitò a dire.


Abbassai lo sguardo e istintivamente le presi la mano dove si era messa l'anello, facendola trasalire. Si girò verso di me, cercando di sorridere senza mostrare il suo nervosismo, e io ricambiai più sicuro. Raggiungemmo la mensa in poco tempo; individuai immediatamente Niall, seduto vicino a Harry ad un tavolo isolato. Hayley li salutò, sorpresa di vederli. Il riccio mi lanciò un'occhiata d'intesa, e io proposi di andare a fare un saluto. «Hey, come mai solo voi due?» esordì Hayley. Niall ridacchiò e iniziò a spiegarle il motivo. In un attimo la chiave nella mia mano passò a quella di Harry, per poi finire nella sua tasca. «...quindi siamo venuti qui per questo mo... – Niall si bloccò, guardando l'orologio – ah, è ora! Dobbiamo andare, a dopo» e si volatilizzarono, lasciando Hayley stordita. «Ma che avevano?» domandò girandosi verso di me. «Non lo so, forse erano di fretta». Tentai di rimanere vago ma convincente, per non destare più sospetti di quanti non ne avesse già.


Nonostante questo, sembrava andare tutto bene. Iniziai a parlare, tenendola per mano, quasi trascinandola. Mi guardavo attorno, sorridendo, perché non vedevo l'ora di renderla felice. Immaginavo il suo viso in lacrime, sorpresa per tutto quello che avevamo fatto, incredula di poter finalmente festeggiare il suo compleanno. «Dove vuoi andare? Se ti va, potremmo andare sul tetto, o nell'aula di st...». Mi bloccai all'improvviso. Hayley si era fermata, tirandomi la mano intrecciata alla sua. «Justin.» sussurrò fissando il pavimento. «Cosa c'è? Ti senti bene?» chiesi preoccupato. Lei scosse la testa, poi sostenne i miei occhi. «Ti va davvero bene che io me ne vada?».


Socchiusi la bocca, cercando la cosa giusta da dire per soddisfarla, ma non ci riuscivo. Se avessi detto di sì, avrei mentito, ma non l'avrei fatta sentire in colpa. Se invece avessi risposto di no, sarei stato più sincero, ma Hayley non se lo sarebbe mai perdonato. Sorrisi tentando di sembrare persuasivo, e diedi la mia risposta: «Se a te va bene così, io lo accetto.» Lei però reagì in un modo diverso di come me lo aspettavo. Scosse bruscamente il capo, accigliandosi. «No! – esclamò – Anche se io non volessi, non potrei fare nulla. Sei tu, quello che deve essere d'accordo... perché non sai quanto farebbe male... andarsene senza il tuo perdono.» si appoggiò una mano sul petto, all'altezza del cuore. La osservai mentre si rimpiccioliva davanti ai miei occhi. Non era una sua decisione, non lo poteva essere. Erano "i grandi" che sceglievano il suo destino, e tutto questo era ingiusto.


Rimasi fermo, colpito da come era crollata in fretta. Le appoggiai una mano sulla testa e le accarezzai i capelli. «Hayley – spostai la mano sulla sua guancia – vuoi la verità? Se potessi, farei qualsiasi cosa per tenerti qui con me. Non sono d'accordo, e non sono felice. Cosa possiamo fare, allora? Deprimerci fino al giorno della tua partenza, o stare insieme il più possibile, senza pensare al futuro?». Vidi la sorpresa velarle il viso, gli occhi sbarrati, la bocca socchiusa, le sopracciglia alzate. Forse si era chiusa in una gabbia antisuono, evitando il mondo che la circondava per non soffrire. Non si accorgeva che dentro di lei succedeva l'esatto opposto di ciò che voleva ottenere? Non capiva che scappando via dalla verità, accorciava solo il tragitto verso la perdita completa di se stessa? Se fosse tornata indietro sui suoi passi, la voragine si sarebbe rimpicciolita sempre di più, e non l'avrebbe più risucchiata. «Hai ragione.» mormorò, sollevando gli occhi da terra. Si aggrappò alle mie braccia, che adesso erano piegate. Le mie mani, appoggiate alle sue guance rosse, sembravano quasi sorreggere Hayley, pronta a cadere da un momento all'altro. Le sue tremavano, lo sentivo sulla pelle dell'avambraccio. Si avvicinò e mi baciò delicatamente, come se avesse avuto paura di sbagliare. «Non ho intenzione di sprecare il mio tempo. Vivrò fino all'ultimo secondo» sorrise.


"Viviamo" pensai io. Voleva scordarsi di tutto e andare avanti, buttarsi in pieno nel mare aperto. Anche io volevo vivere, e ci sarei riuscito. Sarei riuscito a farle passare nel modo più bello che potessi pensare anche l'ultimo secondo dentro al Kindfun College.


«Da quant'è che non pulisci la tua stanza?» esordì Hayley, entrando in camera mia, facendosi strada tra vestiti, fogli stropicciati e libri. Rischiò quasi di inciampare sul paio di scarpe che preferivo, ma si appoggiò alla scrivania con un sospiro di sollievo. «Sembra di essere in una giungla...» detto questo, iniziò a raccogliere le varie cose sparse sulla moquette. Piegò la maglia, stirò con la mano i pantaloni, prese i fogli e li sistemò sul tavolo. «Il tuo istinto di donna si è risvegliato» affermai ridacchiando. Lei mi rispose con una smorfia, arricciando il naso.


«Qualcuno lo deve pur fare. E con questo, non intendo solo me.» aggiunse, mentre, inginocchiata, raccoglieva un altro foglio. Quella frecciatina mi fece capire che anche io dovevo sgobbare, perciò mi girai e iniziai a rifare il letto, sbuffando. Dopo un po' mi accorsi che c'era troppo silenzio, mi voltai e la vidi immobile a leggere quel foglio. Compresi solo in quell'istante che cosa fosse, e con uno scatto la fermai, esclamando: «No, Hayley, non leggere!» ma era troppo tardi. Mi sentii in imbarazzo, e una sensazione di vergogna mi colpì in pieno viso. Lei, senza alzare lo sguardo, mi chiese: «Quando lo hai scritto?». Mi avvicinai e tentai di ricordare ogni singolo particolare di quel giorno. Pezzo dopo pezzo, mi immersi dentro la mente di me stesso sedicenne, perso e senza speranze. Chiusi gli occhi e: «Tre anni fa.» mormorai, accompagnando le mie parole con un cenno della testa. Qualcosa mi toccò la mano, costringendomi a guardare: il foglio in mano ad Hayley, spinto contro le mie mie dita. Lo afferrai e lessi con il cuore che ad ogni parola batteva più forte. Sentivo un nodo salirmi dallo stomaco fino alla gola leggendo frasi come "Voglio morire", "Perché esisto?", "Sono solo uno sbaglio" in cui non mi rispecchiavo più, ma la persona che le aveva scritte sapeva bene cosa provasse, mentre con la mano tremante faceva scorrere la penna sul foglio. C'era anche un pezzo sulla morte di mia madre, una parte su Sarah. "L'unica cosa che mi rende vivo è stare con lei. Forse non dovremmo imbucarci nelle aule abbandonate per fare sesso, ma non c'è nient'altro che discosti la mia esistenza dalla noia e dalla mia pateticità." Nascosi il labbro inferiore sotto quello superiore, mordendolo. «Io... non so cosa dire, se non che... mi dispiace...» dissi con un filo di voce. Hayley si alzò, scuotendo la testa mentre afferrava una penna dalla scrivania e me la porgeva insieme ad un foglio bianco. «Pensi ancora quelle cose?» domandò. «No. Non più» abbozzai un sorriso.


«Allora prendi questo foglio e scrivi cosa pensi adesso della tua vita. Non ora, ma in questi giorni. Poi dallo a me. Voglio andarmene sapendo che non c'è più un briciolo di quei pensieri nella tua testa. E adesso...» mentre parlava, prese un lembo del foglio vecchio.



Intuii subito le sue intenzioni, afferrai quello opposto e con un solo sguardo mi diede il via: tirai insieme a lei e sentii il suono dello strappo. Il foglio si lacerò in mezzo, e cadde per terra quando lasciammo andare le due parti. Mi sentii sollevato, come se quel giorno potesse essere davvero scomparso dalla linea della mia vita. «Non esagero quando dico che sei la persona più fantastica che io abbia mai conosciuto.» la abbracciai in modo spontaneo, e lei ricambiò ridacchiando.

«Grazie, ma anche se mi dici che non scherzi, continuerò a non crederci.» mormorò, con voce malinconica. Accompagnai la sua risata sincera.


Dicevo la verità, e non avrei cambiato idea. La sua non era solo bellezza fisica: era una bellezza unica. Ingenua, inconsapevole del suo talento nel migliorare le persone, anche troppo umile; non avrebbe mai ammesso a se stessa che quel giorno in cui mi ero sfogato scrivendo sul foglio era sparito nel momento in cui era arrivata lei. Chiunque avrebbe affermato con sicurezza che Hayley Morgan aveva cambiato la vita di tutti. Aveva salvato la mia. E la sua partenza avrebbe riportato tutto alla normalità. Quella normalità... che tanto odiavo. La strinsi più forte, pensandoci. «Hayley...» mormorai, immergendo il viso tra i suoi capelli. «Sì?» alzò leggermente la testa.
«Ti prometto che... non importa cosa accada, verrò a portarti via da quell'Inferno, appena posso. Lo giuro sulla mia vita. Ti salverò.» affermai, sollevando il capo. I suoi occhi verdi diventarono lucidi, quando la guardai. Si avvicinò lentamente, poi di scatto iniziò a baciarmi portando le mani sulle mie guance. Erano baci ripetuti, forti ma non violenti, perché era l'enfasi che l'aveva fatta agire improvvisamente. Era così felice che mentre mi baciava la sentivo ridacchiare sulle mie labbra. «Stupido, stupido, stupido» esclamava tra un bacio e l'altro. «Hayley, calmati!» non riuscii a trattenermi e cominciai a ridere anche io, mentre indietreggiavo spinto dalla sua frenesia. Sentii il bordo del letto contro le gambe, e riuscii ad invertire le posizioni appena in tempo. Hayley cadde sulle coperte, ed essendo ancora avvinghiata a me, mi trascinò e le crollai addosso. Senza neanche accorgercene, smettemmo di ridere e ricominciammo a baciarci in silenzio, con più foga. Infilai le mani sotto il suo maglione, sentendo la pelle fredda, non più le ossa dovute al suo drastico dimagrimento. Stava meglio. Venne scossa da un brivido, strappandomi un sorrisetto. Ricordai l'ultima volta che ci eravamo trovati in questa situazione, prima che venisse rapita. La nostra prima volta, e ultima fino ad ora. Speravo con tutto me stesso che questa sarebbe stata la seconda.


Spostai il viso, lasciandole baci sul collo e sulle clavicole. Hayley passò una mano tremante sul mio petto, quasi dubbiosa. Forse non era sicura di ciò che stava facendo, ma allo stesso tempo voleva. O forse non riusciva a lasciarsi andare perché il pensiero di dover partire le attanagliava il cervello. «Tranquilla» le sussurrai nell'orecchio; le sfilai la maglia e rimase in reggiseno. Mi accarezzò i capelli, infilando le dita tra le ciocche, mentre con l'altra scendeva verso l'erezione, sfiorandola. Sussultai al suo tocco, e istintivamente le morsi il labbro. Si staccò un attimo dalla mia bocca e mi fece indietreggiare, costringendomi a stare in piedi davanti a lei. Scese lentamente dal letto, inginocchiandosi per terra. Rimasi un attimo sorpreso perché non mi sarei mai aspettato questa iniziativa così spudorata. Scorsi comunque un po' di incertezza, perché mi guardava di sfuggita, imbarazzata. Sbottonò i jeans tanto quanto bastava per iniziare a stimolare l'erezione da sopra i boxer. Passò più volte la mano in modo delicato, finché non decise di infilarla dentro le mutande per sfilare il membro. Mi scappò un gemito quando prese a muovere la mano su di esso con movimenti ripetitivi, talvolta veloci, talvolta lenti. Chiusi gli occhi e portai la testa all'indietro, sospirando di tanto in tanto. Quando sentii qualcosa di morbido, abbassai lo sguardo e la vidi con le labbra appoggiate all'estremità. Iniziava davvero il divertimento, e sembrava proprio che non volesse tirarsi indietro. Faceva sul serio, ed era ancora più sicura dell'altra volta.


Aveva appena schiuso la bocca, sentivo il viso caldo per l'eccitazione, il corpo che fremeva, quando si bloccò, perplessa. Guardò un punto impreciso dei pantaloni, e dopo un attimo di esitazione, sussurrò: «...vibra?». Non me n'ero accorto finché non me lo aveva fatto notare lei, ma... il mio cellulare stava davvero vibrando nella tasca dei jeans. Ci fu un attimo di silenzio, in cui entrambi eravamo senza parole, imbarazzati come non mai. Sembrava quasi la scena comica di un film, e noi stavamo immobili nelle stesse posizioni in cui eravamo prima di essere interrotti. Quando se ne rese conto, Hayley lasciò andare di scatto la mia erezione, che, non mi stupì affatto, si era completamente volatilizzata insieme all'eccitazione di quel momento. Diventò rossa in viso e si coprì con le mani, piena di vergogna. Mi rivestii, senza dire una parola, e presi fuori dalla tasca il cellulare, che in quel momento avrei preferito defenestrare. Sbuffai più di una volta. Non era possibile, proprio sul più bello, un momento rovinato. E per di più ora Hayley pareva così a disagio che dubitavo avrebbe avuto il coraggio di provarci di nuovo. «Bastavano solo cinque minuti in più, amico. Cinque.» esclamai, su tutte le furie.


"Il party sta per iniziare, ma manca la festeggiata!"


Mi inginocchiai al livello di Hayley che non aveva ancora parlato, le tolsi le mani dal viso e le sorrisi. Lei ricambiò, visibilmente insicura. «Proprio adesso, eh? Qualcuno là fuori ci deve proprio odiare» sussurrai, e lei non riuscì a trattenere una risata. «E' così imbarazzante, diamine... ma anche così buffo» commentò, e notai che aveva già superato l'imbarazzo, lasciandoselo alle spalle. Senza aggiungere altro, le scompigliai i capelli ridacchiando e mi alzai porgendole il maglione. Aspettai che se lo rimettesse, poi mi girai verso la porta, ma sentii la sua mano che mi afferrava il bordo dei jeans. «A-aspetta... - mi voltai, osservandola- senti, ma... era solo un messaggio, no? Se ci sei rimasto così male... anche io, in realtà... n-non è un problema per me, insomma, se...» farfugliò.


Le presi una mano e la feci alzare. Quando fu in piedi, le appoggiai le mani sulle spalle guardandola intensamente. «Hayley Morgan, mi stai dicendo che dopo essere stata umiliata da un sms avresti comunque intenzione di continuare?». Hayley si limitò ad annuire vigorosamente. Mi morsi il labbro, cercando di trattenermi con tutte le mie forze dall'accettare. Potevo mandare al diavolo la festa a sorpresa e usare una scusa per giustificare la nostra assenza. «Non sai quanto vorrei buttarti su quel letto in questo momento, dopo che hai detto una cosa del genere, ma... purtroppo, il buon senso mi dice che finiremmo nei casini. Abbiamo già infranto la regola dei rapporti sessuali una volta, se in più stavolta infrangiamo anche quella del coprifuoco, siamo a cavallo. Andiamo.» annunciai con un tono triste. Da quanto ero così altruista?


Lei rise annuendo. Mi prese la mano e ci scambiammo un bacio a stampo veloce prima di uscire dalla mia camera. Quando arrivammo alla sua, dopo essersi tastata le tasche più volte, si accorse terrorizzata di non avere le chiavi. Non avevamo pensato a come restituirgliele prima di farla rientrare in camera a festeggiare, ma ero sicuro che avessero escogitato un piano. «Oddio, non ci credo, ho perso le chiavi... forse le ho lasciate da te! Andiamo a controllare...»


«Ehi ehi, aspetta un attimo, Hayley! La porta è socchiusa, guarda.» la indicai senza toccarla, perché era lei che doveva fare tutto quanto. Sbarrò gli occhi spaventata, immaginando chissà quale killer nascosto nella sua camera. Aprì la porta molto lentamente, tremando. Io cercavo di trattenere un sorriso e mi fingevo preoccupato. «Accendi la luce.» sussurrai, incoraggiandola. Eravamo al buio e non si vedeva nulla davanti a noi, ma grazie alla piccola luce sul ciglio della porta potevamo distinguere le nostre sagome. Vidi Hayley voltarsi di scatto verso di me. «Ma sei pazzo?!»


«Preferisci essere uccisa senza poter portare il volto del tuo assassino nella tomba?» ridacchiai e lei mi diede un colpo deciso sul braccio, sbuffando. «Idiota, non scherzare! Ok, ok, la accendo...».


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