Here we go again.

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Angie
 

Forse stavo sognando, forse ero svenuta, ma tutto sembrava così reale che pareva impossibile pensare che fosse un’illusione uditiva. Sapevo che non era la cosa giusta, ma quello che stavo sentendo mi aveva scossa, e volevo saperne di più.
 
Ero passata meno di una settimana, circa quattro giorni, da quando avevo finalmente trovato il coraggio per parlare a Hayley Morgan; era una ragazza interessante, ma la mia timidezza mi bloccava. Ringraziai ancora una volta Justin Bieber nella mia mente, per avermi dato una scusa plausibile per rivolgerle la parola. Scossi la testa, accorgendomi di essere distratta. Riappoggiai entrambe le mani alla porta socchiusa.
 
« Sì... Nath, non possiamo fare nient’altro. Non vuole cedere.. certo che l’ho minacciato per avere la pistola!... » parlava con brevi pause, a volte alzava la voce, altre si muoveva di scatto. Ero terrorizzata dal pensiero che potesse scoprirmi. Preferivo non avere guai.
 
« Senti Nathan, aziona il piano e basta. Mi sono rotto le palle di aspettare, quello deve morire. Chiaro? ... bene. Ciao. »
 
Il suono squillante della chiamata chiusa mi fece sbiancare. Sbarrai gli occhi, sapendo che sarebbe finita male se non fossi scappata. La serratura scricchiolò, potevo immaginare la chiave che girava per aprire la porta. Mi alzai in piedi frettolosamente.
 
Mi guardai intorno, esasperata e nervosa, cercando un nascondiglio che potesse funzionare anche solo per cinque minuti. Vidi il bagno in fondo al corridoio e fui illuminata dalla luce della speranza; era quello dei maschi, ma mi ci infilai senza fare troppe storie. Chiusi la porta, facendo scattare il congegno senza chiave. Il colore rosso rimpiazzò il verde, e mi parve quasi di sciogliermi per la paur che mi stava divorando.
 
Ma non era ancora finita.
 
Una mano bussò in modo brusco e secco contro il compensato bianco della porta. Trasalii trattenendo il respiro, mi appiattii contro il muro. Rimasi in silenzio. « Ehi bello, ci sei? » la stessa voce che parlava al telefono. Strizzai gli occhi e iniziai a ricordare la sua faccia... Christian Beaver? Categoria Assassini? Capo della gang più pericolosa della scuola? Sì, sì, ero sicura, ne ero certa. Questo peggiorava le cose, ma almeno sapevo in anticipo chi mi avrebbe sfigurato il volto.
 
« Sei caduto nel cesso? – continuò lui, lo sentii battere ripetutamente il piede sul pavimento – Non ti voglio ammazzare, però datti una mossa! » sussultai sentendo quella parola minacciosa, e sperai se ne andasse, prima o poi. “Ti prego, vai via...
 
Dopo pochi minuti, il silenzio assoluto. Iniziai a rilassare i muscoli e le spalle, mi staccai dal muro. Lentamente, giunsi alla porta, e girai la serratura. Di nuovo verde. Aprii, guardai con un occhi dalla fessura della porta socchiusa se non ci fosse stato davvero qualcuno, poi uscii più tranquilla.
 
« AHH! – Christian spuntò all’improvviso da dietro a porta, ridendo e cercando di farmi spaventare con un urlo giocoso. Indietreggiai con gli occhi sgranati, serrai la bocca – Alla fine hai deciso di... UNA RAGAZZA?! » spalancò la bocca, con le mani avanti ancora sospese per aria, la risata completamente sparita. Rimasi immobile e in silenzio, senza sapere come giustificarmi. Probabilmente non mi conosceva, così un’idea mi saltò subito a mente. « S-scusa... mi sono persa, sono nuova. » tentai di dire.
 
Lui sollevò un sopracciglio. Sapevo che si stava chiedendo perché mi fossi sperduta nel bagno dei maschi, e perché mi fossi rinchiusa dentro ignorando i suoi richiami. Sperai che non mi chiedesse altre spiegazioni. Fece spallucce. Subito dopo, alzò entrambe le sopracciglia, osservai le sue varie reazioni, fino a che non mi stupì con uno sguardo malizioso. « Non è che volevi solo rimorchiare qualcuno? » esclamò in modo schietto, facendomi arrossire. Indietreggiai, sbattei contro il muro, ma mantenni la stessa espressione tesa e sorpresa. Ebbi solo il coraggio di negare con un cenno della testa, mentre lui si avvicinava lentamente.
 
Chiusi un attimo gli occhi per cercare di pensare in fretta ad un modo per liberarmi di lui e andare a “fare la spia” a Grimay, anche se solitamente non ero una spiona, e non sarei stata fiera; ma diamine, un pazzo killer voleva uccidere qualcuno, e di certo non potevo solo ascoltare standomene impalata, per poi proseguire la mia vita con un peso sul cuore. Quando li riaprii, mi ritrovai il viso di Christian ad un soffio dal mio. Sobbalzai, appiattendomi contro il muro, quasi fondendomi con esso. Avrei voluto sprofondare nel pavimento, per scappare da quel ragazzo che ero mi fissava cercando di stuzzicare il mio interesse, e sapevo che mi avrebbe fatto qualcosa se avesse saputo che avevo ascoltato la sua conversazione telefonica. Dovevo solo... stare al suo gioco? Forse sarebbe stato meglio, per me, ma mi sarei comunque ritrovata nei guai dopo che lo avrei detto. La giustizia, però, è quella che è.
 
« N-non voglio rimorchiare nessuno » balbettai, abbassando lo sguardo. Strinsi le mani a pugno, sentivo il sangue che scorreva in esse, in contrasto con il freddo marmo del muro che mi ostacolava ogni via di fuga. Era molto più alto di me, ma dimostrava circa la mia età, anno più anno meno; mi sentivo sovrastata dalla sua stazza, dal suo viso che mi squadrava attento. Mi morsi le labbra, sperai che accadesse qualcosa per costringerlo ad allontanarsi il tempo giusto da concedermi di svignarmela.
 
« Sei sicura di non volere qualcosa da me...? » mi sussurrò all’orecchio, appoggiando entrambe le mani al muro, sopra alle mie spalle. Negai ancora con la testa, gli occhi sbarrati e la bocca serrata a far trasparire il mio evidente terrore. Lo vidi ridacchiare, sicuramente se n’era accorto e voleva approfittarne, come facevano tutti. Ero una ragazza molto insicura, timida e non mi aprivo mai con gli altri. Mi sentivo invisibile in mezzo ad una folla, l’unica foglia rimasta attaccata all’albero, guardando le altre per terra, già cadute. Ma questo, probabilmente, non l’avrei saputo nessuno, perché a nessuno importava davvero.
 
« Lasciami passare, per favore. » mormorai, fissandomi le scarpe. Christian schioccò più volte la lingua sul palato,  agitando la testa in segno di divieto; l’indice della sua mano destra mi accarezzava la guancia. Feci uno scatto per respingere il suo tocco, voltai la testa. Cominciava ad infastidirmi. « Come ti chiami, tesoro? » chiese lui. « Di sicuro non mi chiamo “puttana” » ribattei subito, facendolo ridere. Forse era solo una sensazione, ma la sua risata sembrava un ghigno maligno. I brividi mi percorsero la schiena.
 
« Cosa vuoi? » finalmente ebbi il coraggio di usare l’aggressività, lo guardai con tutto il disprezzo che potevo avere in corpo, non solo per lui. In fondo, nemmeno lo conoscevo. « Quello che hai da offrire. » inarcò le sopracciglia, fece scivolare la mano sul mio fianco, avvicinò il viso al mio, nascondendolo nell’incavo del mio collo. Sussultai, sentendo il cuore che mi scoppiava nel petto. La sua mano finì sotto la maglia, toccandomi la pelle nuda e fredda, pallida come il bianco della luna. « S-smettila » balbettai, con le palpebre che fremevano ad ogni tocco.
 
Iniziò a baciarmi il collo, premendo forte sulle scapole che si intravedevano dallo scollo della maglia. Senza volerlo, gemetti. « La gattina ha cambiato idea? » parlò con un filo di voce, tra un bacio e l’altro. Sollevò il viso e cercò di baciarmi sulle labbra, ma io gli sfuggii, girando di nuovo la testa. Con l’altra mano mi afferrò il mento voltandomi il viso. Mi baciò bruscamente, tirando fuori la lingua. La sua violenza mi soffocò, sentivo la schiena che urlava dal dolore per quanto mi stava spingendo contro il muro.
 
Non potevo arrendermi, non aveva il diritto di farmi questo. Aprii gli occhi e in un attimo che sembrò andare a rallentatore, alzai la mano in aria e gli diedi uno schiaffo, allontanandolo poi con una spinta all’indietro. Christian si stupì della mia reazione improvvisa, ma si limitò a pulirsi avidamente la bocca con il braccio, continuando a sorridere. Ben presto però, quel ghigno sarebbe scomparso, quando: « Che cazzo di problemi hai?! » urlai, gesticolando.
 
« Sei la prima ragazza che mi respinge » ridacchiò, ignorando la mia accusa, Quello che aveva detto mi parve impensabile, come si poteva sopportare l’insolenza di quello stupido? « Mi prendi in giro?! Tratti le ragazze come degli oggetti, idiota! » forse stavo esagerando. Per un secondo pensai davvero che fosse finita, che mi avrebbe presa per i capelli, sbattendomi la testa contro il muro. Invece, successe tutt’altro. Incrociò le braccia, sospirando. « Pensavo piacesse il tipico “ragazzo stronzo” » ammise, facendo spallucce.
 
« Non tutte sono così, e tu sbagli » non sapevo nemmeno perché continuavo a parlarci, avrei potuto scappare e andare a fare la spia, salvando la sua vittima. Eppure, mi parve solo un semplice ragazzo insicuro, che in fondo non avrebbe mai avuto il coraggio di uccidere qualcuno. Come me. E l’unico modo per fargli cambiare idea, purtroppo, sarebbe stato dirgli la verità, perché ero lì, nel bagno.
 
« Ascolta, io... – deglutii, non sapendo come dirlo - ... insomma, io... prima, ero qua. Intendo qua, in questo corridoio. » iniziai a spiegare in modo leggero, senza correre troppo e dare subito le conclusioni; avrei cercato di prendere tempo e magari avremmo raggiunto un patto “amichevole”. « E quindi? » incitò Christian, ruotando le mani per  farmi continuare il discorso che avrei preferito non iniziare del tutto. « Ecco... tu eri... qui, anche tu eri qui. » mi sentivo ridicola, ma era l’unico modo per aggirare il vero punto della situazione.
 
Christian sbuffò. Poi, con mio stupore, iniziò a ridere, portandosi una mano sulla fronte. « Scusa, è che sei divertente. Stai cercando di dirmi una cosa che so già » disse tutto d’un fiato; fu sicuramente più diretto di me. Sbarrai gli occhi, il cuore che invece di battere all’impazzata, si bloccò per un momento. « C-cosa...? » soffiai, con un imbarazzo in corpo che non avevo quasi mai provato. « Sapevo che mi stavi ascoltando. E’ per questo che ci ho provato con te, magari riuscivo a convincerti a tenere la bocca chiusa. » chiarì. Per la prima volta, risi.
 
« E se fossi stata un maschio? » chiesi a braccia conserte, alzando un sopracciglio, sentendomi in quel momento superiore, almeno in fatto di umorismo. « Non ho niente contro questo genere di rapporti » rispose alla battuta. Aprii la bocca, incredula, e scoppiai a ridere. « Sei proprio uno stupido! »
 
Mi bloccai quasi subito, pensando a che stessi facendo. Un attimo prima lo odiavo,  e adesso scherzavo con lui. Idem Christian, che aveva in mente? Si rendeva conto che qualcuno lo aveva sentito parlare di un omicidio premeditato? Non sembrava minimamente preoccupato. « C-Christian, posso chiamarti per nome?, perché hai detto quelle cose al telefono? »
 
Avevo tastato un punto dolente, ma non si possono semplicemente raggirare i propri problemi, facendo finta che non esistano. Allungai la mano verso di lui, per appoggiargliela sulla spalla in segno di solidarietà, quando vidi che abbassava lo sguardo, ma mi bloccai. « E’ una lunga storia. » rispose, a bassa voce. Infilò le mani nelle tasche dei jeans, tamburellando il piede sul pavimento in modo nervoso. Sorrisi, e lo sentii più vicino. Come se fosse stato il mio alter ego maschile, l’immagine riflessa di uno specchio scheggiato.
 
Finalmente non ebbi più così tanta paura, e lo perdonai nella mia mente per quello che aveva cercato di farmi. Appoggiai la mano sulla sua spalla. Sorrisi di nuovo, quando lui alzò lo sguardo, sorpreso dal mio cambiamento. Avevo tanti lati, e non avrebbe mai smesso di stupirsi di me. « Ho abbastanza tempo per sentirla, allora »
 

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