Ventisette anni dopo

Secondo epilogo

Quando suo padre era venuto a prenderla a Derry e l'aveva portata ad Augusta, Catkin aveva giurata che non sarebbe mai più tornata nella sua città natale.

E invece eccola lì.

Aveva lasciato il figlio col marito. Aveva preso un permesso al lavoro. Era salita in macchina e aveva iniziato a guidare.

Per tutto il tragitto, mentre l'auto arrancava nella neve e i tergicristalli ripulivano il parabrezza dai fiocchi, Catkin continuò a ripetersi che non era nulla. Che Mike si sbagliava. Che era un vecchio paranoico.

Sì, okay, quella nevicata era un po' troppo abbondante e stava durando da un po' troppo tempo, come la pioggia incessante del novembre 1958. Ma non significava niente.

Lui era morto, l'aveva visto morire, e sua madre con lui. Non poteva accettare l'idea che la morte di sua madre fosse stata inutile. Perché, se così fosse stato, lei non sarebbe più riuscita a lasciare Derry tanto facilmente. E suo figlio sarebbe stato calamitato lì, come attratto da un'irresistibile forza magnetica. E sarebbe stata solo questione di tempo prima che iniziasse a parlare con la lavatrice.

Mike si sbagliava e lei faceva solo una visita a un vecchio amico.

Non era ancora del tutto entrata in città, che la tensione iniziò a giocarle brutti scherzi. Mentre risaliva Wentworth Street, Catkin ebbe l'impressione di scorgere, in un tombino, un balenare di denti bianchi scoperti in un sogghigno, scintillanti occhi d'argento e un guanto bianco che teneva per i fili un mazzo di palloncini rossi. Ma, quando guardò meglio, non vide nulla.

È solo suggestione! Smettila! È morto! Mike si sbaglia!

Svoltò in Witcham Street, poi in Carter Street, e da lì s'infilò in Carter Lookout, una strada che s'inerpicava su per la collina più alta di Derry, dove un tempo c'era la torre dell'acquedotto.

Quando Catkin arrivò a destinazione e non trovò la torre, non si stupì. Era crollata durante la terribile bufera che aveva accompagnato la sua morte nel 1985. Invece, trovò Mike, insieme a un uomo che non conosceva.

Catkin parcheggiò e scese dall'auto. Mike le venne incontro e i due si abbracciarono. Poi, Mike le presentò l'altro uomo.

-Catkin, questo è Henry Beaver. Ha trovato la cosa... la cosa per la quale ti ho chiesto di venire.

Catkin annuì. Decise di assecondarli, per potersene andare il prima possibile. Non chiese neanche cosa c'entrasse Henry Beaver con...con la faccenda, né quanto, o cosa, sapesse. Non aveva importanza. Dato che Mike si sbagliava.

Al posto della torre dell'acquedotto, c'era un piedistallo di pietra. Era alto un metro e mezzo. Sulla sommità c'erano due statue di bronzo, un bambino e una bambina. Erano a capo chino, come preghiera, e si tenevano per mano.

C'era un'iscrizione sul piedistallo. Catkin si chinò per leggerla.

ALLE VITTIME DELLA TEMPESTA DEL 31 MAGGIO 1958

E AI BAMBINI

A TUTTI I BAMBINI

CON AFFETTO

BILL, BEN, BEV, EDDIE, RICHIE, STAN, MIKE E LILY

IL CLUB DEI PERDENTI

Catkin osservò il nome di sua madre diventare sfocato. Si asciugò gli occhi. La commuoveva che Lily fosse stata affiancata agli altri, come se fosse una Perdente anche lei. – È molto bello – disse, ed era sincera.

Mike annuì. – L'abbiamo fatto poco dopo che sei andata via.

-È...per farmi vedere questo, che mi hai chiamato?

Mike fece una pausa. Sembrava tentato di rispondere di sì. Invece scosse la testa. – No.

Si chinò. La neve aveva sommerso la parte inferiore del piedistallo. Mike scavò, ripulendo la pietra. Apparve qualcosa di rosso.

Catkin lo fissò. Sentì l'aria uscirle dai polmoni. Di nuovo, la vista le andò fuori fuoco. Vacillò, in preda alle vertigini, nauseata.

Scritto con quella che Catkin si augurava con tutte le sue forze che fosse vernice spray rossa, ben visibile, sulla pietra, c'era un'altra scritta:

PENNYWISE VIVE

Catkin la fissò. E, improvvisamente, le parve di sentire una risata simile a un tintinnio di campanelli, e un ronzio basso e familiare che ricominciava a respirare nella sua mente.