I Beltrami andarono via il giorno seguente, prima dell'ora di colazione. Andrea non era venuto nemmeno a salutarmi. L'avrei gradito dopo la notte trascorsa insieme, anche se non era successo nulla di biblico. Volevo credere che glielo avessero impedito. Non credo che avesse pudore. Davvero non meritavo nemmeno un arrivederci? Mi sorse il dubbio di essere stato usato. Subito dopo mi nacque una rabbia dentro inqualificabile.
Risentito, andai a correre. Percorsi i tornanti della collina arrabbiato. Ignorai l'alba perché ero arrabbiato - e non pensai nemmeno a Sverre! Strappai con le mani il ramo di gelso che schivavo ogni volta lungo il ciglio della strada, perché ero arrabbiato. Non mi degnai di rispondere nemmeno al saluto di un povero bracciante, che ossequioso aveva chinato il capo al mio passaggio. Volevo rifilare a qualcuno il mio stesso stato d'animo, perché ero, e volevo essere, arrabbiato. Corsi come fossi inseguito da qualcosa di terribile, e più forte riuscivo andare, di più volevo accelerare. Vedevo gli alberi scorrere come macchie indistinte, sentivo sbattere le suole delle scarpe ora sullo sterrato ora sull'asfalto, e sentivo anche quanto mi facevano male le piante dei piedi. Immaginai milioni e milioni di globuli rossi in circolo nelle vene frantumarsi a ogni passo, e i loro resti raggiungere la milza, e da lì rispediti nel midollo osseo per rinascere nuovamente, solo per essere ancora distrutti sotto i piedi, e poi di nuovo, e ancora, e ancora. Sentivo il cuore voler uscire dal petto per lo sforzo fisico, ma non me ne fregava niente. Se fosse esploso avrebbe messo fine alla rabbia piuttosto che alimentarla, e così avrei trovato un po' di pace. Non la trovai, almeno fino a quando non incontrai Ludovico lungo la strada.
«Oooh! Sacrabolt! (Cristo santo!) Vuoi iscriverti alla maratona di New York?» rise vedendomi rallentare la folle corsa saltellando. Lo superai di molti metri prima di fermarmi. Mi piegai e strinsi le mani sulle ginocchia e risucchiai tutta l'aria che mi mancava con la bocca.
Mentre pensavo a una scusa per giustificare il mio impeto, scoppiai a ridere. Mi ero chiesto: se fosse stato Ludovico a toccarmi la notte precedente, se fossero state sue le carezze o, ancora meglio, se fossi stato io ad accarezzare lui? Mi avrebbe riempito di così tante botte che avrei dimenticato pure di trovarmi a vivere negli anni novanta.
Poi arrivò la sua pacca tra le scapole e le braccia allacciate attorno al busto. Allora sì che divenne alto il rischio di perdere il respiro, e non solo per la faticaccia.
«Sempre allegro tu, eh!» si unì alla risata irrazionale che mi aveva suscitato, e ne approfittai per ricambiare l'abbraccio.
Perché l'avevo incontrato di prima mattina? Semplice, perché ricordava di avermi promesso un giorno da trascorrere in compagnia. Avevo già accennato che Ludovico era un amico?
C'era anche un altro motivo: la sera prima aveva litigato con la sua Anna. Non mi sorprese, i loro litigi erano una costante mensile, e Ludovico faticava a trovare la soluzione di quella equazione. Decisi di spiegargli che forse Anna aveva il ciclo, una condizione femminile che a volte, non sempre e non a tutte le ragazze, influisce sull'umore. Gli chiesi anche di fare mente locale, cercando di ricordare se non avesse fatto qualcosa per irritarla. Niente. Si dichiarò immacolato.
«Questo vuol dire che c'è la possibilità che non sia davvero arrabbiata con me?» Mi chiese, e io gli risposi con una smorfia. Mi riabbracciò, era felice, e lo ero anch'io, di quell'abbraccio extra, più di lui.
Giocammo in piscina, collaudammo il tavolo da ping-pong che avevo montato il giorno prima. Alla fine Ludovico mi chiese d'insegnargli a preparare quel dolce tutto bianco al gusto delle mandorle, del quale Anna andava pazza. Glielo voleva offrire come ramoscello d'ulivo. Che carino. Ammetto, fu una sorpresa vedere il macho Ludovico alle prese con il bianco mangiare. Rise quando scoprì che quello era il nome. Rise meno donna Olga che si vide due maschi ballarle attorno nella sua cucina. Le procurammo un discreto mal di testa, accompagnato da rimproveri alternati a imprecazioni e, quando il lampadario tornò a sfarfallare, raggiunse l'apice e gridò qualcosa. Mamma venne a controllare cosa stesse succedendo. Era seria, salutò Ludovico prima di ordinare a tutti e due di finire presto ciò che stavamo facendo, e di lasciare la cucina pulita. Donna Olga non era una schiava, sottolineò. Infine annunciò che avrebbe avvisato i genitori di Ludovico che lui era a casa nostra. La mamma era sempre attenta a queste cose, e io le suggerii che restava fino a pranzo e lei annuì, poi allungai per la cena e lei annuì ancora, con una smorfia. Ero contento, ma non soddisfatto.
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Raccontami di me
RomanceQuesto è Il ricordo di una estate, perso negli anni novanta, che non svanirà mai nella memoria di Tino e Sverre. Una storia di pochi giorni, consumata tra le colline del Friuli Venezia Giulia, dove il figlio diciassettenne di una orafa e di uno psic...