6 - Selvaggio veneziano

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Era successo ciò che non credevo sarebbe mai accaduto. Il ritorno di Sverre in un momento inatteso. Dal fondo della piscina mi aveva riportato a galla, in ogni senso. Respirai come mai prima. Come mai era tornato? Quant'è stato emozionante rivederlo. Sentirlo. Toccare quel braccio, che sogno. Come sapeva che ero in piscina? La risata di papà, seduto sul lettino oltre la vasca, svelò l'ennesimo scherzo. Aveva fatto credere a Sverre che stessi annegando, pur conoscendo la mia abitudine a camminare sul fondo della piscina. Una volta aveva anche cronometrato l'apnea.

Che forza aveva Sverre, con una mossa mi aveva sollevato dall'acqua e depositato sul bordo della piscina, e poi si era seduto vicino nonostante tutto lo spazio che c'era. Non era piccato per essere stato vittima dello scherzo. Si sforzò di ridere, e io gli sussurrai: «Lascia stare, si diverte solo lui quando scherza,» allora lui sorrise guardandomi in faccia per un attimo.
Immaginai il tuffo deciso, agile, sicuro, lo slancio atletico compiuto per raggiungermi nel più breve tempo possibile. Solo per me.

E ora era vicino, vicinissimo, più di quanto avrei potuto sognare.
«Ma allora non stava annegando!» ribadì per stare al gioco. Io, arrossito, inquadrai la mascella contratta, coperta dai peli della barba rada. Quanto avrei voluto accarezzarla. Toccare il profilo del suo viso bagnato, la goccia d'acqua che stillò dalla punta del naso. Registrai ogni piega della maglietta fradicia incollata sul busto e sulle braccia, quelle braccia tinte dal sole, e morii per l'imbarazzo quando calai gli occhi su tutto il resto, intuibile sotto i pantaloni senza alcuno sforzo.

«Tutto okay, cameriere?» Ancora così mi chiamava. Era rimasto fermo alla prima impressione avuta il primo giorno. Possibile? Non credevo ignorasse ancora che fossi il figlio dello psicologo. Comunque soprassedetti. Non avrebbe potuto togliere niente neanche se mi avesse chiamato contadino o elettricista, o falegname. Tanto erano lavori che facevo per davvero. Nonno Landino diceva che non si è padroni della terra, né di niente, se non si hanno le mani sporche di tanto in tanto. Il nonno era stato davvero una pietra miliare a suo modo. Chinai il capo verso l'acqua. Mi sentivo disorientato, e quando poi Sverre prese a chiacchierare di non saprei dire cosa con papà, scivolai in piscina di nuovo. Rimasi a galla. Non m'importava come Sverre voleva chiamarmi, a me andava bene sempre e comunque. Alla mamma invece importava, tant'è che con poche parole mise in chiaro chi fossi.
«Questo "cameriere", un giorno sarà padrone di tutta la collina e dei terreni intorno,» rivelò senza falsa umiltà. Sverre mi guardò negli occhi e io affondai portandomi dietro l'ennesimo sorriso di stupore.

Non mi aspettavo che si rituffasse in acqua, mamma e papà erano bravi a monopolizzare l'attenzione. Quando notai aver messo il piede su qualcosa e mi chinai per vedere cosa fosse, riecco Sverre che mi aveva raggiunto di nuovo. Mi fissò senza alcuna espressione mentre stringevo tra le mani una collana di caucciù. Era sua. L'aveva persa al primo tuffo. Fluttuando gliela porsi. Lui dapprima mandò una mano in perlustrazione sul collo e, constatata l'assenza, la riprese dalla mia. Lì sotto, racchiusi in quella grande bolla d'acqua, avremmo potuto impersonare la scena di Dio che dona la vita ad Adamo sfiorandolo col dito. Volevo fosse così davvero. Io Adamo e lui Dio. Peccato che non potevamo trattenere il fiato più di tanto, avrei voluto cristallizzare il momento, ma no. Emergemmo insieme.

«Perfetto! Adesso ci sono due che non sanno che in piscina si nuota, non che ci si cammina dentro!» Ruppe l'incanto mamma, armata di asciugamani e rimproveri per tutti. Non sfuggì nemmeno papà, l'artefice di una cosa stupenda.

Ero consapevole di non poter rimanere quasi nudo, e nemmeno potevo disubbidire all'ordine di mamma di andare di sopra a mettermi qualcosa di asciutto, ma il fatto era che avevo paura che Sverre se ne andasse. Non potevo nemmeno palesare questo timore, anche se me lo si poteva leggere in faccia.

Feci tutto in fretta. Pazienza se non avevo indossato nulla d'impressionabile, pazienza se nulla andava come giorni prima avevo sognato, e pazienza anche se il mondo avesse scoperto tutto di me. Vedere Sverre seduto sul divano della sala grande, già asciutto e con gli abiti cambiati, a chiacchierare con i miei, mi fece sospirare e insieme ballare a ogni passo. Ero fuori di me, completamente, ma nemmeno quella sensazione mi bastava, volevo esplodere. Però vidi l'espressione del viso di Sverre non coincidere con la mia. C'era un problema. Mi bloccai e notai che mamma e papà si passavano di mano la collana di caucciù. Curioso di capire, mi avvicinai ai divani. Papà non aveva compreso la natura del ciondolo a forma di goccia irregolare che pendeva dal monile, mamma sì, essendo gioielliera. Nonostante ciò, mi chiamò per mettermi alla prova. Voleva constatare se riconoscevo la gemma. Lei per me sognava il passaggio di proprietà delle sue attività, dato che la mia curiosità mi aveva spinto ad approfondire il suo mestiere, perciò sì, conoscevo un sacco di pietre; d'altronde le avevo studiate sui soliti manuali.

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