La prima a collaudare la amaca fu mamma, appena ritornata dalla "ronda punitiva" alla gioielleria di Udine. Fece in tempo a constatare che c'ero io a regolare i tensori meccanici della rete, salvata per un pelo dalle buffe grinfie di papà. All'inizio però era sospettosa, perché consapevole che a metterci le mani era stato anche il Dottore, per cui non lesinò simpatico scetticismo. Sverre, intuito il finto screzio che stava per innescarsi tra i miei, lo bloccò lo stesso sul nascere.
«Signora Sisilia - il suo modo di pronunciare Cecilia mi divertiva - Tino ha fatto tutto da solo.» Con estrema gentilezza poi la aiutò a sdraiarsi.
«Ah! È più difficile di quanto pensassi rimanere in equilibrio su questo coso!» Le tornò il sorriso, menomale. «Ottimo lavoro Diamantino!»
«Non credergli ma', l'abbiamo montata tutti e tre,» ribattei pacato, timoroso di contraddirlo. Ero imbarazzato, sentivo sulla schiena la nostalgia del suo petto, pochi minuti prima addosso, quando stavamo assicurando i bulloni. Mi guardai le mani, troppo presto orfane delle sue. Possibile che tutte le donne che hanno avuto a che fare con lui, col suo corpo, con la sua prestanza, soprattutto con quella sua spontaneità che strideva con la beffardagine machista, che ero sicuro ostentava in quelle occasioni, trovavano facile lasciarlo andare via? A quelle donne non rimaneva nulla a parte la soddisfazione del momento tacitamente concordato? Strano. Stavo provando compatimento per quelle là. Gli rivolsi uno sguardo intriso di smarrimento. Lui sentì addosso il peso. Lo intercettò. Se gli occhi potessero sul serio parlare, i miei avrebbero chiesto: "lo vedi quanto sto soffrendo?" Qualcosa sul suo viso cambiò. Il sorriso apparve smorzato, opaco, serio, l'aria beffarda evaporata.
Non avevo la forza di rimanere in terrazza a farmi giudicare da quell'uomo. Escogitai una scusa per andare a nascondermi in cucina. Lì avrei trovato il modo per sciogliere il nodo gordiano che mi impediva di conquistarlo.
Molti anni dopo, quando nacque il desiderio di leggere, alcuni libri mi raccontarono del nodo gordiano: il nodo impossibile da sciogliere. Era il nodo col quale era stato bloccato il carro di Zeus in un tempio a lui dedicato dalle parti della Frigia. Solo Alessandro Magno era riuscito a tranciarlo con la sua spada, e così, come aveva predetto la profezia di Sebazio, secondo la quale chi fosse stato in grado di liberare quel carro avrebbe conquistato l'Asia, Alessandro il Grande passò alla storia divenendo immortale. Io però non volevo mica un intero continente, non sono Alessandro Magno. Volevo solo un uomo.
Il nodo gordiano che mi riguardava, che non riuscivo a sciogliere, era la mia incapacità di chiarire le cose con Sverre.
Passarono i giorni e si avvicinava il momento in cui se ne sarebbe andato. Era questione di tempo, lo stretto necessario perché Jennifer ritornasse per accompagnare il fantomatico ambasciatore dell'ecosistema australiano a un convegno che si sarebbe tenuto allo zoo. L'immagine di un signore panciuto e impettito, con più puzza sotto il naso di quanta ne potevo immaginare, non mi aveva abbandonato sin dal primo momento che ne avevo sentito parlare.
Sverre non mancò più d'invitarmi a fare ginnastica, a correre, a rispettare la passeggiata in fondo alla piscina, prima di andare su in montagna a lanciarsi da un aereo, o giù in laguna a monitorare la salute degli animali di sua competenza allo zoo. Ma tutto iniziava e finiva quasi in silenzio. Non era ancora andato via e già sentivo la sua assenza. Cosa potevo fare io, privo di coraggio, se non curare l'orto insieme a Tobia, trascorrere del tempo al bar assieme a Ludovico e Anna, progettare modellini, e a ritagliarmi un'oretta per rifugiarmi nel mio nascondiglio segreto. Era lì che andavo quando meditavo di voler imparare qualcosa di nuovo. In uno di quei frangenti valutai d'imparare a dipingere, anche se le esperienze scolastiche delle medie mi gridavano: "cambia vocazione!"
Avrei tanto voluto non essere stato nel terrazzo giardino quella mattina quando, per uno strano scherzo del destino, quel paracadutista mi era finito addosso. Dapprima volevo solo conoscerlo. Così come i miei amavano conoscere e ospitare gente nella villa. Poi però avevo deciso di volere di più, un di più che non avrei mai ottenuto. Se fu questo il motivo che mi spinse a odiare? Sì. Ma non a rivolgere il mio astio verso lui, era verso me che cominciavo a provare repulsione. Come avevo fatto a illudermi che uno come Sverre di punto in bianco si sarebbe potuto interessare a me?
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Raccontami di me
RomanceQuesto è Il ricordo di una estate, perso negli anni novanta, che non svanirà mai nella memoria di Tino e Sverre. Una storia di pochi giorni, consumata tra le colline del Friuli Venezia Giulia, dove il figlio diciassettenne di una orafa e di uno psic...