«Posso venire anche io, allo show?» mi chiese Sverre, dopo essersi preso tutta l'attenzione di mamma, papà, Ludovico, Anna e pure quella di Olga, che con un pretesto assurdo si era unita al salotto solo perché c'era lui. Mi stava prendendo in giro, le labbra in procinto di sorridere bloccarono sul nascere l'irritazione. Che grande errore. Aveva inteso che volessi ferirlo e mi stava dando l'occasione di chiarire in faccia a tutti quanto lo detestassi. Dovevo correggere l'imperfezione. Incrociai il suo sguardo, e provai una morsa alla gola. Mi uscì fuori un: «Va bene.» Vergognoso.
Avrebbe declinato, ne ero sicuro. Stava cercando la maniera più delicata per lasciarci, col sottinteso che non sarebbe più tornato a R. L'avevo capito. Detestavo quando capivo le cose, perché il risultato matematico era sempre esatto.Promise di essere dei nostri la sera dopo. Il suo accettare mi suonò come un favore personale a me. Per non apparire troppo entusiasta avrei voluto fingere felicità, scimmiottare indifferenza, ma ero contento sul serio, troppo per poterlo nascondere.
Ero contento anche che papà avesse proposto di guardare un altro documentario di Sverre. L'avrei suggerito io, ma avevo paura di esagerare con i segnali, ormai lui sapeva, sapeva tutto, me ne convinsi di nuovo. Me lo confermò il fatto che mi lasciò libero di armeggiare con la telecamera e i fili da collegare, deludendo l'attesa di una sua vicinanza fisica. Arruolai Ludos e la cosa lo innervosì, me ne accorsi da come aveva sbattuto le mani sulle cosce e camuffato quella reazione improvvisando un discorso da adulti. Mi spiaceva averlo irritato, ma non troppo. Sapeva però come rifarsi, perché divenne invadente, si mise a spiegare ogni cosa del filmato, tutto pur di distrarmi da Ludos, che ingenuamente mi toccava la schiena e mi sussurrava battute divertenti sugli strani animali che sfilavano nello schermo.
«Che carini, sembrate fratelli!» Ci disse Anna, osservandoci da dietro seduta insieme agli altri sul divano grande.«Per me Tino lo è. Con il permesso del signor Sebastiano e signora Cecilia!» I miei risero complici.
Menomale che ero di spalle, seduto sul pavimento, altrimenti avrebbero chiamato il centodiciotto per come ero arrossito. Ludos era il castello tra le nuvole che avevo eretto prima di quello di Sverre. Proprio come la storia della villa ex castello distrutta e riedificata. Però, la dichiarazione di fratellanza mise un freno all'agitazione di Sverre, lo percepii da un sospiro, era il suo, era il preludio di un sorriso importante.
Finito il divertimento e spenta la TV, mamma e papà furono i primi ad abbandonare la sala, seguiti a ruota da Olga. Sverre si congedò un po' dopo, quando si assicurò che la sua preziosa telecamera fosse correttamente riposta nel borsone. Prima di salire in camera si avvicinò a me e Ludos. Noi ancora ridevamo delle sue battute. «Buonanotte stupidi,» disse per rinverdire il nostro divertimento.
Rimasi solo io in mezzo a Ludos e Anna sul divano. Mi ci vollero pochi secondi per capire di essere di troppo, e così lasciai gli amanti clandestini ad amoreggiare tranquilli.
Cosa avevo imparato da quel giorno? Che le sorprese possono non finire mai. Infatti, dopo aver indossato la canotta, e rimasto con solo quella, mi accinsi al mio solito rituale della sigaretta, quando sentii: «Apri la porta.» Era Sverre! Era lui! Voleva entrare in camera, di notte! Mi agitai. Gli aprii e lui entrò. Studiò rapido il caos delle mie cose sparse ovunque, i tavolini pieni di cianfrusaglie e progetti, l'arco che divideva la saletta in due ambienti e il secondo letto oltre la tenda di velluto verde. Sarebbe sembrata una camera quasi padronale se non fosse scambiabile per la succursale del garage, ma lui non si scompose. Vivevo di lavoretti, come li chiamavo io, e chi mi conosceva imparava a farsene una ragione.
«Ho finito le mie sigarette, me ne offriresti una, dopo esserti messo qualcosa addosso? Ti prego, non so più dove guardare per...» sbuffò un sorriso imbarazzato. Non l'avrei mai detto. Comunque aveva ragione, avrei dovuto infilarmi di nuovo i pantaloncini prima di correre alla porta. La cosa più strana era che io non mi sentivo affatto imbarazzato.
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Raccontami di me
RomanceQuesto è Il ricordo di una estate, perso negli anni novanta, che non svanirà mai nella memoria di Tino e Sverre. Una storia di pochi giorni, consumata tra le colline del Friuli Venezia Giulia, dove il figlio diciassettenne di una orafa e di uno psic...