12 - Quanti boschi!

120 20 66
                                    

Gli ospiti della memoria di nonn Landino arrivarono puntuali come ogni anno, assieme alle raccomandazioni di mamma. Non potevo circolare in casa senza maglia, niente pantaloncini corti e nessun ballo improvvisato mentre camminavo. Non dovevo fare nulla, nemmeno aiutare Olga in cucina, perché tanto il cibo lo portavano gli ospiti. Ammetto però che la cucina kosher non era niente male. Per il resto, il tempo scivolò via spento, e più stancante dei giorni in cui lavoravo l'orto. Quanto avrei preferito zappare piuttosto che essere osservato dagli amici di famiglia, annuire alle differenze fisiche notate con l'anno precedente; oppure avrei gradito parlare con Tobia, o ancora meglio con Ludos, invece di essere sottoposto al solito interrogatorio, tanto gentile quanto snervante, su cosa facevo, studiavo e progettavo per il futuro.

Come se non era bastato vestirmi come un manichino da vetrina, dovevo pure dare il massimo con i modi cortesi. Non ce la facevo. Se non fosse che ogni argomento iniziale finiva col ricordare nonno, avrei dato di matto. Comunque, non dovevo lamentarmi visto che ero sempre in cerca di considerazione. I dodici ospiti d'onore me la offrivano sempre, purtroppo tutta insieme.

Non c'era nessuno della mia età, a parte una ragazza che teneva la testa bassa anche più di me e per questo non la ricordo. Del resto non ricordo una parola detta e udita in quel giorno. Avevo la mente troppo piena di Sverre. Faceva eccezione la deposizione del mazzo di fiori accompagnato da sassolini nella camera sotterranea dove gli antenati avevano trovato rifugio. Era una specie di rituale, era suggestivo perché intonavano una nenia dolcissima, mentre accendevano la Menorah. Nel mio profondo ancora oggi nutro per quelle persone lo stesso rispetto che portavano a mio nonno. Non come un dare avere dimenticabile, piuttosto ammirato, perché anche a loro nonno aveva insegnato che su questa terra, in ogni arco temporale e condizione, siamo tutti uguali.

Mi sorprendeva sempre la felicità che permaneva nei volti dei miei dopo la visita degli ospiti della memoria. Affermavano d'imparare ogni volta qualcosa di nuovo da loro. Beati loro, a malapena ricordavo la sera stessa i loro volti e le bocche che avevano emesso fiumi di parole; e io mi chiedevo da quale sorgente inesauribile le avevano attinte. Avevo i crampi alle orecchie. Mi allontanai da mamma e papà, tanto erano impegnati a commentare la dopo ospitata. Mi diressi, sotto la luce lunare verso la piscina, togliendomi strada facendo gli addobbi da manichino che mi avevano torturato fin troppo. Tolsi anche le mutande e mi tuffai in acqua. Che refrigerio totale, più corporeo che spirituale! Nuotai per ore in lungo e in largo, avevo troppe energie da scaricare.

Quando notai le luci della sala spegnersi era segno che i miei si erano ritirati nella loro camere, quindi uscii dalla piscina. Avevo le mani lessate. Rientrai in casa come fossi un ladro, nudo come un verme, sperando di non incontrare Olga o mamma. Dietro di me, scie d'impronte d'acqua testimoniavano il mio passaggio. Desiderio esaudito: non incrociai le donne di casa, ma sulla soglia della mia camera mi beccò papà. «Buonanotte Tino...» farfugliò assonnato, e quando mi chiusi la porta alle spalle scoppiai a ridere. Forse aveva pensato che mi fossi comportato bene durante tutto il giorno e che sarebbe stato troppo bello se non avessi fatto ancora qualcosa di bizzarro.

Senza alcuna intenzione di mettermi nulla addosso, mi diressi verso il letto, tirai fuori una sigaretta dal mio nascondiglio e l'accesi sul balcone. Solo a quel punto notai qualcosa appiccicato a un piede. Era un foglio di carta lucida, un volantino d'invito allo spettacolo itinerante di un gruppo di giocolieri. Riconobbi sul retro la scrittura di mamma. "Sei contento? Conta i giorni che ci andiamo!" Il volantino l'aveva infilato sotto la mia porta.

«Se proprio non ho scelta.» Sbuffai fumo. Non mi entusiasmava l'idea di trascorrere ore seduto in piazza su una sedia a osservare gente che si fa in quattro per divertire un pubblico massacrato dal caldo e dalle zanzare. Tutto sommato era il compenso che mamma credeva avrei gradito per essermi comportato bene, perché deluderla? Il giorno dopo le mostrai il mio entusiasmo, pur sperando fino all'ultimo che piovesse, o che si verificasse un impedimento qualsiasi. Non ero fiducioso nel nutrire certe speranze. Come se non bastasse dover attendere giorni prima dell'ennesima tortura, ci si mise anche Sverre che entrava e usciva dalla villa senza quasi guardarmi in faccia. Al massimo mi salutava per cortesia. Mi stava angosciando per bene. Quel modo di fare uccise il coraggio di dirgli la mia verità. Peccato. Persino Tobia accusava l'assenza del teutonico Sverren; ancora oggi mi domando i temi dei loro dialoghi privati.

Raccontami di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora