Capitolo 1

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Correvo per le strade affollate di New York.

Non era la prima volta che che mi trovavo nella Grande Mela, ma quella volta sembrava diversa. Non sapevo se fosse per la pioggia che cadeva sulle strade e sui tettucci delle macchine, o il mio obiettivo che scappava colpendo i passanti, ma nell'aria c'era qualcosa di nuovo.

Il mio obiettivo era un uomo geneticamente modificato dall'HYDRA che non era stato un problema fino a quel momento, ma che improvvisamente aveva perso la testa ed era diventato un pericolo per il mondo. A lungo andare il suo cervello non sarebbe più stato capace di distinguere bene e male, e lo S.H.I.E.L.D. voleva prevenire che accadesse.

Stranamente, l'uomo era molto veloce e parecchio agile, come se tutto d'un tratto si fosse impossessato di lui un'altra persona.

Mentre i newyorkesi urlavano e correvano da ogni parte, spaventati da quell'improvviso inseguimento, mi aggrappai ad un scala antincendio per poi buttarmi sul mio bersaglio, che crollò sotto di me in un secondo.

Dopo averlo legato e averlo fatto salire su un elicottero, tornai dove avevo parcheggiato la moto, questa volta camminando.

Di tanto in tanto la mente mi si riempiva di ricordi dei miei amici e delle grandi missioni che avevo contributo a finire con gli Avengers.

Era da mesi che le missioni erano decimate, erano da mesi che non facevo altro che dare la caccia a vittime dell'HYDRA ed erano mesi che non vedevo i miei colleghi.

Dopo la sconfitta di Thanos non ci eravamo più visti. Avevo perso di vista tutti, anche se ogni tanto facevo una chiacchierata al telefono con Clint, che era sempre occupato con la sua famiglia.

Non avevo più notizie nemmeno da Steve, che faceva sempre parte dello S.H.I.E.L.D. ma non avendo più tanto lavoro da fare viaggiava per scoprire i posti in cui non era ancora stato durante le missioni.

Tornata alla sede dello S.H.I.E.L.D. venni convocata nella sala riunioni, rimasta vuota per quasi due mesi.

«Non c'è più molto da fare qui, Natasha» sospirò l'uomo che mi aveva chiamata, guardando fuori da una finestra il meraviglioso paesaggio di New York.
«Cosa intendi?» chiesi, temendo la risposta dell'uomo e cercando di scorgerne l'espressione.

Lo sentii fare un altro triste sospiro, poi si girò nuovamente, mostrandomi la bandana che gli copriva l'occhio.

«Dovresti prenderti del tempo per te stessa, un po' come hanno fatto gli altri» disse, lanciando la bomba.
«Loro hanno le loro scelte, e la mia è quella di non fermarmi! Continuerò a lavorare, anche se dovessi salvare un gatto dalla cima di un albero» mi spazientii, alzandosi e alzando il tono di voce.

Fury mi fulminò con lo sguardo e poi abbassò gli occhi verso il pavimento.

«Mi spiace, Natasha» concluse, prima di uscire dall'enorme stanza.

Dentro di me ribollivano solo due emozioni: rabbia e aggressività.

Tutti i miei colleghi avevano una famiglia a cui dedicarsi, progetti di vita che volevano concludere e viaggi mai cominciati.

Io, Natasha Romanoff, non avevo più nulla. Non una famiglia disposta a prendersi cura di me, un marito che la mattina mi svegliasse con un dolce bacio o dei progetti che mi avrebbero portata in giro per il mondo.

Per tutta la mia vita l'unica cosa che avevo conosciuto erano le missioni, l'adrenalina che scorreva nelle mie vene, gli allenamenti tutta la notte, gli inseguimenti a perdifiato e il pericolo di morire ogni volta che impugnavo la pistola o picchiavo qualcuno.

Ero fatta per quello, non per uno stupido appartamento in centro a New York dove vivere come un normale cittadino e diventare vecchia con un gatto acciambellato sulle mie gambe.

Sospirai e mi lasciai cadere su una sedia di plastica nera. Sopra quell'oggetto che dava l'impressione di essere innocente ero stata seduta innumerevole volte. Avevo discusso con Tony, scherzato con Steve, fatto gare di braccio di ferro assieme a Thor, parlato con Clint e guardato intensamente negli occhi Bruce.

Rimasi in balia dei miei ricordi per dei minuti infiniti, quando le luci dell'edificio si spensero e gli addetti alla pulizia cominciarono a vagare per le stanze.

Mi alzai e aprii la finestra della sala riunioni. Guardai in basso: il piano dedicato agli Avengers era al quindicesimo, e da lassù potevo vedere tutto.

Presi un bel respiro e mi buttai di sotto, chiudendo gli occhi e spalancando le braccia, sentendo il vento che mi scompigliava i capelli, immaginando di poter volare.

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Hey gente!
Come avete visto ho cominciato questa storia riguardo Natasha Romanoff, ma ci tengo a precisare che è ambientata dopo la sconfitta di Thanos.
Nessuno è morto, nessuno è tornato nel passato e tutto va bene, giusto per essere chiari :)

The first time || Natasha Romanoff & Steve RogersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora