Capitolo 9

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STEVE

Tony tornò dopo una chiacchierata con Natasha. L'avevo sentito alzare la voce, così non appena si avvicinò al soggiorno mi alzai dal divano per sentire cosa avesse da dire.

«Ha detto che si consegnerà ai Russi» sospirò, appoggiandosi al tavolo di cristallo.
«Cosa!? È impazzita?» urlai, preso dal panico.
«Ha detto che in questo caso non saremmo costretti a combattere contro la Russia e che sarebbe l'opzione migliore per tutti, anche per lei.»
«No! Quanto è ottusa quella ragazza!» esclamai, battendo un pugno sul tavolo.
«Steve...» mi tranquillizzò Thor. «Dobbiamo rispettare le sue decisioni.»
«No! Si sta comportando da stupida! Come può sacrificarsi e tornare nel luogo che l'ha fatta soffrire di più al mondo?! Capisco che non voglia farsi iniettare quella schifezza rossa, ma ci siamo qui noi! Ci sono qui io! Siamo tutti qui per lei, no?» esclamai.
«Hai per caso una cotta per Nat?» azzardò a dire Clint.
«Cosa? Io? Una cotta per Nat? Ma fammi il piacere!» borbottai, senza riuscire a formulare una vera frase.

Clint e Thor si lanciarono un'occhiata complice e ridacchiarono.

«Che c'è?» mi innervosii, seppur con un sorriso.
«Abbiamo visto come ti comporti con lei. Ti piace, non c'è nulla si sbagliato in questo.»
«Ok... mi piace Nat. Ma è la tua ex e non sarebbe giusto nei tuoi confronti» sospirai, rivolto a Bruce.

Lui si avvicinò e mi mise la mano sulla spalla, sorridendo in modo fraterno.

«Non ti preoccupare di questo, Cap. È passato ormai, tra me e Nat ora c'è solo una profonda amicizia» mi rassicurò lui. «Però se vuoi stare con lei dovresti dirglielo subito. Sai, magari cambierà idea.»

Annuii e lo ringraziai con un abbraccio fraterno.

«Mi ha appena mandato un messaggio, non tornerà a dormire. Ha detto che ha trovato un luogo dove vorrebbe stare per un po'.»

Presi immediatamente il telefono a Stark e mi fiondai al computer.

«Come la localizzo?»
«Aspetta vecchietto, lascia fare a noi» mi prese in giro Clint, facendomi alzare.

In meno di due minuti aveva trovato la posizione di Nat, così scesi ai garage e partii con la mia moto.

///

Ero finalmente arrivato a destinazione. Vidi il veicolo di Nat parcheggiato in uno spiazzo, ma di lei nessuna traccia. Non potevo far altro che pensare che fosse stata catturata dai Russi, ma mi sforzai a rimanere positivo.

Camminai con i piedi nella sabbia fino alla riva, dove vidi una sagoma seduta con i piedi nell'acqua.

«Nat!» esclamai, facendola girare.
«Steve, che cosa ci fai tu qui?»
«Sono venuto a farti compagnia, no?»

Mi sedetti accanto a lei e mi tolsi le scarpe per immergere i miei piedi nell'acqua salata.

«Ho portato due asciugamani e una coperta. Ho pensato che potessi avere freddo stanotte, ormai ci avviciniamo ad ottobre.»

Il suo viso si rattristì. Non sapevo cosa avessi detto, ma la avvicinai a me e la strinsi tra le mie braccia.

NATASHA

Ballavo da più di due ore senza nemmeno una sosta. Ivan mi stava guardando con severità, pronto a sbottare qualora sbagliassi un passo o vacillassi.

Era ottobre, in Russia cominciava a fare freddo. Ogni respiro che facevo si condensava in una nuvoletta di vapore bianca e il tutù leggero non aiutava a tenere al caldo il mio esile corpo.

«Natalia, non mi sembri molto in forma» sussurrò accigliato.
«Mi scusi, me lo faccia riprovare solo un'altra volta.»
«No, basta così. Andiamo.»

Svelto scese dal palco e mi dovetti affettare a seguirlo. Camminavamo velocemente: io indossavo il mio tutù nero e le mie scarpette da ballo rosse. I capelli erano ancora raccolti in uno chignon e le goccioline di sudore mi scendevano sulle guance.

«Siamo arrivati, Natalia» concluse l'uomo, aprendo una porta di ferro. «Oggi non sei stata all'altezza, passerai la notte qui, al gelo, senza mangiare e senza bere.»

Annuii senza poter ribattere e camminai all'interno. Mi avevano insegnato a non ribellarmi, così abbassai lo sguardo e feci come mi era stato ordinato. Rabbrividii immediatamente, come se il gelo mi pungesse ovunque.

Nell'angolo della cella c'era una persona incappucciata e legata, che in silenzio stava lentamente congelando.

Ivan mi diede un calcio sulla schiena che mi fece cadere a terra, poi mi diede in mano una pistola.

«Oggi mi sento un po' più buono. Oggi potrai fare una scelta. Uccidere quell'uomo e non essere sottoposta alla tortura o passare la notte in cella con lui.»

La bambina di soli dieci anni che ero decise di provare compassione per l'uomo. Lasciai cadere la pistola e mi sedetti accanto a lui, stringendomi le ginocchia tra le braccia e toccando il mio soffice tutù.

Ivan richiuse la porta e si allontanò, mentre l'uomo seduto accanto a me sussurrò qualcosa.

«Non dovevi. Non dovresti passare la notte qui» esordì lui, senza alzare lo sguardo dal pavimento.
«Nemmeno te.»
«Io morirò tra poco.»
«Da quanto sei qui?» chiesi, voltandosi lentamente verso di lui.
«Due settimane. Mi danno dell'acqua e un pezzetto di pane ogni giorno, ma morirò congelato.»

L'uomo aveva solo 17 anni e si chiamava Nicholas. Era americano, parte dei servizi segreti di li. Parlammo per tutto il tempo, tutta la notte, dimenticando perfino il freddo e la sofferenza che stavamo provando entrambi.

«Sai, saresti una brava spia americana» sorrise lui, mostrandomi le sue fossette.
«Credi che mi prenderebbero?»
«Certo! Sei in gamba per avere la tua età.»
«Qui ti addestrano prima. Le cose che dovresti fare a 10 anni le fai a 5 e così via. La mia prima pistola l'ho impugnata ed usata a 6 anni, Nick.»

Dopo una lunga chiacchierata la porta della cella si aprì di nuovo, lasciando entrare nella stanza buia della luce fioca.

«Natalia.»

Uscii dalla cella, ma prima di alzarmi diedi un bacio sulla guancia a Nicholas, che venne messo in ginocchio da una guardia.

La seconda persona prese in mano una pistola e la puntò alla sua testa.

Mentre uscivo sentii uno sparo, ma non ebbi il coraggio di girarmi. Immaginai il sangue spargersi sul pavimento di cemento e il corpo senza vita dell'unica persona con cui ero riuscita a confidarmi da quando ero entrata in quel luogo.

«Nat, tutto ok?» si preoccupò Steve, risvegliandomi dai miei pensieri.
«Uhm...» borbottai, scuotendo la testa. «Stavo solo pensando a delle cose...»
«Nat, devo parlarti» sospirò lui. «So che vorresti consegnarti al KGB, ma non posso permettertelo. Non posso lasciarti andare.»
«Steve...»
«Noi due... io non sono nulla senza di te, Nat. Ci conosciamo da anni e siamo diventati sempre più amici, ma non credi che... ci possa essere qualcos'altro tra di noi?»

Lo guardai stupita. Anche se ormai era quasi del tutto buio, riuscivo a vedere le sue guance rosse e il suo sorriso imbarazzato.

«Steve...» sospirai, accarezzandogli il viso.
«Non sto dicendo che dobbiamo essere come Clint e Laura o Pepper e Tony... ma possiamo provarci» sorrise lui, prendendomi la mano.
«E se andasse male? E se ci lasciassimo? E se finissimo come è andata con Bruce?»
«Nat, devo fermarti qui. Io non me ne andrò. Mai.»

Prima che potessi proseguire con il mio lungo e importante discorso sentii le sue labbra screpolate sulle mie.

Il tempo si fermò e tutto quello a cui riuscivo a pensare erano le sue mani sui miei fianchi e le nostre lingue che si incontravano dolcemente.

Dopo solo qualche secondo il bacio era diventato molto più passionale e lui cominciò a sfiorarmi la pelle sotto il maglioncino nero, fino a slacciarmi il reggiseno.

Ci ritrovammo nudi sul telo da mare che aveva portato, uno sopra l'altro, ansimando e accarezzandoci la pelle.

Su quella spiaggia vuota si sentiva solo il rumore del mare e quello dei nostri respiri affannati, reduci da una notte di passione.

The first time || Natasha Romanoff & Steve RogersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora