8. "Alive."

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Liam.

Erano ormai giorni che andavo in ospedale a trovarlo. Esisteva solo lui adesso.
Parlavamo per ore e ore di tutto.
Scoprii che suo padre era pakistano e sua madre inglese e che si era trasferito qui per studiare architettura e diventare un ingegnere. Dopo circa 2 anni però si rese conto che quella non era la strada adatta a lui e abbandonò tutto, dedicandosi completamente al disegno libero e vendendo dipinti o facendo ritratti e caricature per la strada.
Amava disegnare di tutto ciò che lo circondava. Infatti mi disse che aveva sempre con sé delle agendine e quando ne aveva occasione, creava qualche bozzetta di disegni per poi svilupparli meglio una volta tornato a casa.
Riuscii a capire che era un tipo anche molto timido e riservato, anche perché tutti quei disegni e quella agende che aveva non le aveva mai fatte vedere a nessuno. E credo, sempre per la sua timidezza, non mi guardava quasi mai negli occhi. La maggior parte delle volte solo qualche occhiata fuggitiva, i nostri sguardi si incrociavano pochissime volte sebbene io lo guardassi sempre.
Sì lo guardavo sempre, perché era un essere da guardare migliaia di volte per quanto fosse bello.
Proprio perché non conoscevo bene i suoi occhi, essi diventarono una delle mie ossessioni: volevo incrociarli almeno per qualche minuto di seguito, per assaporare il loro vero colore, volevo tracciare col mio sguardo la forma sinuosa, delicata che avevano.
Ma decisi di essere paziente con lui. Sapevo che da un giorno all'altro si sarebbe aperto così tanto con me da riuscire a guardarmi negli occhi senza avere timore.
Diciamo che avevo preso una bella cotta per lui. La mia prima cotta verso un ragazzo.
Era bellissimo, intelligente, tranquillo, con pensieri profondi e persino artista.
Da un certo punto di vista era come Louis, ma lui era il mio migliore amico e non lo vedevo con gli stessi occhi con cui vedevo Zayn.

Quella mattina c'era un tempo davvero orribile, orribile quanto l'autunno che stava per arrivare.
Di solito a Los Angeles non pioveva mai eppure quella mattinata sembrava di essere nella città inglese di Londra.
Mi alzai dal letto solo perché quel giorno Zayn sarebbe uscito dall'ospedale e volevo fargli un po' di compagnia, come del resto ho fatto per tutta la settimana.
Mi vestii con una felpa col cappuccio e un jeans, presi le chiavi e il cellulare e mi diressi all'ospedale. Andai con la macchina anche se era abbastanza vicino: volevo riaccompagnare Zayn a casa e non volevo che faticasse molto, dato che la sua caviglia era ancora un po' dolorante.

«Posso?» sussurrai bussando alla sua porta.

«Certo Liam.»

Si era appena svegliato, si sentiva: aveva la voce roca e assonnata.

«Ti ho per caso svegliato?» sorrisi mentre mi avvicinai a lui.

«Non proprio, sono sveglio da una decina di minuti.» arricciò il naso sbadigliando.

Sembrava un gattino e, oddio, era la cosa la cosa assolutamente più tenera di tutto l'universo quando faceva così.

«Bene, oggi è il grande giorno eh? Come ti senti?»

«Benissimo, non vedo l'ora di uscire da qui..» guardò dalla finestra il tempo.

«Sì, piove appena ma non preoccuparti, sono venuto con la macchina proprio perché vorrei riaccompagnarti a casa, sempre se tu vuoi.»

«Oh.. ma certo che voglio Liam, grazie.» arrossì di poco, quanto era bello..

«Non devi ringraziarmi, faccio quel che posso.»

«Ci sono notizie sul pirata della strada che mi ha investito?»

Scossi la testa velocemente abbassando lo sguardo.
Ero un codardo, non gli avevo detto ancora la verità. Avevo paura di rovinare tutto, come effettivamente sarebbe successo.

«Something wrong.»Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora