5. "Asleep."

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Harry.

Mi svegliai dopo qualche oretta, in quel treno semi-vuoto. Di fronte c'era il ragazzo dagli occhi color ghiaccio che si erano scontrati con i miei color smeraldo un paio di ore prima. Non ricordavo nemmeno il suo nome. Quando me lo disse ero troppo agitato, non capivo più niente.
Era intento a leggere un libro che sembrava abbastanza vecchio dal colore giallastro delle pagine.
Ero stato ''salvato'' da quel ragazzo che non conoscevo nemmeno.
Perché lo aveva fatto? Non mi aveva fatto portare al termine quello che stavo per fare. Volevo davvero farlo, volevo davvero raggiungere Jake e stare con lui per sempre.
Ma forse era destino che la mia vita dovesse continuare a marcire in questo mondo.

Sospirai silenziosamente, non avendo più lacrime per piangere. Guardai il paesaggio al di fuori del treno: prati immensi con una rugiada cristallina che grazie alla tiepida luce del Sole, illuminava il tutto come lo fanno le lucine colorate nel periodo natalizio. Il tempo era bello, come quasi sempre in California.
Eppure, anche se fuori c'era il Sole, faceva caldo, io avevo freddo. Non solo sulla mia pelle, sulla punta delle dita delle mani gelide. Io il freddo lo sentivo dentro di me, nel mio cuore, nelle vene.
Non riuscivo più a trovare un lato positivo nelle cose.
Prima che Jake morisse ero pieno di vita, non ero mai stato pessimista, ero un tipo solare e allegro. Jake mi aveva memorizzato sul cellulare con il soprannome ''Sunshine'' perché diceva che il mio sorriso con le fossette evidenti potevano benissimo superare la felicità e la gioia che tramette il Sole e potevano illuminare il mondo intero.
Cristo se lo amavo.
Nessuno mi aveva detto quelle cose e sicuramente nessuno me le avrebbe mai più dette.
Cominciai a mordermi il labbro cercando di scacciare tutti quei pensieri che galleggiavano nella mia mentre e mi facevano contorcere lo stomaco e cercai di non far scendere quelle lacrime che ormai mi offuscavano la vista.
Il ragazzo di fronte a me se ne accorse subito dei miei movimenti, aveva capito che mi ero svegliato. Mi sentivo osservato e questo mi dava molto fastidio: ero timido, insicuro e tutte quelle attenzioni non le volvevo più da nessuno.

«Tutto bene? Come ti senti?» mi disse appoggiando il libro al tavolino che separava la sua poltrona alla mia.

Feci spalline, non sapevo nemmeno io come mi sentivo.
Nella coda dell'occhio vidi un accenno di sorriso da parte sua, sospirando leggermente.

«Senti, lo so che tutto questo ti sembra strano, anche perché non mi conosci nemmeno. Ma di me puoi fidarti, ti sto portando a casa mia a San Francisco così puoi riposarti e posso aiutarti.»

Lo guardai negli occhi e di nuovo i miei smeraldo si mischiarono con i suoi oceano.
Era tremendamente bello.
Amavo i mori con gli occhi chiari, come del resto lo era Jake. Aveva un accenno di barbetta incolta e un sorriso rassicurante incorniciato da quelle labbra piccole e sottili dal colore roseo.
Mentre pronunciava quelle parole si mise sulla poltrona al mio fianco e mi scostò i capelli dalla fronte.
Non volevo essere toccato, sapevo di fargli solo pena.
Infondo a tutti facevo provare quella sensazione, ormai lo sapevo.
Mi scostai leggermente e mi raggomitolai in me stesso dandogli le spalle.
Il viaggio proseguì in quel modo: io che guardavo il paesaggio dal finestrino cercando di trattenere le lacrime e lui al mio fianco in completo silenzio pensando a chissà cosa mentre fingeva di leggere quello stupido libro.
Perché non mi aveva lasciato morire?

Louis.

Lo capivo. Non ero mai stato depresso in vita mia, ma capivo se non voleva essere toccato, se voleva rimanere in silenzio. E infatti così fu.
Dopo un'ora abbondante vidi la mia bella San Francisco da lontano. Capii che eravamo vicinissimi all'arrivo solo quando vidi la punta del ponte dal colore rosso acceso e brillante.
Sorrisi ripensando che tra non meno di qualche ora avrei rivisto mia madre, le mie sorelline, la mia città che all'inizio non mi mancava per niente ma in questo periodo ne avevo un po' di nostalgia.
Harry si era addormentato nel frattempo. Era tenerissimo vederlo sonnecchiare con le labbra socchiuse, con le ciglia che gli accarezzavano le guance e senza tutti quei pensieri che poco prima lo facevano quasi piangere.
Era però il momento di svegliarlo e, a malincuore, a riportarlo alla triste realtà in cui viveva.
Gli accarezzai di nuovo i capelli, una mia nuova ossessione. Erano morbidi, pieni di ricci e onde che amavo toccare e attorcigliare attorno alle mie dita.
Aprì leggermente gli occhi mugolando qualcosa. Gli dissi che stavamo per scendere dal treno e lui subito, senza dire nemmeno una parola, scostò la mia mano dai suoi capelli, si aggiustò e si ricompose per poi alzarsi dalla sua poltrona.

«Something wrong.»Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora