Capitolo 17.

544 34 9
                                    

Venerdi, post Radio Luna.

Andrea è lì, sulla panchina che ha accompagnato tante nostre serate, il luogo delle confessioni sbagliate e delle chiacchiere accompagnate da qualche birra. Ha la testa all'indietro e guarda il cielo, non è limpido, una grande nuvola copre la luna ma lei è lì, brilla anche se non si vede del tutto, ci accompagna, ci conosce. Non si muove quando mi avvicino, resta immobile a guardare qualcosa che è più grande di noi. Mi siedo accanto a lui e seguo il suo sguardo, alzo gli occhi al cielo e guardo con lui la luna, lei guarda me.
"Io ti conosco" dice Andrea, senza muoversi di un millimetro, fa una lunga pausa prima di ricominciare a parlare "ho sentito parlare la mia Selene, la ragazza buona, dolce e gentile che conosco io, quella ragazza che ha sempre una buona parola per tutti, con la frase giusta al momento giusto" prende una sigaretta e, come al solito, lo precedo e gli passo il mio accendino, "eri proprio tu, la mia Selene" fa un tiro di sigaretta e si gira a guardarmi "il mio raggio di luna" dice e mi sorride leggermente, un sorriso triste e sofferto, dolce e amaro.
Mi mette una mano sulla guancia e asciuga le lacrime che scorrono da sole da quando ha iniziato a parlare.
Non riesco a dire una parola, ho paura di rovinare questo momento così fragile, quest'attimo sottile, di quelli che una parola di troppo può rovinare tutto.
"Io ti conosco" ripete "è questa la mia Selene, la mia amica, non è quella che mi mente" e a quelle parole mando giù il male che tutta questa situazione ci ha portato, quello che ho creato io, "rivoglio la mia amica" dice, vorrei muovermi e abbracciarlo, dirgli ancora quanto mi dispiace e quanto mi sono sentita male in tutti questi mesi ma, è il suo momento, è lui a gestirlo, io devo andarci piano.
Si alza e mi porge una mano per far alzare anche me, allarga le braccia e mi sorride, è quel sorriso, è la mia persona preferita "abbracciami, raggio di luna" e, senza dargli il tempo di finire la frase, mi fiondo tra le sue braccia, piango addosso a lui mentre cerca di calmarmi, "shhh" mi ripete e mi accarezza i capelli.
"Dai su, le birre stasera le offri tu, stronza" dice e scoppiamo a ridere, insieme.
Ho ritrovato il mio migliore amico.

Qualche giorno dopo.

Sento che piano piano sto rimettendo insieme i pezzi della mia vita, che tutto ha più senso ora, mi sento libera. Non mi sveglio più con l'ansia, con l'umore che varia dal nero a sfumature grigie, forse sono felice. Forse.
Mi tiro su dal letto e corro a prepararmi, devo incontrare prima mia mamma e poi Andrea per colazione prima di scappare all'università. Apro Spotify e faccio partire una canzone a caso, skippo tutte quelle tristi e malinconiche, non ne ho voglia, oggi non mi rispecchiano.

Metto il guinzaglio a Benji e lo porto giù, la mamma ci aspetta qui vicino e lui va con con lei oggi, così non resta solo. Stampo un grosso bacio sulla guancia a mia mamma e lei mi guarda con il suo sorriso smagliante "ti trovo bene oggi" dice "è successo qualcosa?" mi chiede mia mamma, curiosa come solo una mamma sa essere "no mamma, mi sono svegliata così, con la luna giusta" dico e lei ride, ci scambiamo un po' di parole e, come al solito, mi dice di mangiare di più, "sto andando a mangiare proprio ora" le dico e ci salutiamo.

Vedo Andrea avvicinarsi al tavolo, lo guardo sorridere verso di me e penso a quanto mi è mancato, quanto è bello sentirmi così libera con lui, finalmente.
"Buongiorno, raggio di sole" mi dice e si siede "buongiorno a te" dico e chiamo la cameriera per prendere l'ordine. Chiacchieriamo del più e del meno, abbiamo messo un punto a quella situazione e stiamo recuperando, in questi giorni, le domande perse dell'ultimo anno.
Gli ho raccontato di Cesare, di come è stato il mio salvagente nei giorni scorsi, della sua presenza indispensabile per me, di quel filo sottile che, in qualche modo, mi lega a lui.
Mentre parlo di lui, come se lo sapesse, un suo segno, apro la sua notifica e vedo una foto, i ragazzi in studio che giocano con un peluche gigante e un suo messaggio "salvami" dice solo, fisso quel messaggio per qualche secondo e sorrido, involontariamente, questa piccolezza, un piccolissimo gesto che lui ha avuto nei miei confronti, un pensiero verso di me. "È lui?" mi chiede Andrea, annuisce senza che io dica nulla, l'ha capito. Gli mostro il cellulare per far vedere a lui questo contatto, lui mi guarda serio "perché non vai a salvarlo?" mi chiede, "ma non diceva sul serio" dico seria anche io, lui mi guarda e sorride "Sele, lui ti piace, ti si sono illuminati gli occhi quando hai letto il suo nome" dice ed è lui, il mio migliore amico, sta per dirmi qualcosa, "va a prenderlo, Sele, vai da lui, va a viverti la sua presenza e il suo affetto nei tuoi confronti" sorride mentre parla "va ad essere felice e lui anche lo sarà" ascolto le sue parole, il suo consiglio e vorrei seguirlo, tanto, ma non sono convinta. Non sono così tanto coraggiosa.
"Andre, non posso fare una cosa del genere" dico solo, girando il cucchiaino nel caffè all'infinito, "non vorrei ricevere un rifiuto, o essere di troppo nella sua vita" dico e alzo lo sguardo, Andrea mi si avvicina all'orecchio "io invece penso che lui ti voglia nella sua vita" dice e mi da una leggera spinta, ride e si alza "su, seguimi" lascia delle monete sul tavolino "dove?" chiedo, "non fare domande e seguimi, sto per fare il mio dovere" dice e lo guardo confusa, lui mi precede "ti ho detto di non fare domande" mi trascina via, lo vedo aprire la macchina "Andre ma io devo andare a lezione fra poco" dico, "tu oggi non andrai a lezione" risponde lui e mi fa entrare in macchina prima che possa aggiungere altro.
Si immette nel traffico scorrevole di Roma, a quest'ora sono tutti a lavoro e le strade sono meno movimentate, seguo la strada con gli occhi e vedo che svolta in direzione Termini "Andre?" chiedo solo e lui non risponde, arriviamo nel parcheggio della stazione e lui spegne il motore.
"Tu vuoi vederlo, Sele, allora vai. Vai da lui. Sii felice fino in fondo" mi dice e prende il suo cellulare, digita qualcosa ma non vedo, "un treno per Bologna parte fra 20 minuti, vai a prenderlo, va a salvarlo, va ad abbracciarlo, so che è questo quello che vuoi" dico e mi butto tra le sue braccia, ci abbracciamo forte, siamo tornati ad essere noi, la mia fonte di coraggio.

Il viaggio in treno è stato così breve nella mia testa, l'ansia che combatte con le farfalle nello stomaco, la guerra interiore tra il negativo e il positivo, tra "che cazzo sto facendo?" e "non vedo l'ora di vederlo" le dita che ora mi fanno male perché ho passato le ore a picchiettarle sul bracciolo del sedile, le gambe intorpidite e un sorriso che vedo riflesso nel finestrino, sono agitata ma felice. Il lungo percorso nella galleria mi fa capire che sono arrivata, che questa è la mia fermata, recupero la borsa e mi precipito alla porta prima che il treno annunci la fermata.

Le scale mobili della stazione sembrano infinite, riguardo quell'angolo in cui io e Cesare ci siamo abbracciati per la prima volta, quando mi sono persa nei suoi occhi e non mi sono più ritrovata, spero di farlo oggi.

Arrivo fuori e apro la sua chat, scrivo tante parole e cancello, più volte, faccio partire una nota audio e elimino pure quella, un'altra e un'altra ancora. Faccio un tiro e alzo lo sguardo verso la città, la piazza e i palazzi davanti a me, apro la fotocamera e scatto una foto, "sono venuta a salvarti" digito e invio.
È online, le spunte sono blu e lui mi ha letto. Il silenzio per pochi secondi e una sua nota audio "non muoverti da lì, arrivo subito" dice e non serve aggiungere altro, non ho niente in testa ora, solo lui.

Cammino avanti e dietro sul marciapiede da un po' di tempo, mi do della stupida da sola per quello che ho fatto, maledico Andrea per avermi convinta così facilmente, mi appoggio al muro che fa angolo oltre le porte della stazione e giro una sigaretta, a fatica.
Alzo lo sguardo verso il punto in cui ero poco fa e lo vedo, si guarda attorno, entra dentro e esce poco dopo, sembra nervoso, prende il cellulare e lo faccio anche io, rispondo al primo squillo, non ho ancora il coraggio di avvicinarmi.
"Dove sei?" mi chiede subito, con un leggero fiatone "sono proprio qui" dico solo "qui dove?" si gira e mi vede, come la prima volta, da lontano trova i miei occhi. Corre verso di me e mi abbraccia, prima di dire qualsiasi cosa mi stringe tra le sue braccia, mi lascio andare a lui, al senso di pace. Restiamo così per non so quanto tempo, non voglio allontanarmi da lui, mai.
"Andiamo a salutare gli altri?" mi chiede e mi prende per mano, mi porta fin la sua macchina.

Nessuno dei due parla lungo il tragitto, ci guardiamo e sorridiamo, non sto pensando a nulla, mi sento bene, come mai nella mia vita.
Imbocchiamo la stradina che porta allo studio, la riconosco. Riconosco l'ingresso, il posto in cui lui mi è stato vicino per la prima volta, la prima volta in cui mi ha aiutato. Entriamo e lo studio è vuoto, siamo soli, ancora. Siamo imbarazzati, continuiamo a guardarci e sorriderci e a me va bene così, il suo sorriso mi basta.
Mi fa accomodare su uno dei divani del salotto e lui si siede accanto a me, respira e mi parla, finalmente "che ci fai qui?" mi chiede, mi guarda negli occhi e, mi ritrovo, mi rivedo e mi sento bene.
"Sono qui per salvarti" dico e scoppia a ridere, lo seguo e ridiamo insieme, prendo coraggio, ormai sono qui, "volevo vederti, Cesare" dico e guardo altrove, cerco qualsiasi cosa nello studio, sento la sua mano tra i miei capelli, la poggia sul mio collo, i suoi occhi addosso e brividi lungo tutto il corpo, mi giro a guardarlo e, prima che possa aggiungere altro vengo zittita dalle sue labbra, non capisco più nulla.
"Speravo in questa risposta" dice mentre i nostri occhi si incrociano, le nostre labbra si mescolano ancora, si confondono, si cercano. Finalmente.

Era ora, no?

RadioLuna  [spacevalley]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora