67. C'è posta per te

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Presi un respiro profondo, era già il terzo nel giro di pochissimi minuti, sentivo dentro di me che, se avessi respirato abbastanza profondamente, le mie gambe sarebbero riuscite a muoversi ed avrei smesso di stare impalata in quella stupida posa da soldatino.

La sera prima mia sorella mia aveva chiamata.
Era stata una telefonata inaspettata e felice, per me, che non avevo neanche avuto modo di salutarla.
Mi aveva parlato tantissimo dei suoi progressi alla scuola di danza, della sua compagna di classe un po' perfida che continuava a farle dispetti, di Lord Tubbinton che non aveva ancora smesso di fumare. E di quanto le mancassi.
Poi quasi come se solo in quel momento si fosse ricordata, mi aveva parlato di una lettera, una lettera che era arrivata per me da New York.

Li per li mi aveva terrorizzato l'idea che i miei genitori fossero ancora cosi in collera con me da farmi chiamare da Sofi per avvisarmi della comunicazione che la Julliard mi aveva probabilmente mandato.

Più di tutto, avevo pensato, mi spaventava il contenuto di quella busta. L'idea che avessero potuto prendermi e che io non avrei potuto avere i mezzi per poterci andare. O che avessero potuto non prendermi ed, in quel caso, non avrei avuto un posto dove stare. Insomma in entrambi i casi l'arrivo di quella lettera mi aveva rammentato che non avevo più una casa e, forse, non c'era nessun futuro per me.

Immobile davanti alla porta di casa mia, ferma ad aspettare che il coraggio di bussare, perché non avevo fegato di usare le mie chiavi, arrivasse dal cielo.

Fu ancora una volta mia sorella a salvarmi.
Mi vide dalla vetrata del salotto e corse ad aprirmi, felice di potermi riabbracciare tanto quanto lo ero io di vederla.

Mi bloccai con lei tra le braccia mentre con le lacrime agli occhi le accarezzavo i capelli. La figura di mia madre comparve davanti alla porta.
Il viso un po' stravolto, occhiaie scavate come non dormisse bene da secoli e l'abbozzo di un sorriso che sembrava più una smorfia a metà tra gioia e dolore.

"Ciao mamma" sussurrai sciogliendo l'abbraccio con Sofi.
"Ciao Camila" disse lei con lo stesso tono. Mi sembrò di sentire la sua voce per la prima volta da anni, anche se si trattava solo di poche settimane.

Deglutii a vuoto vedendo che stringeva tra le mani la lettera che probabilmente era mia.
Per un secondo ebbi il timore che volesse consegnarmela cosi, senza neanche farmi entrare.

La guardai, come si guarda una statua di antica bellezza, con la venerazione di chi osserva un capolavoro raro e la paura che un passo in più nella sua direzione, che un semplice tocco, potesse rovinarne l'intatta perfezione.

Volevo abbracciarla.
Non sapevo di desiderarlo fino al momento in cui non me l'ero trovata davanti.
Pensavo in cuor mio, fino a quel momento, che avrei finito con l'odiarla, mia madre, per come mi aveva trattata.
Invece, contro ogni mia aspettativa, l'amavo irrimediabilmente come solo una figlia può amare la donna che l'ha messa al mondo ed adorata per diciassette anni.

Non accettava ciò che ero, mi aveva trattata nel peggiore dei modi e, più di tutto, aveva trattato male Lauren che importava per me più di ogni altra cosa, eppure volevo abbracciarla. Ne avevo un estremo bisogno ma non lo feci.
La guardai per un tempo lunghissimo specchiandomi in quegli occhi cosi simili ai miei.

"Vuoi...ti va di entrare?" chiese lei timidamente con un filo di voce.

Non risposi,mi limitai ad annuire piano. Fu Sofi a tirarmi allegramente dentro casa e, passando accanto a mia madre, non riuscii a non sorridere nel sentirne nuovamente l'odore buono e familiare che apparteneva solo a lei e, mi piaceva pensare, forse un po' anche a me.

Nel tragitto dall'entrata alla cucina mi guardai intorno, percorrendo il corridoio di casa mia come fossi un'estranea che vi entra per la prima volta.
Mi assalì il pensiero di dove sarei potuta andare una volta finita la scuola: se non avessi avuto la possibilità di andare alla Julliard, se i miei non mi avessero mai più accolta in casa, quando Lauren fosse andata a Louisville, cosa mai avrei potuto fare io?

"Latte e biscotti?" propose mia madre guardandomi speranzosa.
"Sii" gridò mia sorella saltellando allegra "Vado a prendere Lord T." disse poi sparendo euforica su per le scale mentre io mi accomodavo sul mio solito sgabello in cucina.

Mia madre era di spalle intenta a preparare le tazze con il latte.
Per un lunghissimo istante nessuna delle due parlò.
L'occhio mi cadde sulla busta riposta, forse di proposito, poco distante da dove ero seduta io sul ripiano d'appoggio della cucina.

"Non vuoi aprirla?" domandò mia madre facendomi sobbalzare. Distolsi lo sguardo dalla busta per puntarlo su di lei, ritrovandola a guardarmi in attesa.

Presi un respiro.
"Forse dovrei... voglio aprirla con Lauren" sentenziai.
Per un attimo mi sentii egoista ma poi mi ricordai che ero stata cacciata di casa e trattata come una criminale e che Lauren era davvero l'unico punto fermo nella mia vita. Perciò al diavolo, volevo aprirla con lei quella busta.

Mia madre abbassò lo sguardo fissandosi i piedi con aria dispiaciuta e, per un istante, mi fece pena.

"Tra una settimana c'è il diploma" disse incerta.
"Già, ho sgobbato parecchio nelle ultime due settimane e, grazie all'aiuto di Lauren, riuscirò a diplomarmi. Anche se non avrò un voto molto alto purtroppo ma non importa" dissi scrollando le spalle.

Rimanemmo ancora un po' in silenzio, incerte su cosa dire.

"Verrete? Al mio diploma intendo" domandai guardandola. In quello stesso istante lei alzò gli occhi nei miei e riuscii a scorgere qualche lacrime all'angolo delle sue iridi.

"Naturalmente" disse annuendo.
Annuii a mia volta mentre dal cuore si sollevava un peso. Forse non ero del tutto morta per loro.

"Papà è al lavoro?" chiesi distrattamente.
"Tornerà per cena" disse lei "Vuoi...vorresti rimanere a cena?" domandò incerta.

La guardai scrutando il suo viso tremante.

"Dipende" dissi sicura "Posso invitare Lauren?" domandai.

Lei abbassò nuovamente lo sguardo ed io sorrisi ironica scuotendo la testa.

"Allora temo che dovrò rifiutare" dissi.
In quello stesso istante mia sorella spuntò con in braccio il nostro gatto ed io mi presi più di un minuto per coccolare la mia piccola palla di pelo.

"La merenda è pronta" annunciò mia madre mettendo a tavola i bicchieri di latte ed il piatto con i biscotti.

Improvvisamente mi sentii di nuovo chiamata dalla realtà. Cosa stavo facendo?
Ero li, come se nulla fosse successo, a bere latte nella cucina della casa in cui ero cresciuta e dalla quale ero stata ingiustamente cacciata, con la donna che mi aveva messa al mondo e che non accettava più di amarmi come una madre dovrebbe fare solo perché mi ero innamorata di una donna.

"Devo andare" dissi alzandomi di scatto "Lauren mi aspetta" sentenziai.
"No, ti prego resta" mi prego Sofi.
"Vorrei scricciolo, ma sarà ora di cena a breve e la mia fidanzata mi aspetta" dissi con naturalezza.
Mia sorella mise su un tenero broncio ed io sorrisi baciandole la fronte e lasciando scivolare tra le sue braccia Lord T.

Presi la busta riponendola nella mia borsa al sicuro e mi fermai in piedi davanti a mia madre, appoggiata a braccia conserte al ripiano della cucina.

"Allora, ciao" dissi semplicemente "Immagino che ci vedremo alla cerimonia del diploma".
Lei annuì piano senza nemmeno avere il coraggio di guardarmi. Sospirai lanciandole un'ultima occhiata prima di avviarmi verso l'uscita.

Aprii la porta lanciandomi fuori come se stessi uscendo da un edificio in fiamme.
Sentivo il cuore fare a pugni con lo stomaco e la testa pesante.
Avevo tanta voglia di piangere e mi pentii di aver detto a Lauren di non venire con me.'Ce la faccio' le avevo detto. Ma non era vero, non riuscivo a respirare.

"Kaki" mi chiamo Sofi precipitandosi fuori dalla porta di ingresso.
Mi voltai guardandola mentre mi correva incontro.
"La sera prima del diploma, mamma vorrebbe che tu e Lauren veniste a cena" disse col fiatone.
La guardai stranita prima di alzare gli occhi per vedere mia madre in piedi in attesa davanti alla porta di casa.
"Ci verrete Kaki? Dimmi di si, ti prego" disse mia sorella supplichevole.
"Non lo so piccola" risposi di getto "Vedremo" conclusi.
Lanciai a mia madre un ultimo sguardo a metà tra lo stranito e l'incerto.

Non sapevo se fosse più ridicolo e strano il suo repentino cambio di idea o il fatto che non avesse avuto nemmeno il coraggio di dirmelo lei stessa, usando mia sorella come tramite. Non ero in grado di pensare razionalmente in quell'istante, l'unica cosa che volevo era tornare a casa dalla mia Lauren ed aprire quella maledetta busta.

****

Camminavo avanti e indietro per il salotto, ero nervosa, tremendamente nervosa.
Da un lato c'era l'ansia di sapere che Camila era dai suoi.

L'avevo vista uscire di casa talmente preoccupata che mi spaventava il suo ritardo.
Ma più di ogni altra cosa, in quel momento, mi faceva paura quella busta gialla col timbro di New York che se ne stava poggiata sul tavolino, accanto a quella identica con sopra il nome di Dinah. La mia amica seduta sul divano osservava a sua volta le buste, mordicchiandosi le unghie.

La risposta dall'università della Columbia era arrivata.
Avevo spedito quella richiesta distrattamente, quasi senza alcuna speranza, ed ormai ero quasi certa che non sarebbe più arrivata alcuna risposta positiva.
Eppure le buste erano li, spesse e pesanti, promettevano cose positive.
Se da un lato la cosa mi alleggeriva il cuore mostrandomi la possibilità di poter vivere con Camila nella grande mela, d'altra parte quella nuova prospettiva stravolgeva tutti i miei piani e questo era qualcosa che, da maniaca del controllo quale ero, non apprezzavo o comunque mi disturbava.

La porta di casa si aprì e Camila comparve un po' sconvolta. Si prese appena il tempo di lanciare la borsa davanti all'entrata per correre velocemente tra le mie braccia che la accolsero stringendola forte.

"Com'è andata, piccola?" chiesi seria.
"Non saprei dirlo con certezza" rispose lei con un filo di voce stringendosi a me con più insistenza mentre il suo sguardo vagava stranito da Dinah alle due buste sul tavolino.

Sciolse l'abbraccio guardando la bionda che le sorrise leggermente mentre l'altra prendeva una delle buste, quella con sopra il mio nome.

"Columbia University of New York" lesse con un filo di voce prima di sollevare lo sguardo sorpreso nel mio, un po' impaurito.

Abbozzai un mezzo sorriso, in quel momento mi maledissi per non aver parlato prima a Camila dell'idea di fare domanda ad un'università Newyorchese.

"Sorpresa" dissi con una risatina isterica.
"E' uno scherzo, vero?" domandò seria.
"Solo se vuoi che lo sia" risposi terrorizzata da quella che sarebbe potuta essere la sua reazione.
"Quando accidenti pensavi di dirmelo?" domandò.
"Io non sapevo nemmeno se sarei mai stata presa e non lo so ancora in verità. Mi dispiace" dissi sincera.

Lei prese un profondo respiro passando lo sguardo tra me e la busta prima di tornare verso la borsa e recuperare a sua volta una busta bianca per lasciarla cadere sul tavolo accanto alle altre.

Guardò Dinah che sorrise.
"Normani sta arrivando" sentenziò.
Camila si accomodò sul divano accanto a lei ed io raggiunsi la mia moretta prendendole la mano.

"Siamo invitate a cena dai miei la prossima settimana" disse a bassa voce senza smettere di fissare le buste chiuse.
"Ma non dobbiamo andarci se non vuoi" aggiunse.
"La decisione è solo tua amore. Io la appoggerò qualunque sia" risposi calma stringendo forte la sua mano tra le mie.

Lei annuì sorridendo come se si aspettasse quella risposta e mi rivolse un'occhiata spaventata alla quale risposi lasciandole un lieve bacio a fior di labbra.

"E se non sono stata presa?" sussurrò spaventata.
"Sarai entrata di certo amore e, se non fosse così, troveremo un'altra soluzione. Ci sono mille scuole di danza a New York" la rassicurai "Potrai sempre tentare l'anno prossimo" dissi con fermezza.
"E se non sei stata presa tu?" domandò.

Mi soffermai a pensarci.
Ripensai ai mille depliant dell'università di Louisville rinchiusi nel cassetto della mia scrivania.
La mia strada sicura, ora, non mi sembrava più cosi in discesa, né mi allettava come un tempo.

Mi avrebbe dato una possibilità ma avrei dovuto rinunciare a Camila per una vita che non ero neanche sicura fosse quella giusta per me. In quel preciso istante presi la decisione che mi avrebbe cambiato la vita, più del mio coming out o di qualunque altra decisione avessi mai preso.

"Ci sono milioni di fast food in cui potrei lavorare a New York. Troverò qualcosa da fare, non andrò a Louisville, non ti lascerò mai più" sentenziai.

"No" disse lei scattando in piedi e facendo tremare Dinah.
Mi alzai a mia volta.
"Camz..."
"No" mi interruppe lei "Giurami che, se non c'è una risposta positiva in quella busta, tu andrai a Louisville! Giuralo, Lauren" disse tutto d'un fiato.

Scossi la testa.
"Amore..." tentai.
"No!" mi interruppe lei con più veemenza.
"Tu seguirai la tua strada come è giusto che sia. Ti costruirai il tuo futuro indipendentemente da me. Ti amo e non posso permetterti di buttare la tua vita. Giurami che non rinuncerai al tuo futuro, non per me. Giuralo, Lauren" disse guardandomi dritta negli occhi.

Ingoiai a vuoto incapace di sostenere quello sguardo di ghiaccio.

"Giuralo" disse con un filo di voce e le lacrime agli occhi.
"Lo giuro" risposi semplicemente lasciandomi scappare una piccola lacrima prima che le sue labbra fossero sulle mie per un lungo bacio interrotto solo dal suono del campanello.

Dinah si alzò correndo verso la porta ed io e Camila riprendemmo posto sul divano mentre Normani faceva il suo ingresso con in mano la busta proveniente dalla NYADA.

"Giorno di posta eh" scherzai io per smorzare la tensione mentre anche la busta di Normani cadeva sul tavolino con le altre e, la ragazza, più agitata che mai prendeva a camminare avanti e indietro gesticolando istericamente.

Passarono una manciata di minuti durante i quali Dinah tentò invano di convincere Normani a calmarsi.

Fu Camila a spezzare quell'aura di tensione.
Nessuna aveva il coraggio di aprire la sua busta, eravamo consce del fatto che, dentro quei pezzi di carta, fosse racchiuso il nostro futuro e questo ci spaventava a morte. Perché voleva dire che una volta aperte, saremmo improvvisamente diventate adulte e avremmo dovuto fare i conti con ciò che ci aspettava. E la cosa peggiore era che non potevamo essere sicure che avremmo affrontato tutto insieme.

"Propongo di leggere ognuna la lettera dell'altra, ovviamente nessuna può leggere quella della propria ragazza" disse Normani.

Tutte annuimmo.

"Io leggo la tua" propose Dinah prendendo la busta della Julliard.
"Ed io la tua" disse Camila prendendo quella gialla della Columbia.
"Non è giusto perché a me tocca quella della nana? Non capisco! Se ci dovesse essere scritto che non è stata presa finirà per saltarmi al collo come un folletto della Cornovaglia" protestai.
"Non dire queste cose nemmeno per scherzo, Lauren. Mi hanno presa di sicuro" strillò Normani con una vocina stridula mentre mi lanciava la busta e prendeva la mia.

Prendemmo tutte un bel respiro.

"Bene" esordì Camila "Al mio tre".

"Uno" aprimmo le buste in contemporanea.
"Due" tirammo fuori i fogli accuratamente piegati su loro stessi.
"Tre" spiegammo i fogli pronti a leggerne il contenuto.

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