51. Satana Is Back Again

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Un fine settimana non mi era mai sembrato cosi lungo, non avrei mai pensato di ritrovarmi a non vedere l'ora di poter tornare a scuola.

C'era stato un tempo in cui, ogni venerdì, pregavo che tornasse presto il lunedì per poterla rivedere tra i corridoi ma, da quando era cominciata la nostra storia, avrei voluto che il fine settimana fosse eterno. Dormivamo insieme quasi tutti i venerdì sera e restavamo a coccolarci a letto per tutta la giornata seguente, passavamo insieme ogni minuto ed io non potevo chiedere di meglio dalla vita.

Ora invece tutto sembrava essere tornato come prima.
Quel sabato non voleva proprio saperne di passare ed io non sapevo cosa fare per ingannare l'attesa.

Non mi pesava non poter uscire, in fondo non c'era nulla che volessi fare davvero se non correre da lei, cosa che non potevo fare, perciò restare a casa o in qualunque altro posto non faceva differenza.

Non avevo voglia di far nulla come del resto da circa una settimana a quella parte. Ormai non c'era niente che sembrasse entusiasmarmi particolarmente, neanche la danza mi regalava più le stesse emozioni. Per quanto mi impegnassi mi sembrava sempre di ballare senza riuscire a sentire davvero la musica, non ero più ispirata ed i miei passi non erano altro che semplici esecuzioni, un susseguirsi di gesti meccanici, una danza senz'anima.

Nemmeno Lord T. riusciva a farmi stare meglio, per quanto averlo accanto mi facesse sentire meno sola.

Normani passava a trovarmi ogni pomeriggio ma non riuscivo ad essere di tante parole nemmeno con lei, tuttavia la mia amica non demordeva, passava anche ore seduta con me in silenzio, spesso facevamo i compiti o, semplicemente, fissavamo il vuoto insieme. Era bello poter condividere la mia solitudine con lei, era bello soprattutto che lei si prestasse a sopportare quest'apatia totale solo per me.

Quel pomeriggio però lei non c'era.
Era con Dinah.

Non sapevo esattamente come si fossero evolute le cose tra loro dopo la famosa discussione a casa di Lauren quel giorno.
Dinah le aveva semplicemente telefonato, la mattina dopo, pregandola di incontrarla ed in quell'occasione le aveva chiesto scusa per la sua impulsività e per la cattiveria con cui si era rivolta a lei che non aveva colpe.

Normani aveva fatto un po' di storie e le aveva tenuto il muso per un paio di giorni poi però, un po' per le scuse insistenti e sempre più convincenti della bionda, un po' perché alla fine lei ci teneva davvero, si era convinta a perdonarla facendole promettere che non si sarebbe più fatta prendere cosi tanto dall'emotività e tutto tra loro sembrava essere tornato alla normalità.

Beh almeno qualcuno era felice.

Invidiavo un po' Normani e, segretamente, mi vergognavo di questo perché lei era la mia migliore amica e avrei dovuto semplicemente essere felice per lei. E lo ero, lo ero davvero.
Eppure allo steso tempo invidiavo l'espressione felice del suo volto, la serenità del suo rapporto, il modo cosi tranquillo con cui affrontava la cosa.

Forse più di tutto le invidiavo proprio quello: la sua tranquillità riguardo la situazione. Lei non doveva certo preoccuparsi che un giorno i suoi potessero tenerla lontana da Dinah solo perché era una ragazza.
I suoi genitori l'avrebbero capita ed ammirata.

Questo le invidiavo più di tutto.
Già, la invidiavo e mi sentivo terribilmente in colpa per questo ma non potevo farci nulla.

Qualcuno bussò alla porta interrompendo il flusso dei miei pensieri.
Non mi scomposi minimamente, rimanendo stesa a pancia in giù al centro del mio letto.

"Sparisci Sofi, ti ho già detto che non ho voglia di giocare con l'xbox" dissi in tono piatto.

La persona dall'altra parte aprì piano la porta.

"Camila" la voce timida di mia madre riempì la stanza.

"Vattene" riuscì solo a dire con rabbia.

"Non hai mangiato nulla neanche oggi, ti ho portato dei biscotti" disse calma entrando con un piattino in mano.

"Oh mi hai portato i biscotti! Che mamma premurosa!" dissi sarcastica "Tu si che sai come farmi felice" gracchiai acida.

"Camila quando smetterai di rivolgerti a me con tutto quest'odio?" domandò esasperata.

"Quando smetterò di odiarti. Cosa che avverrà quando nevicherà ad Agosto suppongo" mi limitai a dire senza guardarla.

"Ricordati che sono sempre tua madre" disse in torno più serio.

"No, sei una sporca ricattatrice che tiene più alle stupide convenzioni di questa stupida società che alla felicità di sua figlia! Ho ceduto al tuo ricatto, ti ho resa felice, non ti pare già abbastanza? Dovrei anche fingere che tu conti ancora qualcosa per me? Mi chiedi troppo. Vattene e basta. Non ti fa schifo parlare con la tua sporca figlia deviata? A me fa venire il vomito anche solo la tua voce" sputai fuori senza mai rivolgerle lo sguardo.

"Ti proibisco di parlarmi cosi signorina, io..." cominciò severa.

"Io cosa? Che farai? Mi spedisci in collegio? Mi prendi a schiaffi? Non mi importa niente! Credi di potermi davvero fare più male di quanto tu non abbia già fatto?" dissi seria incanalando tutta la rabbia che avevo dentro verso di lei.

"Non capisci che io e tuo padre vogliamo soltanto il tuo bene Camila?" disse cambiando completamente tono.

Questo era troppo. Mi sollevai dalla mia posizione guardandola finalmente in quegli occhi cosi simili ai miei che non riconoscevo più ormai.

"Il mio bene" dissi incredula "Volete il mio bene?" domandai sarcastica.
Cercai di trattenere la risata isterica che stava per travolgermi.

"Lasciami essere chi sono se davvero vuoi il mio bene, permettimi di essere me stessa" dissi tutto d'un fiato.

Lei scosse il capo.

"Tu non sei cosi Camila, stai confondendo la realtà delle cose. Ed è mio dovere preservarti, evitare che tu compia questi errori. Devo proteggerti capisci?" disse con le lacrime agli occhi.

"Proteggermi? Da cosa? Da che cosa mi staresti proteggendo mamma? Non dal dolore certo, quindi da cosa mi stai difendendo? Dall'unica cosa che mi abbia mai reso felice sul serio?" quasi urlai.

"Voglio solo evitare che tu commetta un terribile sbaglio" fece lei premurosa.

"Uno sbaglio?" mi trovai a ripetere incredula ed indignata.

"Lauren è stata la cosa migliore che la vita mi abbia mai regalato. Lei non è uno sbagli, io non sono uno sbaglio, qui l'unica che si sbaglia sei tu. E sai che ti dico? Non sei tu a doverti vergognare di me, sono io che mi vergogno di avere una madre ed un padre cosi meschini, bigotti e falsi da mettere alla gogna la loro figlia solo perché si è innamorata" stavolta urlai sul serio.

"Tu non sei innamorata di quella ragazza" tentò mia madre alzando il tono della voce.

"Si che lo sono invece!" gridai dando un colpo al piatto che ancora teneva in mano. Quest'ultimo cadde sul pavimento rompendosi in mille piccoli frammenti proprio come il mio cuore qualche giorno prima.

Mia madre rimase immobile ad osservare i biscotti rovesciati sul pavimento insieme a i piccoli pezzi di coccio.

"Sei impazzita?" domandò spiazzata.

"Uh ti ho urlato contro mammina? Ho rotto il tuo prezioso piatto.. si forse sono pazza e, cosa peggiore, sono lesbica" dissi ironica mostrandole un sorriso spiritato e avvicinandomi a lei.

"Vuoi prendermi a schiaffi per rimediare alla cosa? O magari non so... chiamiamo un esorcista? Uh ho un'idea migliore collegio ,anzi no, manicomio...o magari un bel centro di recupero! Che ne pensi?" le dissi ancora ridendo istericamente.

Cercai di calmarmi e riprendere fiato ma, nonostante questo, non smisi di guardarla con disprezzo.

Mi ero sfogata ed, a dire il vero, mi sentivo molto meglio. Mi ritrovai a pensare che forse avrei dovuto farlo tempo prima.

"Non avresti dovuto mentirmi in quel modo, cosi spudoratamente, dovevi parlarmene subito e magari noi potevamo..." tentò.

"Cosa? Cosa potevate fare? Recuperare prima la mia eterosessualità perduta? Farmi internare? Allontanarmi prima dalla persona più importante della mia vita? Cosa avresti fatto sentiamo" urlai nuovamente.

"E' questo il motivo? Sto pagando un prezzo cosi alto solo per averti mentito? Io dubito che sia questa la ragione. Penso che questa sia solo una scusa comoda ma va bene, pensala cosi se ti aiuta a dormire la notte" gracchiai acida ritornando a stendermi sul letto.

"Vattene via" intimai nuovamente.

Lei non disse nulla, si limitò a sospirare aprendo la porta e uscendo frettolosamente.

"Pulisci qui per terra" disse prima di chiudersi la porta alle spalle.

"Va all'inferno" risposi a denti stretti scoppiando in un pianto liberatorio e necessario.

***

"Dove diavolo sei? Dove ti sei ficcato stavolta?" urlai isterica girando per le stanze di casa, tenendo in mano una delle mie preziosissime scarpe, quelle decolté in lucido rosso mi erano costate una fortuna ed erano praticamente le mie preferite ed adesso la punta di una delle scarpe era completamente mangiucchiata.

"Stavolta ti spedisco in canile brutta palla di pelo! Dove diavolo sei?!" gridai aprendo il mio armadio. Lo ritrovai accoccolato su una mia vecchia camicia intento a giocare con i bottoni di quest'ultima.

Non appena si accorse di me sollevò il musetto piegando di lato la testa per osservarmi con aria innocente.

"Fuori di qui Mr.Freaky, adesso!" ordinai facendogli segno di uscire. Il cucciolo non si mosse rimanendo a fissarmi con i suoi occhioni neri e vispi.

"Ti ho detto di uscire! Ora tu te ne vai in giardino, capito?" gli intimai ma lui non si spostò di un millimetro, si limitò ad emettere un mugolio confuso senza smettere di guardarmi fisso.

"Ma sei sordo? Fuori Mr.Freaky" ordinai ancora. Nessuna reazione.

Sbuffai, ci mancava solo il cane.

"Schifottolo, in giardino adesso!" dissi autoritaria.
Senza scomporsi minimamente il cucciolo si sollevò a fatica sulle zampette e, lentamente, sgattaiolò fuori dall'armadio raggiungendo la porta, si fermò a pochi passi dal corridoio rivolgendomi uno sguardo dispiaciuto, per quanto un cane possa sembrare dispiaciuto.

Lo guardai un po' sorpresa.
Alzai un sopracciglio stranita, poi mi accasciai a terra guardando negli occhi il piccolo.

"Vieni qui MrFreaky" ordinai.
Il cane non si mosse, si limitò a sedersi sulle zampette posteriori agitando la coda.

Lo guardai con sospetto.

"Schifottolo, vieni qui" richiamai. Stavolta il cucciolo balzò in piedi e trotterellò verso di me posizionandosi nel mezzo delle mie gambe incrociate ed appoggiando la testa sulla mia coscia.

"Lo sapevo che il mio nome ti piaceva di più, ah!" dissi soddisfatta sorridendo sinceramente forse per la prima volta da giorni.

Mi ritrovai ad osservare il cane che aveva preso a rotolarsi su se stesso fino a stendersi a pancia in su guardandomi implorante.

"Non pretenderai che ti faccia le coccole? Cosa sei una femminuccia? I veri maschi non chiedono le coccole" dissi seria guardandolo altezzosa.

Lui mugolò nuovamente guardandomi insistentemente con uno sguardo da cucciolo, cioè il suo sguardo dato che di un cucciolo si trattava.

"Non crederai di intenerirmi con quegli occhietti imploranti vero?" domandai retorica.

Per tutta risposta lui si rigirò su se stesso annusando con calma la mia mano che sostava poco distante prima di cominciare a strusciarvi contro il musetto, continuando a emettere piccoli lamenti.

Tentai di resistere il più possibile ma quando si fece insistente mi ritrovai a pensare che magari una o due carezze non potevano far male.

"Carenza di affetto eh?" dissi ironica, accarezzandogli piano la testa, mentre lui si lasciava andar beato sotto il mio tocco.

"Ti capisco" dissi sconfitta.

Il cucciolo mi rivolse nuovamente lo sguardo, con la zampetta prese a picchiettare contro la maglietta di Spongebob che indossavo e che, fino a pochi giorni prima, Camila usava come pigiama quando dormiva da me.

"Manca anche a te eh?" domandai intenerita continuando a coccolarlo.

"Lo so è difficile. Ma dovremo abituarci sai? Lei non tornerà ma non importa. Noi non abbiamo bisogno di lei, vero Schifottolo?" domandai prendendogli il musetto per guardarlo meglio nei suoi occhioni scuri e teneri.

"Ce la caveremo da soli noi due, giusto?" domandai nella speranza che le mie parole riuscissero a convincermi davvero.

Il cane emise un mugolio strozzato strofinando il naso sul mio petto mentre lo stringevo piano.

"Non ti porto al canile" mi ritrovai a dire "Ma se ti becco ancora a mangiarmi le scarpe ti faccio castrare" lo minacciai.

Lui si agitò un po' nella mia presa facendomi ridacchiare.

Lo sollevai fino al mio viso, squadrandolo per bene in quegli occhietti vispi.

Lui, per tutta risposta, avvicinò il naso al mio strofinandovisi appena. Istintivamente sorrisi.

"Lo sai Schifottolo? Quando non ti becco a rovistare nella spazzatura sei quasi simpatico" ammisi "Ma ciò non toglie che rimani comunque un puzzone, ergo, bagnetto" dissi sadica.

Lui tentò di divincolarsi dalla mia presa ma lo tenni saldamente ancorato al mio petto.

"Su lasciati lavare piccola puzzola pelosa e ti concederò di dormire nel mio armadio... forse" aggiunsi portandolo verso il bagno.

***

"Credi che oggi verrà?" domandai sconsolata ad una Normani intenta a rovistare nel suo armadietto.

"Dinah mi ha detto che si era convinta a venire, era ora ha saltato quasi una settimana di scuola" commentò distratta.

Sospirai.

"Non credo di farcela" ammisi.

"Mila, un passo alla volta! Ce la farai, devi solo farti forza" disse premurosa accarezzandomi un braccio.

Quando la porta dell'entrata si spalancò con un tonfo mi sembrò di essere catapultata nuovamente nel passato.

Mi voltai ed una morsa mi strinse lo stomaco appena la vidi.

Mi sembrò d'un tratto che quei mesi non fossero trascorsi. Lei era li col suo ghigno malefico, quello che da un bel po' non usava più, camminava con le mani sui fianchi ondeggiando spavalda. Pochi passi dietro di lei, alla sua destra, Dinah ed alla sua sinistra, dove un tempo c'ero io, era tornata a sistemarsi Veronica.

Il suo sguardo cattivo, che da troppo non vedevo, saettò da uno studente all'altro. Qualcuno le passò davanti arrestando il suo avanzare, uno sgambetto poco elegante da parte sua fece inciampare rovinosamente il malcapitato che cadde a terra sbattendo la faccia sul pavimento freddo.

"Guarda dove metti i piedi perdente" ringhiò oltrepassandolo con noncuranza.

"Kordei!" quasi urlò dal fondo del corridoio avvicinandosi svelta e, per la prima volta dopo tanto tempo, rividi la mia amica rabbrividire a quel richiamo.

"E' sempre un tremendo e disgustoso dispiacere vedere la tua faccia in giro, noto che non hai ancora avuto la decenza di rifarti un guardaroba come si deve e che il tuo parrucchiere è ancora in vacanza a quanto pare. Belle scarpe comunque, le hai comprate in un negozio di bambole?" disse tutto d'un fiato passando davanti a noi senza degnarmi neanche di uno sguardo.

Dinah si fermò fissando Normani con uno sguardo di scuse mentre Lauren e Veronica continuavano la loro avanzata.

"Siamo ritornate ai vecchi tempi a quanto pare" constatò Normani dispiaciuta.

"Mi dispiace tesoro è solo di cattivo umore, tu non centri nulla" disse Dinah rassicurandola prima di rivolgermi uno sguardo truce.
Sbuffai.

"Dinah possiamo parlare?" chiesi secca.

"Non ho nulla da dirti" si limitò a rispondere senza guardarmi.

"Ma io devo dirti un po' di cose, per favore" la pregai.

Normani guardò speranzosa la sua ragazza cercando di trasmetterle con lo sguardo il suo desiderio che lei si prestasse a chiarire con me una volta per tutte. La bionda prese un lungo respiro specchiandosi negli occhi dell'altra poi mi guardò torva.

"Solo due minuti Cabello, non ho molto tempo da sprecare con te, io!" disse dura prima di avviarsi verso il bagno delle ragazze.

Ringraziai Normani con lo sguardo e mi apprestai a seguirla.

"Sono tutta orecchie" disse scocciata dopo essersi accertata che fossimo sole.

"Dinah, io lo so che sei arrabbiata con me" cominciai.

"Arrabbiata è un eufemismo! Io sono furiosa fino all'inverosimile, ti odio cosi profondamente che non conosco abbastanza insulti da rivolgerti per manifestati tutto il mio disprezzo" disse tutto d'un fiato inducendomi ad abbassare il capo sotto il peso della sua durezza.

"Io sono innamorata di Laur" dissi cercando di ignorare le sue parole.
Lei fece per ribattere ma, alzando una mano, la fermai.

"Lo sono, giuro sulla mia vita che è vero.." mi affrettai a precisare.
La bionda si limitò ad alzare un sopracciglio incrociando le braccia sotto il seno in attesa. Probabilmente con l'intento di constatare dove volessi andare a parare.

Approfittando del suo silenzio presi a raccontarle tutto ciò che era accaduto. Dei miei genitori, delle loro minacce, della mia paura.

Quando ebbi finito mi limitai a fissarla mentre mi guardava con un'espressione scettica che andava mano mano addolcendosi.

"Avresti dovuto parlarne con lei. Insieme poteva trovare una soluzione, non dovevi allontanarla subito Mila, capisco le tue ragioni ma queste non ti giustificano fino in fondo" mi fece notare seria.

"Lo so" dissi annuendo piano, abbassai lo sguardo sconfitta.
"Ho sbagliato tutto e me ne sono accorta troppo tardi" ammisi a lei ed a me stessa mentre nuove lacrime mi riempivano gli occhi.

"Credi che dovrei parlarle? Perchè era quello che volevo fare l'altro giorno e.." cominciai ma lei mi fermò.

"Lauren è la persona più orgogliosa che esista sulla faccia della terra. Ora come ora non c'è nulla che tu possa dirle che le faccia cambiare idea, ammesso anche che si fermi ad ascoltarti, devi darle tempo" disse cauta.

"E' delusa, spaventata e ferita dentro, la cosa migliore che tu possa fare ora è girarle alla larga per un po'" mi informò.

In quel preciso istante la campanella suonò annunciando l'inizio delle lezioni.

"Devo andare ora" si limitò a dire senza cambiare la sua espressione seria.

"Le parlerai? Le spiegherai le mie ragioni?" chiesi speranzosa.

"Lo farò ma se pensi che possa cambiare le cose ti sbagli" disse dandomi le spalle prima di uscire lasciandomi sola con i miei pensieri.

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