Cinque

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"So che non ti fidi di nessuno ma non puoi mai, mai, pensare di essere solo. Tu pensa, ok, io sono qui e non mi sento, ma pensa, ok, se mi chiami parto e ti raggiungo"

Carioca- Izi

Diego

-che hai combinato ieri sera? Mi hanno riferito che una tipa ti voleva menare.- disse ridendo Mario, alzai lo sguardo al soffitto -effettivamente è vero...- riconobbi -era veramente assurda ti giuro, nel senso ok era incazzata, ma volevo solamente che si calmasse.- dissi -e per quale motivo, manco sapevi chi fosse.- rispose Mario abbastanza confuso -qualcosa mi diceva di avvicinarmi e basta, così ho fatto.- alzai le spalle -ma quella ragazza aveva qualcosa di davvero...non lo so...simile a lei...- dissi 

Mario rimase in silenzio, quasi come se a pronunciare il suo nome fosse qualcosa di vietato, anzi effettivamente lo era, non pronunciavo il suo nome ormai da quando aveva smesso di respirare, il movitivo lo conoscevo, ma non volevo accettarlo, mi sentivo in colpa e al solo nome ogni volta tornavano a galla ogni ricordo. Le risate, le belle parole, i litigi, le mille volte in cui abbiamo pensato che ormai per entrambi non ci sarebbe stato più niente da fare, le volte in cui finivamo per fare pace, che era una cosa momentanea, la sua idea di voler fare qualcosa per quella famiglia che alla fine la odiava davvero era inutile, il voler cercare di recuperare i rapporti con una madre assente, con un padre menefreghista a stronzo mi mandavano in bestia, ma lei non lo comprendeva, pensava fosse giusto, alla fine erano i suoi genitori e qualsiasi cosa le avessero fatto poteva perdonarglielo. Ma la violenza, quella fisica e psicologica non la potevi perdonare, come si poteva perdonare una vita di maltrattamenti, di urla, di insulti. Non si poteva, eppure lei ci aveva pensato tante di quelle volte.

-penso che sia impossibile Die'.- disse Mario rimettendomi nel mondo reale e togliendomi dai ricordi che giorno dopo giorno mi stavano ammazzando, perché è questo quello che fanno i ricordi negativi, ti ammazzano e non puoi combatterli con i pensieri e i ricordi positivi, quelli sono soltanto ricordi di una vita che magari nemmeno ti appartenevano più, ricordi indistinti, pensandoci...perché si ricordano più quelli negativi che quelli positivi? Perché alle persone piaceva soffrire, chi di più e chi di meno, tutto soffriamo ma quelli che tendono a non farlo è per il semplice fatto che non vogliono. Ma le persone intelligenti intendo, quelle stupide non penso capirebbero, non dividono la cosa seria da quella non, e non posso sorprendermi se non riescono a comprendere quando una persona dovrebbe stare male davvero da quando dovrebbe solamente alzare le spalle e andare avanti. -io credo invece che sia possibile.- dissi -aveva lo stesso sguardo, quasi la stessa rabbia...ti giuro forse era l'alcool ma credo che una rabbia del genere non sia comune.- dissi, Mario continuò ad ascoltarmi -ho scoperto che è la nipote di Cosimo, vorrei sapere come è possibile.- dissi -la madre è la sorella...- disse -la conosci?- chiesi -mh, sì.- disse quasi come se volesse evitare quell'argomento -e allora...?- dissi cercando di far andare avanti il discorso -senti, parlane con Cosimo, lui può dirti tutto...ma sta attento a quella ragazza.- disse alzandosi e andando verso il balcone -per quale motivo?- domandai -per quanto tu possa trovare qualcosa di simile in lei, non è lei, ricordalo.- disse -nessuno potrà mai assomigliarle.- risposi -vero, verissimo, ma lei non ha nulla a che vedere...- disse -dimmi allora cosa dovrei aspettarmi.- dissi 

-chiedilo a lei, visto che ti interessa così tanto.- disse uscendo poi sul balcone. Perché mi stava dicendo una cosa del genere? Cosa aveva quella ragazza di così particolare da dover stare attenti? Non capivo, eppure quella rabbia che riuscivo a vedere nei suoi occhi soprattutto dopo aver visto lo zio, mi è rimasta impressa, la rabbia con cui pronunciava le parole era la prima volta che la sentivo, e questa cosa mi sorprendeva, da dove proveniva tutto quel risentimento? 

Lei e questa ragazza avevano delle cose in comune, ma sono sicura che non sono né la stessa persona e nemmeno qualche filo di parentela. E' una di quelle classiche sosia che esistono al mondo, sì, una di quelle e maledettamente uguale. Dovrei smetterla, decisamente, trovare qualcos'altro a cui pensare eppure i continui rumori degli spari continuavano a rimbombare nella mia testa, le urla di dolore, il dolore che era ormai diventato insopportabile. Non riuscivo più a vivere in quella maniera ma ormai mi ero rassegnato, dovevo conviverci e farmene una ragione, per quanto mi fosse possibile. Ma qualcosa continuava a ripetermi che no, non era stata colpa mia, non avrei mai potuto fare una cosa del genere, ma era stato qualcun altro, eppure era tutto così palese, il ricordo era stampato nitido nella mia mente. Forse è per questo che non voglio rendermene conto, perché dovrei fare i conti con la mia coscienza, chissà quante volte mi avrebbe morso la mano. Chissà quante cose ho su questa coscienza ma che continuo a ignorare, perché oltre a guardare in faccia alla realtà, ho dovuto fare del male a discapito di tutti, pure delle persone a cui volevo bene. 

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