Nove

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-ehi ma che ci fai qua?- domandò qualcuno ormai alle mie spalle, mi fermai, e quasi mi parve di aver corso per giorni, mi sembrava di aver compiuto una fatica enorme. Ma qualcosa in quel momento mi continuava a ripetere di correre il più lontano possibile da Giaime, da mia madre e a mio nonno. Mi girai lentamente quasi preoccupata dalla persona che mi ha fermato, i miei occhi incrociarono quelli di Diego e quasi mi risollevai, lasciai andare l'aria che avevo trattenuto per via della tensione e mi avvicinai a lui -mi spieghi perché stai correndo così tanto?- domandò -da cosa scappi?- chiese -veramente vorrei scappare dalla mia vita, ma a quanto pare non è possibile.- risposi alzando alle spalle -capisco...- rispose -e tu?- domandai -che ci fai qua?-chiesi a mia volta -niente di particolare, andavo in un posto...- disse vago il che mi sorprese abbastanza, una risposta così vaga era molto strana, soprattutto da parte di un tipo come lui, ma poi realizzai che non dovrebbe interessarmi così tanto, infondo non ho nulla a che vedere con questa persona---, semplicemente. -dovresti tornare indietro...- disse -non è una belle giornata per corre in giro.- continuò -meglio sotto la pioggia che con certa gente.- dissi alzando lo sguardo al cielo grigio -capisco...- disse infilando le mani nelle tasche dei jeans -ti andrebbe di salire da me? Almeno ti fermi un attimo, poi con calma, quando vorrai torni a casa.- disse, ci pensai un'attimo, perché dovrei accettare? Chi mi dice che alla fine non era una scusa per riportarmi da Giaime? Scossi la testa no, grazie.- dissi -preferisco stare da sola.- dissi poi allontanandomi -come vuoi, ma sappi che se desideri qualcosa, abito in quel palazzo davanti a te, al settimo piano.- disse annuì e me ne andai, continuando, questa volta, a camminare più lentamente tranquillamente.

Non sapevo più che pensare su Gimmi, gli ero grata infondo per avermi ospitato e avermi fatto da casa quando nessuno me ne avrebbe data una, quando le persone che mi volevano aiutare erano magicamente scomparse, quando ho mandato tutto a puttane per l'ennesima volta, mentre vedevo per l'ennesima volta un equilibrio distruggersi, non sopportavo quel clima, non sopportavo più le urla e i continui in faccia che dovevo subire e sentire, ero stanca di quella casa di cui non mi mancherà nulla, perché non c'era nulla di bello in quella casa, forse per un periodo. E adesso la storia si ripete, volevo solamente stare tranquilla, perché continua la sua costante ricerca di fermarmi, di rompere quella calma che con tanta pazienza, per quella che posso avere, sto cercando di crearmi, non potevo accettarlo, mi stava costando caro tutto e non potevo permettere che una persona qualunque venisse a rovinare tutto.

Mi era costata cara la vita, o per quello che si potesse chiamare, era inutile pensare che stessi vivendo, perché il risultato finale è sempre lo stesso, cerco sempre di sopravvivere. Nessuno ha idea di che immagini mi passano nella menta nessuno ha idea delle immagini nel cervello che non riesco a cancellare l'odio negli occhi di mio padre mentre si scagliava contro mia madre, nessuno poteva capire davvero come ci si sente, a essere una bambina e non avere il controllo della situazione quando ti sei ripetuta più e più volte che quella situazione non sarebbe dovuta più ricapitare che quella cosa non la dovevi più vedere, che la rabbia che aumentava nel petto assieme all'odio non era una mi impressione ma la concreta realtà, che io ero davvero così piena di odio che ho finito per odiare me stessa e coloro che mi stanno attorno, forse non tutti, ma dico forse. Ma alla fine è inutile spiegare queste cose, è inutile cercare di parlare a qualcuno di qualcosa che ti attanaglia l'anima, lo stomaco e il petto se a quella persona nemmeno interessa è inutile, è tutto fottutamente inutile. Anche il solo pensiero di aprirti con una persona, a che serve se l'altra in realtà non può capirti fino infondo, c'è bisogno di una persona qualsiasi, che ha vissuto quasi le tue stesse cose, perché solo fra " simili" ci si può intendere, il resto delle persone pensa di farlo, sminuisce tutto, sminuisce le immagini che cerchio di rendergli chiaro, le parole che ricordi perfettamente che ti entrano in testa e che in ogni secondo sbattono da una parte all'altra, la frustrazione nel capire che gli unici sentimenti che tocchi sempre con tatto e che conosci bene non sono altro che sentimenti negativi, non conosco la felicità, nemmeno so se ha una forma, un discorso, non so niente di lei, non lo sono mai stata, e per come vanno le cose non lo sarò mai, sono sola completamente sola.

Mi fermai davanti a un piccolo negozietto ormai chiuso, era scesa la notte e non avevo la più pallida idea di dove mi trovassi, non sapevo dove andare e nemmeno come tornare a casa. Il mio pensiero si rivolse a Diego che qualche ora prima si era offerto di ospitarmi a casa sua. Estrassi il cellulare dalla tasca e cercai di capire la zona, se fosse davvero così lontana dal punto in cui mi trovavo. Ricominciai a camminare, dopo qualche strada sbagliata e imprecazione nei confronti del cielo riuscì a ritrovare il punto di questa mattina, fissai il palazzo avvolto dall'oscurità e mi avvicinai al citofono, premetti sul nome di Diego e attesi risposta -chi é?- chiese una voce profonda che riconobbi sua -sono io, Lethe.- dissi -è ancora disponibile la proposta?- domandò, il portoncino davanti a me si aprì -avanti, sali, ti aspetto.- disse per poi chiudere. Sorrisi ed entrai.


Mi scuso per eventuali errori

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