Capitolo 15

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Da quando Marta e Aurora si erano trasferite a Madrid, Emilia e io scrivemmo loro molte lettere, io quando il lavoro all'Hotel Ritz me lo consentiva, lei nei pochi momenti liberi dagli impegni di società.
Loro ci raccontavano dell'Europa, della moda che cambiava, dei movimenti letterari e artistici, delle bellezze della capitale spagnola; ricordo una lettera di Marta in cui lei descriveva il luogo in cui era sorto il primo albergo dei Martinez del ramo europeo:

Madrid, 28 aprile 1963

Care Emilia e Luna,
vi scrivo questa lettera perché finalmente sto ritrovando un po' di tempo per me dopo aver pensato a Julia: quella bambina ha addirittura più personalità di me, lo dice sempre Aurora. Secondo me è in procinto di desiderare un figlio da Sergio, ma per ora lo maschera bene, visto che si è messa a studiare per l'Esame di Stato da privatista: sostiene di volersi laureare in Economia e Commercio; forse vuole mettere le mani in pasta negli affari di famiglia, senza per forza essere una mantenuta: non diteglielo mai ma un po' l'ammiro, vorrei avere la metà della sua grinta.
Dal canto mio, sto sviluppando interessi più storico-artistici che economici; spesso passeggio, da sola o con Julia, per le strade di questa città così antica, ma che proprio per questo ha conosciuto grandi cambiamenti.
Al centro di Madrid, appena prima del centro storico - quello delle corride, dei grandi discorsi e delle decisioni epocali - c'è un centro meno antico, più recente, di epoca pre-franchista e che non pretende di far passare la storia per le sue strade: è qui che nel 1927 l'ultimogenito di Aurelio e Benedicta Martinez, Don Tito, pose la prima pietra di un sogno che avrebbe decretato la fortuna in patria che suo padre aveva cercato oltreoceano. Un cerchio che si chiude, niente di più affascinante.
La storia di famiglia e della città sono la mia unica consolazione, accanto ad un uomo per cui l'amore è finito ancora prima di cominciare: tuttavia quel che è fatto è fatto; sarò la perfetta madre dei suoi figli, oggi e in futuro, finché morte non ci separi.
Spero che le vostre vite coniugali e sentimentali procedano meglio della mia. Detto questo, vi saluto.
Sperando presto di ricevere una vostra risposta, a presto. Sempre vostra,

                                              Marta.

Alla fine di quella missiva Emilia e io ci guardammo negli occhi: essere diventata una signora non mascherava la sua infelicità, né il suo cuore rimasto dall'altra parte dell'Atlantico.

                                     ***

Aurora conseguì l'Esame di Stato da privatista il primo maggio, e questo aumentò la sua soddisfazione: era stata una lavoratrice - prima cameriera, poi receptionist - figlia a sua volta di lavoratori, era diventata una Martinez e adesso prendeva il diploma di Ragioneria per poter accedere, a partire da settembre, alla facoltà di Economia e Commercio; certo, aveva dovuto giurare alla contessa sua suocera che presto avrebbe generato un erede per ottenere il permesso, ma siccome la conoscevo bene, ero sicura che l'avrebbe spuntata.
Ovviamente si diplomò con il massimo dei voti, e quando agosto cominciò a volgere al suo termine, con l'aiuto del marito preparò tutti i documenti necessari per l'iscrizione alla Universidad Complutense de Madrid, immaginando già un elenco di trenta e lode e nuove affascinanti conoscenze che prima le erano ignote.
Mancava poco all'inizio delle lezioni, quando Aurora ebbe uno svenimento e la contessa De Los Santos, piena di speranza per la causa di tale malore, chiamò il medico di famiglia, il dottor Jordan Vega, il quale la visitò e non ebbe dubbi sul responso: la mia amica aspettava un figlio.
Con la promessa di non sforzarsi troppo, cominciò a frequentare le lezioni, studiando le prime tre materie con la prospettiva di ritrovarsi a conseguirli nella sessione invernale, più in là con la gravidanza, tra le voglie e i capogiri.
Ma non aveva paura di questo: era una superdonna, molto più di tutte noi.

                                       ***

Qualche mese dopo fu Emilia a scrivere una lettera a Marta e Aurora, confidando loro ciò che aveva fino ad allora confidato solo a me, qualcosa che non poteva andare ad orecchie altrui visto che dei Martinez era proibito parlare male, partendo dal fatto che le mie amiche dovessero essere grate per essere diventate le loro mogli:

Santo Domingo, 30 agosto 1963

Care Marta e Aurora,
sono contenta di sapere che state bene, che presto allargherete ulteriormente la famiglia Martinez e che abbiate trovato delle passioni da coltivare.
Di sicuro avrete dei rapporti familiari molto più sereni dei miei: mia suocera Ines mi odia, dice che sono un'arrampicatrice sociale figlia di un'arpia arrivista e che la mia unione con Mauricio è il frutto di un ricatto. Io provo ad andare d'accordo con lei, ma nemmeno l'arrivo di un figlio sembra averla ammorbidita. E la cosa peggiore è che Mauricio non ha mai alzato un dito per difendermi; credevo che, sposandolo, avrei realizzato il sogno della mia vita, non vedevo l'ora di passare la mia prima notte di nozze con lui. E invece prima di andare in albergo era talmente ubriaco che l'ho dovuto recuperare da sotto il tavolo; il peggio però è avvenuto in camera da letto: aspettavo soltanto che mi facesse sua, credevo che sarebbe stato meraviglioso, e invece non avevo neanche fatto in tempo a spogliarmi del tutto che mi ha scagliata sul letto, mi è montato sopra e mi è entrato dentro frettolosamente, senza preoccuparsi di farmi male; non c'era amore nel suo gesto, nessuna poesia, era come se stesse lì a soddisfare un istinto, una necessità. Pensavo che fare l'amore fosse splendido, ma mi sono sentita solamente una scatola di carne contenente un vermicello indemoniato.
Il giorno successivo ha promesso di andarci più piano, e la notte dopo è stato gentile e delicato: è stato allora che sono rimasta incinta, ma se esiste quel detto per cui sotto l'effetto dell'alcol si vede la vera natura delle persone, quella di Mauricio è animalesca e violenta. Non voglio che mi tocchi più, se non per concepire un altro figlio.
Sperando di avere ben più liete notizie da voi, vi saluto e vi abbraccio. Sempre vostra,

                                                 Emilia.

                                     ***

La giovane Fernandez e l'erede dei Martinez del ramo americano ebbero il loro primo figlio il 15 settembre del 1963, esattamente un anno dopo il matrimonio di Marta ed Eugenio: il bambino era bello e forte, pesava tre chili e mezzo e, nel vederlo, la neo-nonna Juana ne decantò la salute di ferro davanti alla consuocera.
<< Ha visto quanto è bello nostro nipote, signora Ines? Sano, robusto, dal sangue forte come solo noi Fernandez sappiamo avere! >> esclamò soddisfatta, ribadendo il fatto che i giovani Martinez, quando vennero al mondo, erano nati tutti intorno ai due chili, massimo tre, figli di una scrocchiazeppi, e il cui unico sforzo era stato quello di nascere.
La vedova Martinez incassò il colpo, pensando che si sarebbe rifatta sulla neo-mamma, ribadendole ancora una volta la sua inadeguatezza e adesso anche quella del piccolo Damian.
Aspettò che la nuora fosse rimasta da sola nella stanza per allattare il bambino.
<< Complimenti, eh >> esordì, entrando e mettendosi a braccia conserte.
<< Grazie, signora Ines. Ha visto quanto è bello? >> rispose sorridente Emilia, ignara di ciò che passava per la testa della suocera.
<< Eh sì. Bellissimo proprio. Ha un faccino d'angelo, proprio come il tuo. Un faccino d'angelo e un'anima da diavolo >> replicò velenosa Ines.
<< Perché ci odia, signora Ines? Che cosa le abbiamo fatto? >> ribatté la Fernandez, indignata da quelle parole pronunciate dalla Martinez con talmente tanta cattiveria davanti a una cosa meravigliosa come la nascita di una nuova vita.
<< Ho cercato di contenermi con te, ma se proprio vuoi saperlo, non sopporto te né la tua famiglia perché siete gli esponenti di un mondo umile ma emergente che calcolava questo momento dalla fine della dittatura, e che per farlo non esita a sgomitare e a usare mezzucci, come ha fatto tua madre comprando le quote della società sottoponendomi ad un vile ricatto! Io lo volevo un nipote, con tutte le mie forze, ma lo volevo da una ragazza dello stesso rango di mio figlio come Liliana Marquez, e invece mi sono ritrovata questo piccolo bastardo, che non sarà nemmeno l'ultimo... Quindi sappi che non riuscirò mai, mai ad accettarvi, nemmeno sul letto di morte! >> decretò la donna con una voce carica di disprezzo, come di chi ha accumulato tanti affronti e sente la necessità di riversarli contro chi è più debole e non può difendersi.
Perché era così che si sentiva Emilia, alla luce di quella conversazione: debole e incapace di decidere tutto, specialmente il suo futuro in completa autonomia.

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