Capitolo 8

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Le parole spiazzanti di Julian e il fatto che dovessi nasconderle a Marta mi martellarono la mente per qualche giorno, fino a quando non me ne dimenticai naturalmente: quell'estate era troppo bella, spensierata e idilliaca per avere pensieri negativi.
Tra i giochi in giardino e i momenti passati a parlare di tutto - politica, letteratura, economia e arte - le ore passavano liete e non c'era spazio per la cupezza, ma solo per la libertà e l'amore nel senso più romantico del termine; nessuna coppia si era ancora formata, ma a due a due, ragazze e ragazzi lasciavano intendere agli altri senza dare loro alcuna certezza, in un gioco di "trapelo e non trapelo" che poi era il senso di questi sentimenti durante l'adolescenza: Marta ed Eugenio, Emilia e Mauricio, Aurora e Valentin.
Le madri osservavano soddisfatte queste scenette da romanzo d'appendice a cielo aperto: si auguravano che le figlie avessero seminato così tanto da poter, un giorno, raccogliere i frutti di tale semina.

***

Ma in mezzo a tutta quella felicità, sentivo che qualcosa stesse succedendo, qualcosa che non c'entrava niente con tutto il resto, e che probabilmente avrebbe rovinato quel quadretto.
I dubbi mi vennero osservando - dal mio angolo, sempre dal mio angolo - lo strano comportamento che i signori Eduardo e Ines avevano cominciato ad assumere da quando Eugenio era arrivato alla villa: il capofamiglia era perennemente nervoso e agitato, e passava un sacco di tempo nel suo studio a fare telefonate, non di rado alzando la voce; sua moglie invece passava molto tempo a confabulare con Daniela Marquez, la madre di Liliana, ma al contrario di come ci sembrava qualche mese fa, era Ines che premeva la sua ospite per un matrimonio imminente tra i loro due figli.
E poi Eugenio.
Proprio lui, proprio lì, proprio in un periodo dell'anno in cui i parenti alla larga non mettevano piede alla villa.
La sua presenza a Santo Domingo era stata l'inizio di quelle strane, troppe stranezze che attanagliavano i coniugi Martinez; da quando era arrivato nemmeno una volta si erano allontanati da casa: non un viaggio all'estero, una gita nelle isole di fronte ad Hispaniola, nemmeno un giro in barca a vela. Niente. Era come se il suo arrivo avesse catalizzato l'attenzione di tutti, dipendenti e padroni, e io morivo di voglia di capire, ma non avevo il coraggio di chiedere perché.

***

Cominciai seriamente a pensare che fosse l'aria tesa tra gli Stati Uniti e Cuba ad impensierirli: anche quest'ultima era uscita da una dittatura, esattamente come la Repubblica Dominicana, ma almeno noi ci stavamo guadagnando la libertà senza andare a discutere con nessuno; forse i signori Martinez pensavano che l'eventuale prossimo gesto di Fidel Castro - capo di un gruppo di militanti di sinistra che aveva preso il potere a Cuba a partire dal gennaio di quell'anno - potesse avere un'eco in tutte le isole dell'arcipelago caraibico, e che perciò pensarono che nell'ora più buia tutta la famiglia dovesse rimanere unita, anche il ramo che viveva oltreoceano.
Seguendo un filo logico diverso, ne stavano parlando anche Marta ed Eugenio, in un pomeriggio assolato di fine luglio; erano distesi sull'erba, sopra una coperta di lino azzurro, e leggevano un quotidiano, dove in prima pagina campeggiava un articolo che parlava appunto di Cuba.
<< Questi sono pazzi, non si sono fermati neanche davanti all'embargo... Va a finire che faranno scoppiare la terza guerra mondiale... >> commentò Martinez.
<< Anche se volessero, come potrebbero? Gli Stati Uniti sono il paese più potente del mondo, e i nostri cari vicini cubani sono solo quattro montati, a confronto... >> obiettò la Montenegro.
<< Dimentichi però che Castro e Guevara sono comunisti, e così tutti quelli che stanno con loro. Li porta in palmo l'Unione Sovietica, ecco perché non hanno nessuna paura degli Stati Uniti... >> le ricordò lui.
<< Ah, ma che palle però! Avessi io la fortuna di abitare a New York... Adesso loro fanno tanto i preziosi, ma i miei se lo ricordano, quando L'Avana campava di alberghi e casinò! >> esclamò lei, che non aveva mai sopportato la gente che sputasse nel piatto da dove mangiava, anche se quel piatto era costato un prezzo altissimo.
<< Se ti sentisse Castro ti fucilerebbe qui ed ora, traditrice del popolo proletario! >> la prese in giro l'uno, fingendo di essere minatorio e abbracciandola da dietro.
Risero insieme e si buttarono all'indietro.
<< Come mai così comunista, signorino Eugenio? Sei troppo europeo per certe opinioni... >> lo derise a sua volta l'altra.
<< Comunque da me c'è pur sempre una dittatura, quella di Francisco Franco... >> replicò Eugenio.
<< Eh beh, lo sai come funzionano queste dittature... Si abbattono e finalmente si diventa liberi... >> ribatté Marta, avvicinandosi maliziosamente a lui.
Non so cosa le passasse per la testa in quel momento, ma la sua bocca puntava a quella del ragazzo, che non si ritrasse, anzi si mise anche lui sulla strada che conduceva a lei; Marta non aveva mai baciato un uomo prima di allora, Eugenio si comportava come uno che invece aveva una certa esperienza, ma entrambi sembravano trovarsi sulla stessa lunghezza d'onda.
Sentendosi incentivato, Martinez si sbottonò la camicia, e davanti alla Montenegro comparve un vigoroso petto che subito le fece ribollire il sangue nelle vene. Per cui si sentì in dovere, in un piacevolissimo dovere di cominciare a sbottonarsi la veste anche lei, lasciando intravedere i suoi seni e sperando di fare lo stesso effetto che lui faceva a lei. Ci riuscì. Eugenio cominciò a baciarla sul collo, prima piano, poi con vigore crescente.
Le spalline del vestito di Marta caddero, mentre Eugenio cominciava a slacciarsi i pantaloni e a calarli.
Nemmeno la Montenegro perse tempo, e alzò la gonna per facilitargli il lavoro: rideva già all'idea dello scandalo che sarebbe derivato se qualcuno li avesse visti, ma non le importava. Mentre si perdeva in queste congetture, anche gli indumenti intimi di entrambi erano stati calati. Eugenio fu sopra di lei, cominciò ad andare su e giù. Marta si chiedeva se, una volta persa la verginità, sarebbe stato più forte il dolore o il piacere.
In quel momento Aurora stava cercando Valentin, sicura che stesse in giardino, ma quello che sentì furono solo dei gemiti ritmati: andò a vedere quale ne fosse la fonte, e ciò che si ritrovò davanti fu troppo per la sua mente di fanciulla sveglia, ma non abbastanza da sopportare scene così esplicite. Ai suoi occhi era una violenza bella e buona: il suo grido lacerò l'aria, attirando l'attenzione di tutti.

A passo di bachata Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora