Capitolo 1

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Santo Domingo, 15 giugno 1961

La morte di Rafael Leonidas Trujllo era stata lo spartiacque delle nostre esistenze: avevamo tutte e quattro sedici anni, all'epoca, ma la sua dittatura era stata l'unica forma di governo che avevamo conosciuto, fin da quando eravamo nate; le nostre famiglie invece un'altra Repubblica Dominicana l'avevano conosciuta, quella dell'occupazione statunitense, iniziata nel 1916 e finita nel 1924: sebbene Trujllo ce lo avessero piazzato gli Stati Uniti, i nostri genitori non facevano altro che rimpiangere la dominazione di fatto della prima potenza mondiale,  travestita da indipendenza: perché c'era benessere, mobilità sociale, libertà d'espressione.
Perciò in quelle prime due settimane, in cui era stato anche sventato un colpo di stato da parte di Joaquin Balaguer Ricardo, il braccio destro di Trujllo, le generazioni precedenti alla nostra e a quella dei nostri fratelli e sorelle avevano accolto quella rinnovata liberalità come una festa, mentre noi non capivamo bene fino in fondo la loro gioia, quasi che il regime totalitario fosse qualcosa di normale, che esisteva dall'inizio dei tempi.

                                      ***

Ma quel 15 giugno non era un giorno come un altro: era il ventunesimo compleanno di Mauricio, il primogenito di Eduardo e Ines Martinez, i padroni della villa dove lavoravano le nostre famiglie e dove abitavamo anche noi, negli alloggi del personale di servizio.
Il principe azzurro, come lo definiva Emilia: era innamorata di lui da quando erano piccoli, anche se sapeva che molto probabilmente non sarebbe mai stata degna di ambire ad uno come lui; gli antenati di suo padre Eduardo avevano accumulato una gran fortuna emigrando dalla Spagna, lavorando giorno e notte per lasciarsi alle spalle la vita grama che conduceva in Europa e cambiando il suo destino grazie alle sue capacità; Eduardo si era sposato poi con Ines Pinto, una giovane di origini popolari delle quali non parlava mai volentieri.
Avevano avuto tre figli - Mauricio, Valentin e Gloria - e ognuno di loro aveva festeggiato i compleanni sempre in grande stile, compleanni che noi abbiamo sempre spiato da dietro le porte: eravamo cresciuti tutti insieme, i giovani Martinez con noi figli dei dipendenti, ma nelle occasioni pubbliche dovevamo rimanere fuori, come se la nostra presenza fosse disdicevole davanti ai loro illustri ospiti.
Quell'anno però era diverso: il compimento della maggiore età dell'erede dell'impero Martinez era un evento talmente importante che la signora Ines aveva deciso di invitare anche noi.
Non appena la notizia era arrivata la notizia alle orecchie delle nostre madri, queste ultime avevano intravisto, tra le parole di quell'invito, la tanto agognata rivalsa sociale che intendevano ottenere attraverso di noi.
La signora Beatriz Montenegro, la madre di Marta, impartiva ordini al resto della servitù di casa Martinez: era governante presso la famiglia da più di vent'anni e con lei gli affari domestici erano sempre filati dritti e senza errori; per questo la signora Ines si era affidata a lei per i preparativi di quella che non era solo una festa, ma l'entrata formale di Mauricio nel mondo degli adulti.
La cuoca Juana Fernandez, la madre di Emilia, si stava dando da fare in cucina, dando istruzioni alla mia e ad altre cameriere per il rifornimento di cibo per il menù della serata.
<< Mi raccomando, per i frutti di mare andate dal pescivendolo Torres, non dai pescatori col carretto... Chi ve lo assicura che sia appena pescato e non di qualche giorno, o peggio di una settimana? >> sottolineava, assicurandosi che tutto andasse per il verso giusto.
<< Manuela! Ma dove sono le ragazze? >> chiese poi a mia madre, di professione capocameriera della villa.
<< A fare le prove per la serata, probabilmente. Da quando sono state invitate non fanno altro che prepararsi. Tua figlia e Aurora, poi, in modo particolare: la povera Diana non fa che stare appresso alle loro richieste dall'inizio del mese... >> sospirò mia madre. La guardarobiera Diana Ozores, coniugata Navarro, aveva insegnato ai suoi figli Aurora, Silvia e Antonio che la condizione servile in cui vivevano non era un destino ineluttabile, ma semplicemente un gradino su cui piantare bene i piedi per salire più su nella scala sociale.
Questo suo insegnamento non era stato diverso da quello impartito a me, a Marta e ad Emilia, solo che quest'ultima e Aurora ne avevano fatto una filosofia di vita, e che la festa di quella sera sarebbe stata l'inizio del loro ingresso in un mondo che fino ad ora avevamo solo visto e sognato.
<< Quelle perdigiorno, proprio stamattina si dovevano defilare... >> si lamentò Juana. << Rico! >> fece poi, chiamando il fratello maggiore di Marta, che stava passando in quel momento con la cassetta degli attrezzi per montare il gazebo in giardino.
<< Sì, signora Fernandez? >> rispose il giovane, sentendosi chiamato in causa. Rico Montenegro aveva vent'anni ed era bello: aveva gli stessi occhi e capelli scuri di sua sorella minore; io lo avevo sempre amato in segreto fin da quando eravamo piccoli, ma non avevo mai avuto il coraggio di confessargli i miei sentimenti.
<< Vai a chiamare le ragazze e di' loro di passare al mercato per prendere la frutta e la verdura che ho segnato su questa lista della spesa >> comandò la madre di Emilia, mettendo nelle mani del ragazzo un pezzo di carta con su scritto quello che ancora mancava.
<< Subito, signora >> ubbidì Rico, correndo verso gli appartamenti della servitù, sul retro della villa.

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