Vomito Nero

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Fu un processo lento, quello che portò Dylan al declino.

Lucinda era cambiata, lo stava allontanando, senza apparente ragione.

Era diventata distante, scostante e sembrava irritata ogni volta che si sentivano, sempre meno nell'ultimo periodo. 

Dylan, come era ormai consuetudine per loro fare, un giorno decise di sistemare le cose una volta per tutte sperando di poter far tornare tutto come prima. 

Cercando di farsi forza, pensando che un rapporto profondo e intaccabile come il loro non potesse spezzarsi mai, si sedette dai gradoni del liceo che per mesi era ormai diventato punto di ritrovo per loro dopo le giornate di scuola, pensando bene a cosa dirle, con il cuore che rimbalzava nel suo torace scosso dalle palpitazioni. 

Udì la campanella suonare, segno che una torma di adolescenti sarebbe uscita di lì a poco, compresa la sua Luce. 

Quando la vide le andò incontro, ma ad accoglierlo, al posto del suo solito sorriso smagliante o abbracci e baci e salti di entusiasmo si trovò una schermata di totale indifferenza e fastidio. 

La ragazza si scostò infastidita dalle amiche;

" Aspettate un attimo, arrivo subito." disse loro. 

"Lu, ho bisogno di parlare.. Io e te dobbiamo parlare e" le si avvicinó agitato il ragazzo, ma prima che potesse finire la frase Lucinda lo interruppe con tono apatico e convinto. 

"Non devi più presentarti qui Dylan. 

Non farti più vedere qui. Non voglio che ci vedano più insieme.. Non cercarmi più, ok?" fece per poi allontanarsi. 

"No.. No..ma..ma che significa?!" si domandò spaventato tra sé Dylan quasi perdendo di vista la ragazza che ormai si era allontanata. 

"Lucinda!! Cosa significa?! Aspetta!!" Cercó di raggiungerla, ormai terrorizzato. 

Cosa stava succedendo? Perché lei si stava allontanando in quel modo? 

Non riusciva a riconoscerla. Non era la sua Lu, così dolce e felice di vederlo. 

La Lu che lo avvolgeva in un abbraccio e in baci di vaniglia. 

La Lu che non lo avvrebbe lasciato mai. 

No. 

"Lucinda!!" urlò correndole dietro. 

Lei non si voltò, camminando a passo spedito, sparendo dalla sua vista. 

Lasciandolo solo con se stesso e la sua incredulità. 

Il dolore, la delusione, la rabbia e l'impotenza si fecero largo dentro il suo essere. 

Lacrime bollenti iniziarono a cascare a fiotti dai suoi occhi smeraldo. 

                                 *

Passarono altre settimane in cui Dylan non si era dato per vinto, e aveva tentato in ogni modo di riavvicinarsi a lei, invano. 

Le aveva mandato messaggi, lettere lasciate a compagni di classe da recapitarle in classe. 

Ma non ottenne risposta fino ad una sera, quando inaspettatamente, mentre Dylan scriveva irrequieto alla sua scrivania note sul suo stato d'animo e poesie, ricevette un messaggio che trilló dal suo Blackberry. 

Lo aprì con mani tremanti. 

"Mi dispiace per come vanno le cose ma è così e basta. 

Iniziano a girare le voci nella mia scuola e la città è piccola. 

Non voglio avere attezioni indesiderate, non voglio le bullette delle classi vicine che mi prendono di mira. Pensano che stiamo insieme. Non voglio. Non voglio che la gente parli. 

Arriveranno presto le voci a mia madre. E lei impazzisce se pensa che stiamo insieme. 

È meglio così. Deve essere così. Non sentiamoci più per favore."- Lucinda

Dylan con la nausea per l'agitazione e il terrore che gli scorreva nelle viscere si andò ad accasciare per terra in un angolo piangendo, con le mani nei capelli. 

Cercó ancora, in un barlume di speranza, di ragionare con la ragazza. 

Con le dita nevrotiche sulla tastierina del cellulare, e la vista offuscata dalle lacrime, il cuore che minacciava di schizzargli fuori dalla gola, digitó il suo messaggio disperato. 

" Lu.. Che stai dicendo? Chissene frega?! Lasciali parlare. Lascia che la gente parli no? Siamo noi contro il mondo, ricordi? E poi che male ci sarebbe anche fosse? Perché ti importa così tanto della loro opinione?! 

Stai dando più importanza alla loro opinione che al nostro rapporto, ti rendi conto? 

Stai scegliendo di stare sotto ai giudizi e li lasci vincere, invece di essere te stessa, con me. 

Ti prego non farlo.. Tengo troppo a te, non posso, non voglio lasciarti andare. 

Mi stai uccidendo. " - Dy

La risposta tardò ad arrivare. Lui rannicchiato abbracciando se stesso, in quell' angolo così soffocante della sua camera. 

" Mi dispiace"- Lucinda. 

Gli cadde il telefono dalle mani tremanti, accasciandosi in ginocchio a terra, spurgò fuori tutto il suo dolore che per settimane aveva trattenuto in vista di una piccola speranza. 

Uscì fuori come vomito nero, raschiato via dai suoi polmoni così forte da lasciarlo svilito, senza forze. 

Urlò così forte per la disperazione che Ginevra, preoccupata entró nella sua stanza cupa e disordinata, trovandolo accasciato a terra, con le braccia conserte ad abbracciarsi in una morsa stretta, mentre urlava al pavimento, con tutta la sua afflizione. 

"Dylan! Oddio che succede? Dylan.." 

Lo abbracció forte, con affetto materno. 

Lo fece  accoccolare su di lei, accarezzandolo per consolarlo.

Rimasero così, uniti in un abbraccio come non avevano mai fatto. 

"Io.. Io non.. Non ce la faccio.. Non voglio.. Non… Vo glio" Dylan era scosso da singhiozzi e scatti per il pianto disperato e convulso. 

Si sentiva perso. Perso come non era mai stato. 

Sentì che una parte di lui era violentemente stata strappata via lasciandolo scoperto e vulnerabile. Sanguinante.

Si sentó sbagliato, impotente, immeritevole, colpevole. 

Era completamente perso, come un bambino solo in una zona buia. 

"Shh.. Va tutto bene, andrà tutto bene" 

Ginevra cercava di rassicurarlo, cullandolo tra le sue braccia. 

Entró di seguito la madre, con aria interrogativa. 

"Che sta succedendo?! Dylan che hai da urlare così?" chiese accusatoria e scocciata. 

Ginevra la guardó preoccupata, senza lasciare il fratello dal suo abbraccio. 

"Sta male.. Penso abbia litigato con Lucinda.." 

"Oh.. Mi spiace Dylan.. Ma non fare così dai, succede!" disse a disagio la madre, pensando di poter essere di aiuto, involontariamente sminuendo il suo dolore. 

Dylan, ancora percosso dai singhiozzi e dalle convulsioni dovute al dolore del suo strazio, con tutta la rabbia che lo permeava sbraitó con ferocia a sua madre. 

" Vattene viaaaaaaa!!! Fuoriii!!". 

La madre spazientita si chiuse la porta alle spalle lasciandosi dietro un impercettibile accusa sprezzante "Pazzo". 

Dylan non si era mai sentito più solo che in quel momento.


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