신뢰에 베팅

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So you gotta fire up, you gotta let go

You'll never be loved 'til you've made your own

You gotta face up, you gotta get yours

You never know the top 'til you get too low

-I'm so Sorry-

L'odore della strada era sempre piaciuto a Minho, fin da quando suo padre lo portava a vedere le corse prima della sua prematura morte. Aveva solo otto anni...
Il contatto con l'asfalto, il poter correre su quest'ultimo con sicurezza gli dava fiducia. Si sentiva vivo e felice, consapevole di quell'assurda ovvietà.
Sapeva smontare un motore già con i suoi undici anni, amava andare nell'officina degli zii del suo migliore amico, e vederli lavorare.
Si sforzava semplicemente di trovare un appiglio alla realtà da cui era stato rifiutato, e alla sua ancora giovanissima età era convinto di averlo trovato.
Lì, in quel pezzo di mondo così lontano da tutto e tutti, aveva trovato ciò che cercava: persone che, tentavano di sopravvivere e dare un senso alle proprie esistenze. Su un semplice asfalto desolato. Dove c'era Jinki, l'unica persona per la quale provasse quella cosa che gli umani chiamano "affetto". Quel sentimento con il quale si attaccava con tutte le sue forze.

Jinki era il suo amico, quella parte di sé a cui aveva confidato ogni suo segreto.

Di lui si era sempre fidato; in lui aveva totalmente riversato sé stesso nel tentativo di sfogare ciò che si teneva dentro, ed era il motivo per cui probabilmente non aveva dato di matto.
Con lui parlava e rideva. Con lui non poteva nemmeno litigare perché era impossibile e si sfogava solamente.
Sempre, ogni giorno. Attimi che si ripetevano all'infinito e di cui, continuamente, necessitava.
Come una droga. Come l'adrenalina nelle corse. L'odio per il suo patrigno, le lacrime di sua madre.
Sempre, ogni giorno.

-Sto bene, non devi avere per forza quell'espressione.-

E come ogni volta era sempre Jinki che curava le sue ferite. Era un bambino come lui, aveva tredici anni, ma aveva più fiducia in Jinki che in un qualsiasi adulto. Prendeva uno strofinaccio pulito e lo inumidiva sotto il getto d'acqua del lavello, poi lo appoggia con delicatezza sul viso tumefatto di Minho. Lo fa tutte le volte, con la finta tranquillità metodica della rassegnazione, sembra essere diventato un rito e lui lo lascia fare.

-Ti sei messo di nuovo in mezzo mentre provava a picchiare tua madre, vero? Minho, quell'uomo rischia di ucciderti.-

Lui sorrideva in quel modo che non doveva andare bene, perché sapeva di rischiare con le ecchimosi più o meno gravi che si ritrova e i tagli in viso, ma che sembrava tremendamente giusto con quello che subiva.

-O lo farò prima io, hyung.- e non lo diceva tanto per dire. Avrebbe tanto voluto farlo, era un desiderio del suo cuore che vedeva ogni singolo giorno soprusi e sofferenze.
Il maggiore si premurava solo di pulire le sue ferite e il suo sangue incrostato con la massima cura, nel bagno di casa sua.
-Mi fai davvero preoccupare...-

E poi si ritrovava a stare male e sentire un peso, perché Jinki stava male. Per lui.

-Non devi, lo sai. Ho la pellaccia dura, più dei tuoi omini nei videogames!-

-Non sono omini, Minho. Si chiamano Avatar.-

-Come dici tu.-

E poi gli sorrideva in quel modo dolce, sincero, e da vero fratello.

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