Nona notte

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Durante la guerra Malfoy era certo di non avere mai davvero dormito. Avere Lord Voldemort dentro casa aveva rischiato di renderlo paranoico, fino ad arrivare persino a temere di chiudere gli occhi. In quel periodo aveva imparato a ripetersi che tutto poteva accadere in qualsiasi istante, e per mesi era andato avanti soffrendo d'insonnia e angoscia. E nell'esatto istante in cui era venuto a sapere che Potter ce l'aveva fatta e che quel maniaco omicida se ne era andato per sempre, Draco aveva scelto di riposare, e di farlo lungamente, beandosi dell'idea che nessuno sarebbe stato mai più torturato nei propri sotterranei.

Quella, perciò, era stata la prima in bianco dopo due mesi di nottate assolutamente riposanti. Aveva fatto sesso con la Granger dopo esserle piombato dentro casa come un pazzo, dopo che gli aveva detto di non sentirsi troppo bene e dopo che si erano specificamente ripetuti più di una volta quanto assurdo, inadatto e malato fosse quel morboso desiderio al quale avevano ceduto in sogno.
Malfoy si ritrovò a sorridere prima ancora di rendersene conto. Perché avevano ceduto anche nella realtà.

Era stato strano rimanere con la ragazza anche in seguito, sdraiati sopra il suo letto soffice, con le coperte profumate d'agrumi. Non si erano detti molto comunque: dopo essersi rivelati quanto incredibile fosse stato quell'incontro per entrambi, avevano a lungo contemplato il soffitto, incerti su come due nemici si sarebbero dovuti comportare in una situazione del genere, fino a quando Draco non aveva deciso di puntellarsi sui gomiti, guardarla alcuni secondi e poi sospirare:
"Direi che sia ora che me ne vada. Non hai davvero bisogno di un medimago."
Lo aveva detto nel tentativo di ristabilire un'atmosfera più gestibile tra loro. Lei, fortunatamente, aveva riso:
"Già, direi di stare bene così." Si era sollevata a sedere anche lei e, nel farlo, aveva tenuto stretto al petto un lembo di coperta, così da non mostrargli il seno. Draco aveva allora desiderato stuzzicarla un altro poco, e dirle magari che coprirsi, a quel punto, era del tutto inutile. Gli sarebbe bastato abbassare le palpebre in un qualsiasi momento della propria vita per rivederla nuda sotto di lui.
Eppure era stato zitto. Alla Granger non sarebbe piaciuto, e per una volta si sentiva di non volere rovinare quel momento assolutamente incredibile che avevano condiviso.

"Ricorda l'ombrello." Aveva poi incalzato lei, allontanandolo dai propri pensieri.

Così se ne era tornato a casa, ma non aveva comunque più chiuso occhio.

Ora si trovava di fronte la Gazzetta del Profeta, accomodato al tavolo di una locanda come tante, intento a bersi un lungo, caldissimo e amarissimo caffè. Non era certo di cosa avrebbe dovuto pensare, ma per lo meno sapeva come doveva comportarsi: in maniera normale.
Se qualcuno stava giocando loro uno scherzo, allora non si sarebbe fatto cogliere impreparato e avrebbe mantenuto la propria aria di ragazzino impertinente estremamente convinto della propria superiorità. Doveva solo sperare che la Granger avrebbe fatto lo stesso, e non continuato a girovagare per negozietti da quattro soldi alla ricerca della magia che li avesse incastrati. Soprattutto dal momento che Draco iniziava a credere con sempre maggior fermezza che non potesse trattarsi di qualcosa di semplice. Deglutì.

Pensare alla riccia non gli faceva bene. Ogni volta che il suo nome faceva capolino nei propri pensieri, per quanto in maniera del tutto innocente, la sua mente la rievocava nuda, schiava della passione e in procinto di gridare in preda all'orgasmo.

Dio, come era stato appagante.

Bevve un sorso lungo di caffè nella speranza che l'amarezza gli facesse formicolare la lingua tanto da distrarlo, ma fu del tutto inutile. Lei era lì, con i suoi sospiri e il suo sguardo insicuro, che gli prometteva l'esperienza migliore della sua esistenza. Ed era stato così veramente.
Abbandonò la Gazzetta sulla superficie del tavolo al quale sedeva, per poi incrociare le braccia sul petto frustrato. Forse sarebbe stato in grado di apparire normale esternamente, ma dentro avvertiva un tumulto di emozioni indomabile.

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