Capitolo XVIII

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L'incontro con Paulina aveva destabilizzato Heath e a distanza di giorni doveva ancora capire se in negativo o in positivo.

Una parte di lui era felice di averle parlato, e scoperto che non lo incolpava per la morte del marito.

Ma in fondo della sua gratitudine non sapeva bene che farsene. Non poteva smettere di recriminarsi così, dall'oggi al domani, solo perché lei glielo consigliava.

Era molto più difficile. Lasciarsi indietro i demoni del passato e ricominciare, come se nulla fosse successo.

In più c'era anche la questione di Joyce che lo tormentava. Le aveva mentito, era andato al convento per indagare su di lei e aveva scoperto cose che forse sarebbe stato meglio tenere segrete.

Erano successe talmente tante cose in così poco tempo che si era perfino dimenticato del patto che aveva stretto con la sua infermiera prima di partire. E ormai non era più tanto sicuro di volersi liberare di lei.

Si ripeteva che era solo perché non sapeva tutta la verità, e desiderava conoscerla ad ogni costo. Ma in cuor suo sapeva bene che si stava affezionando a quella ragazza e, per quanto volesse scongiurare tale avvenimento, non poteva controllare i suoi sentimenti. 

E fu per questo che non appena riuscì ad avere notizie sulla figlia di Joyce, qualche giorno dopo essere stato nel convento, decise che era giunto il momento di dire tutta la verità alla donna.

Una parte di lui sperava di farla arrabbiare talmente tanto da convincerla ad andarsene di sua spontanea volontà, così da non doverlo fare lui.

Ed era convinto che sarebbe stato facile, rinfacciare tutti i suoi sbagli a Joyce, quasi divertente. Perché una parte di lui non aspettava altro che smascherarla. 

Eppure quando la vide per la colazione, esitò più di una volta, seduto dall'altro capo del lungo tavolo, mentre la osservava mangiare spensierata.

Sembrava non aver alcun problema, anzi, era perfino gioiosa e compiaciuta di sé. Forse perché era stata la prima ad aver notato gli effetti benefici che la chiacchierata con Paulina avevano sortito sul suo paziente.

«Che ne dite di goderci quest'ultimi giorni nella Capitale e fare qualche passeggiata in centro, sir Heath?», aveva affermato lei, distraendolo dai suoi pensieri, mentre imburrava una fetta di pane, con un sorriso così contagioso che lui fu costretto a distogliere lo sguardo.

Tentò di apparire burbero, come al solito, ma quella mattina gli riuscì meno del solito: «Cosa vi fa pensare che desideri passare del tempo con voi?».

Lei non si scompose, il tono di Heath non era stato affatto glaciale, anzi, un leggero guizzo di ilarità genuina aveva quasi accompagnato le sue parole, e lei si sentì ancora più incoraggiata.

«Oh, non saprei... dico solo che è una bella giornata, ma se non volete passarla con me, potete sempre uscire con i vostri due nuovi amici», alludendo ai de valletti che seguivano sempre Heath da quando erano giunti in città.

Quella poteva essere l'occasione giusta per raccontarle ciò che aveva fatto in quei giorni, eppure tacque. Si morse la lingua, si diede mentalmente dello stolto, e la schernì soltanto: «Vada pure per una passeggiata insieme a voi... tanto non sarete di compagnia ancora a lungo».

Joyce capì che si stava riferendo al loro patto, secondo il quale lei si sarebbe dovuta licenziare dopo il viaggio se lui glielo avesse chiesto. 

E così passarono la metà della giornata in giro per la città, in quella che per Heath fu in assoluto la più lunga passeggiata della sua vita. E non era neanche a cavallo.

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