Capitolo XIII

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Ogni tanto Joyce aveva bisogno di un po' di tranquillità, lontana dal suo lavoro e dal suo paziente. Per quanto fosse dedita al lavoro, anche lei sentiva la necessità di riposarsi.

E aveva trovato conforto nella piccola pergola all'aperto oltre la grande finestra della sua camera da letto. Un luogo appartato e accessibile solo a lei, dove poteva riflettere e riprendere le energie.

Certo, poteva essere vista dal patio oltre la cucina, ma né la cameriera, né la cuoca erano in casa ed Heath si era rintanato nella sua camera da letto, perciò di fatto era sola. 

Sola a godersi il cinguettio degli uccellini e il rumore delle fronde degli alberi che, mosse dal vento pomeridiano, sembrava quasi che le stessero sussurrando qualche segreto.

Era seduta a guardare il bosco, quando qualcuno bussò alla porta e interruppe il suo momento di silenzio e tranquillità. Un o' se ne dispiacque, e fu quasi sul punto di ignorare l'avventore oltre la porta, poi però si ricordò del suo lavoro e decise che era più opportuno rispondere.

La paura che potesse essere successo qualcosa al suo paziente, o che semplicemente avesse bisogno di lei, le fece gridare dal piccolo giardino: «Entrate pure», senza neanche sapere chi fosse. 

«Nel giardino», aggiunse dopo aver sentito il rumore della porta che si apriva e poi richiudeva e prima di potersi voltare per osservare dalla finestra il suo ospite, fu lui a raggiungerla fuori.

«Bella giornata?», chiese il capitano Sebastian Moore, sorridente e impeccabile nel vestiario come il suo solito. 

«Direi di sì, volete sedervi qui con me?», indicò la sedia affianco, sempre vuota e lui vi prese posto ben volentieri.

«Ma non siete qui per prendere il sole, vero capitano?».

Non voleva sembrare troppo impaziente ma aspettava notizie dall'uomo da almeno due settimane e non vedeva più l'ora. Però tentò comunque di darsi un contegno mentre lo fissava.

«Sì», disse soltanto il capitano, restando in silenzio per qualche istante e ricambiare lo sguardo incuriosito. 

Per qualche istante si chiese cosa stesse pensando il bello e perfetto capitano Moore. Magari aveva scoperto qualcosa d'importante ed era reticente a condividerlo con lei.

Oppure si stava chiedendo perché mai un'infermiera dovesse intromettersi così nella vita dei propri pazienti. 

Eppure dopo qualche attimo iniziò a parlare: «Ho scoperto chi è Paulina Simons», esordì come se fosse la cosa più importante che aveva da dire.

«E?», chiese lei, dopo qualche secondo di silenzio. Aveva avuto l'impressione che il capitano non volesse continuare, ma non sapeva se fosse solo per creare ancora più curiosità in lei oppure c'era dell'altro.

«E come avevo pensato, è la moglie di un sue commilitone», rispose con calma e con estrema lentezza, interrompendosi ancora una volta.

Si vedeva che era combattuto tra il rivelare tutto oppure tacere, per una questione di rispetto. E poteva anche comprenderlo.

«Non tenetemi sulle spine, capitano... raccontatemi tutto ciò che sapete, vi prego», usò un tono anche fin troppo supplichevole, senza farlo apposta, ma consapevole che un vero gentiluomo come Sebastian non avrebbe potuto rifiutare una richiesta da una donna.

Ed infatti lui si fece più vicino, forse per paura di essere sentito da qualcuno, e riprese: «John Simons era nella stessa squadra di Heath, suo coetaneo e sottoposto. Purtroppo è morto nello scontro che ha fatto perdere una gamba ad Heath e che gli ha fatto guadagnare una medaglia...».

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