Out of the woods

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"Derek, inspira" sollevando lo sguardo il piccolo riconobbe il volto della sorella maggiore.

Gentilmente Laura gli prese le mani, chiudendole nella stretta sicura delle sue, lievemente aromatizzate per via di quella crema alla lavanda che si applicava ogni notte, prima di coricarsi.

Derek inspirò con il naso, schiacciando quella lacrima che minacciava di rigargli il paffuto volto.

"Che cosa è accaduto?" gli domanda ora lei, inginocchiandosi nell'ardua impresa di catturare lo sguardo ferito del fratello minore.

"Lau-" la ragazza lo invitò a prendere un bel respiro prima di iniziare la sua confessione. "E-ero andato al parco per giocare ed avevo portato con me il pallone" un gemito spinse il labbro interiore del bambino a tremare al pari di una foglia sferzata dal vento.

"C'era un groppo di bambini della mia età. Ho pensato che sarebbe stata una buona idea domandare loro una partita in compagnia. Abbiamo iniziato a calciare il pallone, ma-" un sospiro gli fece sobbalzare il petto.

Laura gli porse un fazzolettino per soffiarsi il naso. "Ma?".

"Non l'ho fatto apposta, ho calciato il pallone con troppa forza. Sono abituato a fare tiri con lo zio Peter e con lui non devo preoccuparmi di dosare l'intensità dei calci. I bambini però sembravano quasi spaventati da me" la ragazza divaricò le gambe per permettere al piccolo di stringersi a sé.

"Finisce sempre così: sono troppo impulsivo e manesco. Ho quasi rischiato di ferire Cora perché, mentre la stavo abbracciando, ho fatto troppa forza sulle braccia" raccontò, benedicendo il fatto che la sorella maggiore avesse il volto incorniciato da lunghi capelli corvini, che lo inebriarono del loro intenso aroma floreale.

"Derek" mormorarono le sottili labbra della giovane, quasi divertita da come il piccolo cercasse riparo nel suo abbraccio, ricordandogli tanto il fantomatico soprannome con la neonata di famiglia lo aveva battezzato.

"Ascoltami bene" gli sollevò delicatamente il volto, in modo che il bimbetto fosse costretto a prestare attenzione alle sue parole.

"Non devi reputarti sbagliato o diverso per via della forza che sta nelle tue braccia, certo...dovrai allenarti, un giorno avrai dei muscoli da paura e chiamerò il mio fratellone se sarò in difficoltà" a quelle parole Derek tentò di darsi un tono, fingendo una postura degna degli eroi dei fumetti che leggeva.

"Troverai qualcuno che dalle tue braccia non vorrà mai separarsi" gli promise, scompigliandogli i capelli mori.

Queste utile parole trovarono spazio nella mente dell'ormai cresciuto Derek che, torturando il pupazzetto che Stiles aveva attaccato all'anello del mazzo di chiavi, indugiava o meno sul palesare la sua presenza nella stanza da letto o stabilirsi a vita sul piccolo zerbino all'ingresso.

Ero settimane ormai che rimuginava su di una certa proposta nei confronti del fidanzato ma, al contempo, mille dubbi infestavano i suoi pensieri. Non era certo intenzionato a fare un passo più lungo della gamba, ad affrettare le cose tra loro ma in un certo senso quella condizione provvisoria non gli garbava più: lo stallo non era più una situazione accettabile.

Desiderava una certa privacy, intimità che comprendesse la libertà di poggiare il capo su di un letto che fosse unicamente di sua proprietà, non nutrire il costante timore di macchiare il parquet o la moquette, con il rischio di essere duramente sanzionato.

Si disse che, comunque la serata si sarebbe conclusa, non avrebbe certo potuto condurre la sua vita in quel freddo corridoio comune e dunque, inspirando in cerca di una spavalderia non propria, spalancò la porta.

Trovò Stiles con in dosso la sua felpa, o per meglio dire 'nostra' come specificava il ragazzino, un paio di boxer a tema Star Wars completavano il suo bizzarro look casalingo. "Ehi amore, hai finito tardi le lezioni oggi" lo salutò senza prendersi la briga di voltarsi, troppo occupato ad inserire in apposite buste di plastica i volumi dei fumetti in edizione limitata che costituivano la chicca della sua collezione.

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