1998 - Alex

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Quando Gabriel mi aveva chiesto di unirmi a lui in quello che avevo ormai imparato a definire "viaggio della speranza" in Svizzera, non sarei mai riuscito a immaginare uno strazio simile.

Quello che amavo di Gabriel e che mi aveva sempre fatto pendere dalle sue labbra, con paura, ammirazione e soggezione era che lui sapeva sempre cosa fare e non abbassava mai la guardia.

Risolveva i problemi, si prendeva cura dei dettagli, aveva sempre tutto sotto controllo: era nato per comandare, perché era tagliato alla perfezione per il ruolo di leader e niente lo aveva mai troppo scalfito, nemmeno la scomparsa di Claudio. Era un combattente sempre al comando, lo ammiravo ciecamente, senza nemmeno chiedermi il perché: era Gabriel, bastava.

Poi era arrivata una ragazzetta come tante altre e lui era cambiato all'improvviso, così tanto che stentavo a riconoscerlo. Si era dapprima allontanato dal nostro cerchio di amici e la cosa era sembrata strana fin da subito, considerato che ci aveva fino a quel momento comandato e trattato come burattini le cui fila era l'unico a tirare. Il gruppo, per lui, era sempre stato fondamentale, la nostra squadra, il suo esercito di ragazzi pronti a dare la vita in suo nome.

E adesso era tutto cambiato.

Passava tutto il suo tempo con lei, che, per carità, gnocca fin che vuoi, ma, in fondo, una ragazza come le altre. Eppure, c'era qualcosa, in lei, che l'aveva preso e trasformato in un fantoccio, il fantasma della persona che era stata: non era più Gabriel il conquistatore, il capo indiscusso, il re della banda, ma solo un ragazzo innamorato, come tutti gli altri.

Era addirittura arrivato a dire addio alle corse in macchina, che gli avevano fruttato un mucchio di quattrini e tutto il rispetto di cui ancora godeva in giro.

Quando Chloé era stata rispedita al mittente dai genitori, era letteralmente crollato davanti a tutti, senza un briciolo d'amor proprio, lo avevo visto piangere, sdraiato su un letto disfatto, gli occhi gonfi, la voce rotta dalle lacrime, quasi Chloé non fosse semplicemente partita per la Svizzera, ma morta insieme a Claudio.

Era sparito per settimane e, quando era ricomparso, sembrava un rottame.

Un'ombra, un ricordo lontano.

Gli ero rimasto amico, più che altro perché mi faceva pena: l'officina di suo zio, dove lavorava anche lui, era stata rasa al suolo da un incendio e avevano perso tutto, perfino la casa dove viveva con la madre. Si erano ridotti a vivere tutti dallo zio.

Nel giro di pochi mesi, Gabriel aveva perso il migliore amico, la fidanzata, la casa e il lavoro, per cui un po' potevo capirlo, se era uscito di testa.

Si era ripresentato al nostro bar e lo avevamo festeggiato, perché finalmente aveva deciso di ritornare alla vita: avevamo stappato una bottiglia di spumante, gli avevo spinto tra le braccia una ragazza disponibile che lui aveva rifiutando arrossendo come un quindicenne.

Non aveva bevuto un sorso di alcol e non aveva riso alle nostre battute di sempre: era come festeggiare qualcuno che non aveva proprio nulla per cui continuare a vivere.

Fisicamente era tornato in mezzo a noi, solo che una parte di lui era morta per sempre.

Era sempre malinconico, depresso, se ne stava in disparte, le spalle curve e il peso del mondo addosso, sembrava che la partenza di Chloé fosse stata un colpo troppo duro da sopportare e lui avesse irrimediabilmente perso la propria battaglia contro la depressione.

Avrei avuto voglia di scrollarlo, di dirgli di riprendersi, perché mi dispiaceva vederlo così, ma anche io avevo i miei affari da sbrigare: avevo preso il suo posto, quindi gestivo il monopolio delle corse clandestine, dato che i Vandali si erano sciolti dopo la misteriosa scomparsa nel nulla di Andrea. Quel nuovo ruolo di leader mi teneva molto occupato, la fama, il successo, i soldi, le ragazze: era un casino di notti insonni, feste, divertimento a buon mercato, il migliore.

Senza tempo - TERZO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora