1997 - Nicole

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Volevo dire ai miei genitori di Claudio.

Lo volevo davvero, con tutto il mio cuore: era il mio ragazzo, era la persona con la quale mi trovassi meglio al mondo, l'uomo che mi amava di un amore incondizionato, quello che riusciva a farmi ridere anche quando mi sembrava andasse tutto storto, chiudevo gli occhi e Claudio era lì a dare un ritmo al mio respiro, a farmi sentire a casa, a tranquillizzare la mia mente contorta.

Claudio era l'amore della mia vita, lo sarebbe stato per sempre, non importava quello che sarebbe successo.

Volevo gridare al mondo che era mio, che ce l'avevo fatta, che non c'era niente che potesse dividerci, che mi faceva sentire bellissima, amata e protetta, tutto insieme e che insieme eravamo un paradiso perfetto, un mondo a parte tutto nostro.

L'amore che mi legava a lui aveva mille colori diversi: era fortissimo, prezioso, fragilissimo e d'acciaio al tempo stesso, era verde come la speranza che durasse per sempre, era rosso come la passione che ci univa, era blu, perché qualche volta andava anche bene essere tristi, purché lo fossimo insieme.

Non era semplice sesso, anche perché io a letto non ero un granché, ma quello che ci univa era molto più forte, profondo e importante.

Noi ci capivamo: ci bastava un solo sguardo, un cenno d'intesa, un sorriso e io ero a casa e lui al sicuro.

Non aveva detto niente ai suoi e non mi importava: Claudio era uno stupido e non voleva dire ai suoi genitori che lui, dopotutto, non era omosessuale. Non avevo la minima idea di come potessero pensare una cosa del genere, considerato che Claudio non incarnava nulla degli stereotipi che avevano condizionato i suoi genitori.

Ma non era la mia battaglia e, dopotutto, non mi importava.

Il problema ero io.

Non volevo dire ai miei genitori di Claudio, perché sapevo che non avrebbero capito: lo avrebbero guardato e basta, non come lo guardavo io, ma come lo guardavano quasi tutti.

Avrebbero visto l'abbigliamento trasandato, l'aria svagata di chi ha costantemente la testa tra le nuvole, avrebbero saputo che non aveva studiato molto, che non aveva ancora un futuro assicurato, che, probabilmente, sarebbe finito in un'officina meccanica.

Non che ci vedessi qualcosa di male: io no, ma sapevo che a loro non sarebbe piaciuto, perché per me avrebbero voluto di più, magari uno studente universitario con mille programmi.

Loro non potevano sapere quanti progetti avessimo insieme: quante volte avessimo parlato di ciò che avremmo voluto per il nostro futuro, Claudio era un vulcano di idee, era la mia droga, la mia felicità, il mio amore, la mia meravigliosa ossessione.

E la nostra storia era ancora così giovane, così pura, che non volevo si macchiasse di pregiudizi, non potevo sottoporlo al vaglio di una giuria così dura, che ero certa non l'avrebbe assolto.

Non potevo tollerare di essere criticata per qualcosa di così bello.

Perché la mia storia con Claudio era bella sul serio.

Lui aveva placato tutte le mie paure: al suo fianco non ero più insicura o titubante, sapevo che mi amava e il suo cuore era puro, onesto, sincero. Non avrei mai dubitato di lui, mai e poi mai, perché sapevo che non avrebbe mai ferito i miei sentimenti: avrebbe preferito morire, piuttosto che farmi male.

Lo aveva dimostrato in mille modi, piccoli e grandi: prendendosi cura di me, trattandomi come una principessa, lottando contro tutte le mie paure, quelle sciocche e irrazionali.

Per chi soffriva di ansia e depressione come me non era una cosa da poco.

Mi aveva fatta ridere come una pazza, perché lui era proprio scemo e il suo folle senso dell'umorismo mi faceva sempre sentire sull'orlo delle risate: prima di lui non sapevo cosa fosse quella sciocca felicità che mi faceva ridere per qualsiasi cosa, solo perché l'aveva detta lui, con quella voce che adoravo e quell'espressione che conoscevo meglio di ogni cosa.

Mi aveva tenuta sveglia, di notte, con il semplice potere che esercitava su di me.

Aveva tifato per me.

Mi aveva tenuto la mano davanti a tutti, fregandosene, che fossi una perdente.

Aveva realizzato tutti i miei sogni, rendendo magica ogni notte che avevamo trascorso insieme: con i suoi occhi riuscivo a vedere un mondo completamente nuovo, qualcosa che mi aveva tenuta sveglia di notte, solo in attesa di un altro bacio.

Accanto a lui, non mi ero sentita perdente neanche per un secondo, anzi: accanto a lui riuscivo sempre a dare il meglio di me.

Mi aveva detto "ti amo" per primo, senza che glielo chiedessi o, anche solo, me l'aspettassi: non si aspettava nemmeno che gli rispondessi, ma quel "ti amo" che gli avevo detto a mezza voce era davvero l'espressione del mio cuore.

Era la mia casa, il mio riparo, la mia vera famiglia, ero sua e non potevo fare a meno di pensare a come sarebbero state le nostre vite, di lì a dieci anni, quando la tempesta dell'adolescenza sarebbe finalmente terminata e ci saremmo trovati adulti, insieme.

Una famiglia, una casa, dei figli.

Nessuno lo conosceva meglio di me. Forse solo Gabriel.

Ma io potevo vedere le sue fragilità, conoscevo l'espressione in tempesta del suo viso dopo l'orgasmo, sapevo il modo dolce e protettivo che aveva di guardare solo me, solo io capivo come stavano le cose tra di noi e solo io trovavo sempre il modo di farlo sentire a casa.

Gabriel era il suo migliore amico, ma io ero la sua ragazza, la sua anima gemella per sempre.

E gli dovevo tutta la mia vita, perché, senza di lui, non sarei stata nulla, non per assenza di amore, ma perché mi aveva regalato un'identità che nemmeno io sapevo di possedere.

Ero sua, era tutto mio, ma non potevo dirlo ai miei: era troppo presto, era prematuro.

Non avevo mai avuto un ragazzo, non ero pronta e non erano pronti.

Avrei custodito quel segreto ancora per un po', perché, in fondo, era bello sapere di avere qualcosa che fosse tutto mio, che non dovessi condividere col resto del mondo.

Claudio era tutto ciò che volessi, fossi o avrei mai potuto essere e non c'era nessun motivo per affrettare le cose: eravamo ancora troppo giovani ed inesperti, dovevamo prendere le cose con calma, mentre il nostro amore sembrava destinato a bruciare tutto, tutti, perfino noi due. Da quando ci eravamo conosciuti, non avevamo avuto un momento di tregua: era bastato baciarci per diventare una cosa sola, senza nessun pensiero, senza nessun ripensamento.

Era tutta la vita che aspettavo uno come lui.

Anzi, no.

Era tutta la vita che aspettavo lui.

Non lo avrei detto ai miei genitori, perché potevo aspettare, perché sapevo aspettare: ci sarebbe stato il tempo e il momento giusto, dovevo solo avere pazienza.

Un giorno, avremmo cenato tutti nel nostro salotto: papà avrebbe fatto battute stupide e mamma mi avrebbe fatto un occhiolino di approvazione, perché, col tempo, tutti avrebbero capito quanto mi rendesse felice, quanto, per me, fosse importante e quale ruolo avesse giocato nel rendere la mia vita perfetta.

Ci voleva solo pazienza, ma non ero preoccupata e non avevo nessuna fretta.

Potevo conservare quel segreto ancora molto a lungo.

Avevamo tutta la vita davanti per essere felici.

Senza tempo - TERZO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora