1997 - Laerte

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Mi piaceva Daniele.

Non solo era l'unico figlio del mio socio di maggioranza, non solo era elegante e si vestiva in modo impeccabile, non solo frequentava la migliore Università d'Italia e non solo perché aveva i modi di un piccolo imprenditore in erba, affabile e col giusto livello di arroganza.

Daniele mi piaceva perché, per me, era pronto a buttarsi nel fuoco.

Quel pomeriggio eravamo impegnati in un acceso match di tennis, sport nel quale eccelleva.

Sapevo che, spesso, mi lasciava vincere: ero intelligente e sapevo anche che era più bravo di me in quello sport, ma mi lasciava vincere perché sapeva che mi rendeva felice, in un certo senso, blandiva il mio ego smisurato.

Sapevo anche del suo piccolo, risibile problema: sniffava cocaina.

Per me non era un grande affare, lo facevo anche io, diamine: erano gli anni '90, lo facevamo tutti.

Lui era giovane e doveva divertirsi: se aveva questo piccolo passatempo, chi ero io per dirgli che non doveva farlo? Sarei stato solo un ipocrita e non lo ero affatto.

-Gran partita! - commentò uscendo dallo spogliatoio, vestito con un completo di lino bianco che un po' gli invidiai.

-Gran partita! - confermai, battendogli una pacca sulla spalla, lui sorrise, affabile e, nella testa, riuscivo già a vederlo in sostituzione di suo padre, che, da qualche tempo a questa parte, sembrava più distante dalla nostra società, quasi si stesse già preparando a mollare la presa a favore della giovane leva.

Spazio al futuro, pensai tra me e me, convinto che il mio sodalizio con Daniele sarebbe stato, in prospettiva, più proficuo di quello con suo padre, perché Daniele era pronto a scattare ai miei ordini, era intelligente, di classe, sapeva divertirsi e concentrarsi quando veniva il momento, riusciva a parlare davanti a una platea di persone senza battere ciglio e il suo libretto d'esami era pieno di ottimi voti. Ma non solo: Daniele aveva quel modo di fare subdolo e serpentesco che non poteva non funzionare nel mondo degli affari.

Era nato per fottere la gente, per stare al comando e, al tempo stesso, per eseguire i miei ordini.

Sarebbe diventato il partner perfetto.

Ci sedemmo al tavolo dell'elegante bar del circolo tennistico, gli offrii un sigaro, mi offrì un cognac invecchiato.

Presi il bicchiere panciuto, pieno di liquore dal colore ambrato e lo feci roteare nel palmo della mano, mentre, con l'altra, reggevo il costosissimo sigaro che un mio fornitore mi faceva arrivare direttamente da Cuba. Uno dei tanti piaceri che costellavano la mia vita dorata.

Ero un amante dei piaceri, degli agi, del lusso: dal basso, con le unghie, con i denti, col sudore della fronte e una notevole dose di cinismo, mi ero arrampicato lungo la scala sociale, diventando, in un solo decennio, il re indiscusso di Milano.

Le mie feste erano le più scatenate.

I miei abiti, i più costosi.

La mia macchina, la più veloce.

La mia donna, la più bella di tutte.

Probabilmente, anche il mio uccello era il più lungo.

-Di cosa volevi parlarmi? - chiesi, sbuffando fumo nell'aria calda del tardo pomeriggio.

-Sai quanto ti rispetti e l'ammirazione che provo nei tuoi confronti... - il preambolo era doveroso, una captatio benevolentiae che serviva solo a farmi gongolare. Annuii brevemente, perché stava solo dicendo la verità - quello che volevo chiederti era quando potrò fare la mia proposta a Chloé.

Continuai ad annuire, prendendo tempo, perché avrei dovuto cercare bene le parole.

Chloé era la mia preziosissima, immacolata perla bianca, intoccabile, irraggiungibile, di certo non volevo trattarla come merce di scambio.

Probabilmente, nemmeno Daniele era il partito perfetto per la mia bambina, perché, a ben vedere, ai miei occhi nessuno al mondo avrebbe mai potuto raggiungere il suo livello.

Per il momento, però, potevo illuderlo promettendogli che, prima o poi, avrebbe potuto averla.

Non sapevo cosa sarebbe successo: Chloé era ancora una bambina innocente, che non sapeva nulla della vita, che doveva ancora affacciarsi sul mondo. Ci sarebbe stato tempo, per queste cose...

-Chloé deve studiare, deve ancora maturare: è solo una bambina... - Daniele, con una luce strana negli occhi, mi guardò senza tremare e inspirò a fondo una boccata del sigaro.

-Non è più una bambina.

-Ha diciassette anni, non ha mai conosciuto un uomo.

-Vedi, Laerte - si chinò sul tavolo, nella mia direzione, quasi in maniera confidenziale, come se dovesse rivelarmi qualcosa che non sapevo. Eppure io sapevo tutto. - Per un padre, la propria figlia è una bambina, sempre. Un'innocente, una vergine che davvero non ha mai conosciuto i piaceri della carne...

-Daniele, stai parlando di mia figlia, dove vuoi andare a parare? - chiesi innervosito. Poteva essere un potenziale socio in affari, ma non gli avrei mai permesso di parlare di lei in maniera poco rispettosa: come si permetteva di mettere in dubbio la sua purezza?

-Mi sono arrivate delle voci, da una fonte attendibile, che conosce come stanno le cose in realtà e di quello che sta facendo tua figlia a tua insaputa.

A mia insaputa? Feci finta di nulla, ma dentro sentivo montare la rabbia.

-E quindi? - il fatto che non sapessi su quale territorio mi stessi muovendo mi metteva a disagio.

-Chloé ha un ragazzo, sta con lui da circa un mese e con lui ci ha fatto tutto - strinsi gli occhi e non seppi se ridere o spaccargli la faccia.

-È impossibile - sbottai, bevendo un sorso di cognac per darmi un tono: quella conversazione non stava andando come avevo previsto.

-È possibile invece, ma ti chiedo di ascoltarmi, prima di saltare alle conclusioni o arrabbiarti. Insieme possiamo sistemare le cose: ti dirò tutto quello che so, così potrai prendere i tuoi provvedimenti. So che prenderai la decisione giusta e saprai rimetterla in carreggiata. Anche se non è più vergine, Chloé rimane sempre un partito eccezionale e io non sono un uomo all'antica, quindi, su questo punto, sono disposto a chiudere un occhio. Voglio dire, una volta sistemata la faccenda, sperando che le voci non si spargano troppo, sarò ben felice di prenderla come fidanzata e, poi, appena finita l'università, me la sposo. Sai che papà...

-Sì, lo so che tuo padre ha intenzione di mollare e passare il testimone a te - commentai spazientito.

Avevo appoggiato il bicchiere e il sigaro e avevo stretto il pugno così forte che le unghie mi si erano conficcate nei palmi delle mani. Ma di che stava parlando?

Chloé era stata sotto la mia costante supervisione, da quando era tornata a Milano: come poteva aver trovato un ragazzo e, soprattutto, come poteva aver fatto...?

-Ecco, appunto: che cosa migliore di avere per socio d'affari tuo genero? Saremmo una dinastia d'acciaio, come gli Agnelli, come i Moratti... Pensaci bene.

-Parlami di Chloé e ti darò quello che vuoi - dissi semplicemente. Lui si appoggiò allo schiena della sedia, accavallando le gambe con l'aria da stronzo che aveva perfettamente capito di tenere il coltello dalla parte del manico.

-So tutte queste cose da un ragazzo che conosce bene la persona con cui sta: la tiene d'occhio perché il suo ragazzo non è un tipo raccomandabile, Laerte, tu non vuoi che stia con lui, ne sono certo.

-Lo conosco? - chiesi mentre sentivo la bile risalirmi lungo l'esofago.

-Sì, il ragazzo di Chloé si chiama Gabriel.

Senza tempo - TERZO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora