1996 - Nicole

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La prima volta che lo vidi, lo detestai.

E non tanto perché era entrato in biblioteca con le cuffiette nelle orecchie a un volume talmente alto che la sua orrenda musica techno era risuonata in tutta la sala in cui stavo tentando di studiare, ma per quel suo atteggiamento arrogante che conoscevo benissimo.

Ne avevo conosciuti tanti, come lui: sicuri di sé, strafottenti, convinti di avere il mondo sul palmo della mano, tutto dipendeva da lui, tutto ruotava intorno a lui.

Pensava di avere tutto sotto controllo, mentre io non sapevo neanche cosa volessi davvero: avevo un milione di sogni che mi tenevano sveglia la notte e che non riuscivo a esprimere.

Lo guardai con disprezzo: era inutile fare finta di non notarlo, perché ogni sguardo era su di lui, quasi il tempo si fosse fermato e fosse lui a scandirlo, con i suoi passi sicuri, decisi.

Era magnetico, irresistibile. Carismatico.

Ed era fastidiosamente bellissimo: aveva un fisico scattante, asciutto, non troppo muscoloso, ma atletico, lunghe gambe fasciate in jeans dalle ginocchia strappate, jeans talmente aderenti che mettevano in risalto un sedere che era un vero capolavoro, una maglietta bianca che aderiva al torace, la mascella forte, zigomi scolpiti, occhi blu come il mare e i capelli spettinati con una cura e un'attenzione che non potevano certo essere casuali.

Arrossii fino alla punta delle orecchie, perché non era da me fissare le persone in modo così insistente, di solito abbassavo lo sguardo, perché ero sfuggente, timida, non sapevo socializzare e avevo paura della mia stessa ombra: ero cresciuta protetta e difesa dai miei genitori, unica figlia adorata e fonte di ansie costanti, considerata la mia salute cagionevole.

Fino a due anni prima avevo avuto una sola amica, Rita, che mi si era seduta accanto in prima elementare e da quel momento era stata mia amica per sempre. Poi mamma, irritata dalla mia totale assenza di relazioni interpersonali con i miei coetanei, mi aveva iscritto a un corso di danza moderna e lì, volente o nolente, ero stata obbligata a conoscere qualcuno che, per vie strane, era diventato mio amico.

Ma non erano più di quattro, cinque persone: avevo così pochi amici che non avevo mai avuto il coraggio di organizzare una festa per il mio compleanno, troppo terrorizzata che non si presentasse nessuno.

Scossi la testa e mi concentrai sul testo che avevo sotto agli occhi, dandomi della stupida: inutile fissarlo, tanto non mi avrebbe mai notata, non si sarebbe mai accorto di me, perché quelli come lui non perdevano il proprio tempo prezioso con ragazze come me.

Io ero trasparente, mentre lui brillava di luce propria.

Mi mancava pochissimo al diploma: diciassette anni e pronta ad affrontare l'anno della maturità con l'ottima prospettiva di avere il massimo dei voti.

Studiavo in biblioteca perché nel palazzo accanto al mio stavano ristrutturando: martelli pneumatici e scalpelli dalle otto del mattino fino alle sette di sera e io dovevo concentrarmi, non proprio lo scenario ideale per una perfezionista come la sottoscritta.

Quindi la biblioteca era diventato il mio rifugio.

Arrivavo ancora prima che aprissero, perché ero sempre in anticipo.

Ero strana. Lo sapevo bene.

Sapevo bene che nei bagni della scuola c'era il mio nome ricoperto di insulti, scritti a pennarello indelebile sui muri.

Strana.

Diversa.

Potenzialmente lesbica: non avevo tanta esperienza in campo sentimentale, poteva starci.

Senza tempo - TERZO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora