Anxiety & Cuddles

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NEBULA’S POV

Le parole di mia madre riecheggiavano nella mia testa, ma, man mano che si ripetevano, sembravano essere sempre più lontane. Nelle mie orecchie, vi era solo un lungo assordante fischio, che ovattava tutti i rumori intorno a me. Il mio sguardo era fisso nel vuoto, mentre le mie gambe cedevano e io caddi sulle ginocchia. Tutta la scena sembrava essere al rallentatore. Il tappeto dai colori caldi sotto di me aveva attutito la caduta, ma non importava. Nulla importava.

La festa, Halloween, le persone. Nulla importava. I voti, la scuola, il lavoro, il futuro. Tutto era così fottutamente inutile di fronte alla cruda, sleale realtà. Impegnarsi per un futuro che non è certo. Di fronte a qualcosa di così forte, ti chiedi quante dannate giornate hai sprecato nella tua vita, lasciandole scorrere. Volevo prendermi i capelli e iniziare a strapparmeli dalla testa e iniziare ad urlare, fino a sgolarmi. Urlare che potevo vedere, imparare, capire, conoscere in ogni fottuto minuto della mia vita che ho sprecato dormendo, o guardando la tv. Ma, in quel momento, in quel momento tutto ciò non era importante. Quello che importava era il corpo di Fanny, ingiustamente e dannatamente lontano dal mio. Ora che aveva davvero bisogno di me, io non potevo essere con lei. Potevo sentire il suono dell’ambulanza di ore fa, lontane migliaia di kilometri, correre per le strade di Charlotte.

Sentii due mani esili stringermi per le spalle e scuotermi forte, ma fu come scuotere una nuvola carica di pioggia, e le mie lacrime tuonarono lungo le mie guance.

“Nebula! Nebula” – la voce di mia madre sembrava solo un vecchio ricordo, lontana anche solo dalla concezione di averla accanto a me, mentre io ero ancora immobile con gli occhi vuoti, scossa dalla sua stretta. Quando mia madre cedette e mi lasciò andare, lo feci anche io. Il mio corpo cadde inerme sul tappeto morbido, che solleticava e pizzicava il mio collo attraverso la grande chioma colorata. Sentii un urlo, delle porte sbattersi, passi sulle scale. Le immagini non erano più nitide, ogni secondo le cose intorno a me erano sempre più sfocate, sempre di più, sempre di più. La luce si faceva opaca, diventando solo delle piccole macchie, così chiusi gli occhi e, nel buio, potei sentire il mio cuore accelerare ed impazzire. E poi il nulla.

***

Due dita sfioravano la mia fronte, spostando alcune piccole ciocche di capelli che infastidivano la mia vista. La luce rendeva difficile la giusta apertura dei miei occhi, ma quando riuscii, la stanza iniziò a vorticare. Cercai un appoggio con le mani per riuscire ad alzarmi, ma sentii quattro mani familiari sollevarmi la schiena.

“Come va, cara? Ti senti meglio? Vuoi qualcosa?”

Scossi la testa cercando di mettere a fuoco la figura di mia madre. – “C-Cosa è successo?”

“Tesoro” - iniziò la frase con tono rassicurante, mettendo poi le sue mani sulle mie – “hai avuto di nuovo un attacco di panico.”

Cercai di riportare la mia mente a pochi minuti prima. Le luci sparire, mia madre, Fanny. Fanny. Alzai la testa di scatto, sgranando gli occhi. Di fronte a me, un grande specchio aveva una grande cornice fatti di coralli blu. Mi ci riflessi, e potei vedere il mio viso ancora truccato, distrutto.

“Fanny” – mormorai a bassa voce, prendendo finalmente atto del fatto che Fanny fosse stata fottutamente messa sotto una macchina. Entrambe le mie madri poggiarono le loro mani su di me, cercando di confortarmi. Ma io non potevo. Io non volevo rimanere così inerme. Scattai in piedi dal divano su cui ero seduta, dirigendomi verso la porta. Sentivo le due voci femminili chiamarmi indietro, ma io aprii la porta per poi chiudermela alle spalle.

Iniziai a correre, correre a più non posso, correre fino ad essere senza fiato.

Le prime luci del mattino illuminavano le strade deserte della città, il cielo era dipinto di un rosa-azzurro spettacolare. I lampioni si stavano spegnendo due a due, mentre io passavo sotto di loro. Le lacrime, che stavano divorando il mio viso, cadevano al suolo. Avevo bisogno di qualcuno. Così mi diressi verso l’unica persona che volevo davvero vedere, in quel momento. L’unica che mi avrebbe capito.

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