Questions and beer

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 NEBULA’S POV

“Buonasera, tesoro” – mi salutò mamma, dopo che le ebbi dato un bacio veloce sulla guancia. – “Di chi era quella macchina che ha riportato il tuo fondoschiena grazioso?” – sentii urlare dalla cucina mia madre mentre andavo a salutare l’altra. – “Due miei amici di scuola! Ciao, mamma.” – salutai anche lei con un fugace bacio sulla guancia.

“Oh, che carini! Amore, non è stupendo che già alla loro età manifestino amore omosessuale? Sai, Nebula, ai nostri tempi non era consentito. Non vedo l’ora che ti trovi anche tu una ragazzetta. Oh, sarei così felice…” – sgranai gli occhi – “Mamma! I miei amici non stanno insieme e non sono gay, e, soprattutto, io non sono lesbica!” – mia madre agitò le mani come per dire che fosse una follia – “Mamma, non so più come dirtelo. Sono etero. Mi piacciono i ragazzi. Hai presente, quelli con il coso in mezzo alle gambe…?” – e feci un gesto con le mani che fece, di conseguenza, avere alle mie due madri una smorfia di disgusto – “Ew!” – si lamentarono. Io, in tutta risposta, sbuffai.

“Cara” – mia madre, la psicologa, si avvicinò a me, poggiandomi una mano sulla mia. Ecco che ricominciava – “non devi dire queste cose a tua madre, lo sai che è dura da capire per un genitore… Lei ti accetterà lo stesso, perché ti vuole bene e vuole il meglio per te, ma dovresti avere un po’ di tatto nel dire queste cose.” – “Ma, mamma…!” – cercai di replicare – “Tut – tut! Dai, ora vai da tua madre e chiedile scusa per essere stata così sgarbata, e poi inizieremo a farti il terzo grado su chi ti ha portato a casa.”

“Perché?” – incrociai le braccia al petto, fingendo di essere una bambina viziata.

“Perché vogliamo essere delle bravi genitrici e..”

“Ma se siete delle hippy!”

“..e” – mi lanciò un’occhiataccia, ammonendomi – “ci importa davvero della nostra bambina. Ora, vai da tua madre e chiedile scusa.”

Roteai gli occhi, ma poi mi alzai dal divano diretta verso la cucina. Aprii gli occhi in uno sguardo da lo – so – che – non – puoi – resistermi, e dissi “scusa, mammina”.

Lei scoppiò in una risata – “Furbetta” – mise una mano a metà della mia schiena per spingermi nuovamente in salotto. Okay. Sono pronta all’interrogatorio. All’attacco!

Iniziò mamma Adele – “Come si chiama?”

“Ma sono due!”

“Lo so che uno ti interessa più dell’altro” – continuò l’altra dandomi una gomitata nelle costole.

“Harry”

“Uuh, che bel nome!”

“E com’è? E’ carino?”

“Si, abb….”

“Dai, dicci qualcosa di più!”

“Ma se non mi fate neanche finire!”

“Gli occhi?”

“Verdi.”

“Verde vomito?” – le mie madri a quella frase fecero una smorfia e poi scoppiarono a ridere. Sembravano proprio due gallinelle.

“No, verde… smeraldo.”

“Devono essere proprio belli.”

“Capelli?”

“Neri nerissimi.”

“Alto?”

“Poco più di me.”

“Fisico?”

“Un po’ palestrato. Ma non troppo, quelli mi fanno schifo. Il giusto. Non penso gli dia poi così tanta importanza. Lo spero. Mi ci vedete con uno che sta tutto il giorno davanti allo specchio a guardarsi i muscoli?”

Ridemmo. La differenza d’età tra me e le mie madri non era poi così tanta, all’incirca 23 anni. La loro storia d’amore mi ha sempre appassionata. Me la facevo raccontare da piccola come favola della buonanotte. Si erano conosciute da giovanissime, e per quanto cercassero di non darlo a vedere, loro erano proprio innamorate. Ma i genitori le avrebbero cacciate a calci in culo se le avessero scoperte. La mia parte preferita è la loro prima volta, nascoste in una soffitta di una casa abbandonata. Poi, come la racconta mamma Emma, è bellissima. Ti fa sentire la loro passione, come se la vivessi tu. E quindi, ora, per colpa loro, ho queste grandi aspettative sull’amore. Ma non ho mai sentito questo sentimento travolgente, e dubito che mai lo sentirò.

“Tesoro” – mia madre Adele si alzò dal divano di scatto – “è ora di berci una birra tutte insieme!”

“Ma mamma, sono minorenne!”

“E allora?” – disse, mentre il tappo di una Heineken cadeva dalla bottiglia – “non farai nulla di male. Non guiderai” – un altro tappo – “e non andrai ad ammazzare nessuno.” – e l’ultimo tappo. Ci passò le due birre a me e mamma, prima di fare un lungo sorso della sua birra, e poi guardarla con disgusto. Le lessi il pensiero. – “Un giorno te la trovo una Peroni” – e lei mi sorrise dolcemente.

Mamma Adele veniva dall’Italia, da Roma, precisamente. Diceva sempre che quando era lì, il suo sogno era partire e andare a vivere fuori. E ora che ha coronato il suo sogno, le manca da morire il cibo italiano. Una volta siamo andate ad un ristorante italiano, quando eravamo a Charlotte. Il cibo era tanto buono tanto quanto il prezzo era alto. Ma mamma ha detto che quello non era neanche la metà buono del cibo che c’era in Italia. Non le credo granché. Dovrebbe essere una specie di cibo degli dei.

Così, finii di sorseggiare la mia birra e detti loro la buonanotte, ringraziandole di avermela fatta bere con loro. Sembravano raggianti di aver passato un po’ di tempo con me.

Dissi un ultimo “ciao” e poi mi nascosi in camera mia, sotto le coperte. 

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