First day.

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Era un inizio di giornata un po’ frenetico. Infatti, mentre lo pensavo stavo correndo con in mano la bretella nera dello zaino sussurrando - “Cazzo, cazzo, cazzo.”.

In cinque minuti sarei dovuta essere a scuola, a quindici minuti da casa mia. Addentai con forza la merendina della colazione, mentre mi infilavo distrattamente lo zaino sulle spalle.

“Non il primo giorno, non il primo giorno!”

Era il primo giorno nella nuova scuola, ed io, ovviamente, ero in ritardo.

Corsi su per le scale diretta verso la classe, che la bidella aveva detto fosse quella di letteratura giusto il giorno prima, durante l’iscrizione.

“Nebula Rose?”

Aprii la porta con troppa forza, facendo un rumore assordante.

“Presente!” – dissi con il fiatone che mi strozzava. Mi spostai una ciocca rosa dietro i capelli per guardare il viso corrucciato del professore, pentendomene immediatamente quando tutti scoppiarono in una fragorosa risata, un po’ per il mio nome, un po’ per la figura di merda.

Perfetto, bell’inizio di scuola.

“Signorina Rose, può mettersi vicino al Signor Cooper, al terzo banco.”

Ripresi lo zaino, che intanto era crollato a terra nella corsa, e lo appoggiai accanto al banco che mi aveva appena indirizzato il professore.

Non guardai neanche il mio nuovo vicino di banco, anche se penso mi avesse rivolto un sorriso, ma a quanto pare lui non apprezzò, perché si sporse leggermente verso il mio orecchio sussurrando.

“Piacere, Alex. Alex Cooper.”

“Piacere.” – risposi monotona. Non tenevo al fatto che le persone ricordassero il mio nome. Odiavo mia madre  per avermelo dato. Nebula. Osceno.

L’altra mia madre disse che avrebbe voluto chiamarmi Alice, il che sarebbe stato molto meglio, ma no. Mia madre, Emma, è un ingegnere astronomico, fissata con queste cose delle spazio, le stelle, la Luna. Invece di chiamarmi con nomi normali, come Stella, Sole, no, lei ha preferito Nebula.

Per di più, il mio cognome è Rose, quindi Nebulosa Rosa.

“Ho sentito bene, ti chiami Nebula?” – mi riscossi dai miei pensieri, guardando con la coda dell’occhio il ragazzo accanto a me.

“Ha-ah. Adesso ridi, fai delle battutine che non fanno ridere, ma che tutti apprezzeranno, continua tutto l’anno sullo stesso argomento credendoti divertente e gridalo anche al diploma, così sarai contento.” – uscii più acida del previsto.

“Non ti piace granché il tuo nome, eh?” – gli rivolsi un’occhiata sarcastica. – “ A me piace.”

Mi girai completamente verso di lui con gli occhi sbarrati per l’incredulità. – “Era sarcastico?”

Lui scosse lievemente la testa. “Affatto.”

“Cooper, Rose, già iniziate?” – il professore ci richiamò, meno arrabbiato di quanto pensassi. Forse perché era ancora troppo giovane per essere cattivo anche il primo giorno. Infatti, a cinque minuti dalla fine della lezione – “Ragazzi, sapendo i milioni di pettegolezzi che vi dovrete dire, sono contento di fare il favore agli altri professori lasciandovi cinque minuti per parlare. Mi raccomando, a bassa voce!” – tutti lo guardarono alquanto stupiti – “E’ il primo giorno, non pensavo di finire così presto!”. Incurvai appena le labbra pensando che, magari, quest’anno sarà migliore.

Pessima cosa. Appena uscii dalla classe alla ricerca del mio armadietto, come in un film al rallentatore, passarono tre divinità con minigonna. Tre divinità, perché, a quanto pare, quando passavano loro, tutti si spostavano ai lati per farle passare, neanche fossero sul tappeto rosso.

“Le tre Grazielle.” – sussurrai tra me e me, sperando di non essere sentita, cosa che non accadde, perché una ragazza di colore mi si avvicinò tendendomi la mano. “Ehi, mi sei simpatica. Piacere!” – me la strinse lievemente – “Sei nuova, vero? Sarebbe difficile non notarti qui a scuola.

Seguii il suo sguardo, che puntava ai miei capelli. L’anno scorso, avevo deciso di aggirare il problema del mio nome abbinandolo ai miei capelli, tingendoli di blu e rosa.

Non sono una persona molto attenta a queste cose, ma l’effetto era davvero bello.

Risi appena – “Beh, non hai tutti i torti. Sai dov’è il mio armadietto?” – le porsi la chiave facendole vedere il numeretto. Il suo sguardo si illuminò in un istante – “Ehi, è proprio accanto al mio! Era destino, visto?” – detto questo, mi prese per un polso e mi trascinò verso gli armadietti.

Proprio davanti a noi, c’erano due ragazzi tutti intenti a guardare dall’alto in basso tutte le ragazze che passavano loro davanti e a ridere prendendole in giro.

Intanto, la nuova vicina di armadietto, che aveva visto chi stavo fissando, emise uno sbuffo.

“Lasciali perdere, non provare neanche a interessarti a quei due. Sono i classici fighi della scuola che si sbattono le ragazze nei bagni senza neanche sapere il nome.”

“Sì, ho presente dei ragazzi così. L’avevo immaginato, comunque.” – nell’attimo in cui lo dissi, uno dei due incrociò il mio sguardo e sembrò quasi impallidire, ma poi riprese il suo ghigno sicuro.

“Cosa c’è, ti piace quello che vedi?” – mi urlò dall’altro lato del corridoio.

Alcune ragazze si fermarono di colpo, credo, aspettandosi che scappassi piangendo.

D’altro canto, per quanto fosse una domanda a scopo intimidatorio, gli risposi semplicemente – “Sì, sei carino, niente di che.” – la ragazza accanto a me spalancò la bocca in una grande o scandalizzata. – “Come hai detto che ti chiami?”

“Non l’ho mai detto.” – chiusi l’armadietto e me ne andai verso la prossima lezione, che era.. filosofia. “Dovevo portarmi un cuscino.”

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