Promise (not) broken

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NEBULA’S POV

E così anche la terza campanella suonò. E, insieme a lei, arrivò il momento del break che durava circa venti minuti, se ti andava bene. Ero pronta, con una sigaretta in mano, ad uscire, ma appena il mio piccolo naso si mise fuori dalla porta, il mio viso rientrò all’istante, spaventato dal freddo.

Anche se era solo metà Ottobre, da queste parti il freddo non tardava ad arrivare. Così decisi di rifugiarmi in quello che doveva essere il piccolo teatro della scuola.

Dei capelli tirati attentamente indietro, colpirono la mia attenzione. Gli occhiali tondi erano scivolati giù lungo il naso dritto del ragazzo, e le due stanghette sembravano due piccole lacrime nascoste subito dietro le orecchie. Un tatuaggio, a cui non avevo mai fatto caso, spiccava dal colletto della camicia jeans, e un piccolo anello avvolgeva la narice sinistra. Ma non sembrava essersi accorto di me, tanto che i suoi occhi si muovevano frenetici divorando ogni riga del libro su cui era piegato.

“Non sapevo leggessi” – sobbalzò leggermente, prendendo finalmente conoscenza della mia presenza. Sembrava indeciso se nascondere il libro o fregarsene. Poi, semplicemente, fece spallucce e tornò con l’attenzione sul libro. Guardai il suo profilo delicato, di come il naso si alzava leggermente all’insù, l’attaccatura che lo giungeva alle labbra era poco più pronunciata del normale, e le sue labbra erano di un roseo che poteva far invidia a qualsiasi ragazza. Non che questo lo rendesse femminile, al contrario, lo rendeva… bello.

Fin da piccola, mi è sempre piaciuto osservare le persone. Purtroppo, non era uno sfizio che mi levavo spesso, perché più di una volta ho ricevuto occhiatacce e parolacce per sembrare un criminale ai primi livelli. Ad esempio, mi piaceva guardare il riflesso del faro del teatro che rifletteva sopra il ciuffo ordinato, che rendeva quel suo nero notte, un po’ più acceso. Adoravo cercare di capire le persone al primo impatto, cercando sempre qualcosa che mi potesse raccontare un po’ della loro vita. Come un’ombra di una fede, o un buco di un piercing andato. Ecco, trovare quelle cicatrici, o quei modi di fare, che raccontavano agli altri la propria persona.

Ora, non ho mai veramente provato ad esaminare Harry; mi sembrava così dannatamente inutile e noioso analizzare una persona uguale agli altri. Ma, scoprire questo suo lato, fu come se avesse riacceso la mia voglia di scoprirlo.

“Non sapevo neanche che portassi gli occhiali” – mi avvicinai di qualche piccolo passo a lui, ma sempre tenendomi a debita distanza, qualche scalino più in su. Lui alzò lo sguardo scrutandomi per giusto un secondo, e poi riabbassò lo sguardo sul libro, che era stretto tra le sue mani.

“Ci sono tante cose che non sai di me” – e poi un sospiro. Allora, decisi di accorciare notevolmente le distanze, sedendomi sul sedile di un rosso acceso di fronte a lui.

“Raccontamele” – ma dalla sua bocca uscì solo una leggera risata amara. – “Se fosse così facile, ti scriverei un libro.” – alzai le sopracciglia a quella affermazione. – “Inizia dal dirmi perché sei qui.”

Lui rifece spallucce prima di lamentarsi – “Silente mi ha buttato fuori” – una risata sfuggì dalle mie labbra – “Non chiamare così il professore di Filosofia. Sono sicura che avesse ragione!” – sbuffò. Non sembrò affatto divertito, come se la mia presenza gli desse fastidio.

Un silenzio assordante calò fra di noi, cosa che non lo mise per niente in imbarazzo da come continuava a leggere, come se niente fosse. Così, decisi di alzarmi, ma lui mi bloccò dicendomi – “Riuscirei a toglierti quella sicurezza che ti ritrovi, se solo potessi”

La sua sfacciataggine mi arrivò come un colpo in piena faccia, cosa che mi fece infuriare.

“Se pensi di essere tanto bravo, perché non lo fai?”

“Non posso.”

“Come mai?”

“Ti ho promesso niente scherzi.”

HARRY’S POV

“Che gran d’uomo di parola.” – fece una smorfia, irritata – “Davvero. L’Harry dalle mille facce!” – e poi rise, amaramente. Ma io mi limitai a guardarla, serio. Per quanto fosse acceso l’astio nei  miei confronti, ogni volta che la vedevo, sentivo che dovevo godermi l’attimo; non avrei lasciato che la perdessi un’altra volta, figuriamoci per colpa mia. E siccome sembrava che qualsiasi cosa io dicessi, o era sbagliata o era inquietante o non era da me, preferivo stare zitto.

“Puoi non stare zitto?” – perfetto, scelta appena bocciata.

“Piacere, mi chiamo Harry Young, ho 17 anni. Tutte le persone che ho attorno credono che io sia un idiota senza cervello, questo mi obbliga a comportarmi così e questo mi riduce tale. Non è perfetto? Amo leggere. Da impazzire. Da piccolo, scrivevo le poesie per una ragazzina di cui non ricordo neanche il colore dei capelli. Ma lei preferiva i biscotti di un altro ragazzino a me, e mi ha spezzato il cuore. Suono il piano. No, non mi drogo, anche se tutti pensano di sì per i miei tatuaggi. Sono nato il 31 Luglio 1991, ma amo l’inverno. Sono nato a Londra, ma per lavoro di mio padre, ho cambiato città più di una volta. Mmh.” – ticchettai con il dito sul mento in cerca di qualcosa da aggiungere. – “Penso che per ora basti.” – poi mi girai verso di lei, trovandola con un’espressione sorpresa, e il viso appoggiato su entrambe le mani, le orecchie sembravano quasi essere puntate verso di me per non perdere una sola parola di ciò che avevo appena detto.

“Quando sei… Quando sei serio” – e indicò prima la sua guancia sinistra e poi me – “Ti si forma una fossetta sulla guancia sinistra.”

“E allora?”

“E’ carina!” – corrucciò la fronte come se non dessi abbastanza importanza alla mia unica fossetta. La sua espressione arrabbiata era così…irresistibile. Dei ciuffi rosa e blu si erano ribellati alla prigione delle orecchie ed erano sparati davanti agli occhi, così da nasconderle parte del viso. Lasciai cadere piano la testa sul palmo della mano sinistra, rimanendo a guardarla. – “Sembri una bambina.” – le sussurrai appena. Poi, allungai un braccio verso di lei, che si ritrasse un poco. – “Non ti preoccupare.” – rimase un po’ interdetta, poi tornò composta com’era, così che io riuscissi ad arrivare a quei ciuffi criminali e rimetterli al loro posto, dietro l’orecchio. Rimasi per un secondo sulla sua guancia, accarezzandogliela con il pollice delicatamente. Lei, a quel tocco, chiuse gli occhi cogliendo ogni sensazione. Solo in quel momento mi accorsi che le sue palpebre erano dipinte di un rosa brillante, e che le sue labbra, che solo alla vista ti creavano dipendenza, erano colorate di rosso.

In quel esatto istante, i suoi occhi si sbarrarono, persi. Si alzò in piedi, ricomponendosi all’istante e scattò via verso la porta.

“Nebula! Aspetta, Nebula!”

“Avevi detto niente scherzi!” – e detto questo, sparì dietro l’enorme porta di metallo antipanico, lasciando calare il silenzio, e io, piano, mi accasciai sul divanetto in cui stavo.

“Infatti, non stavo scherzando.” – sussurrai a me stesso.

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